01. Spigoli

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Amiconi (freestyle) – Madame

Cleo si definiva fatta di spigoli.

Li vedeva ovunque in lei: nel volto scavato, il naso obliquo, le sopracciglia piene e arcuate, gli occhi dal taglio duro o le ossa del bacino e i gomiti appuntiti. Ma li sentiva anche nella bocca dal profilo squadrato, rimpiccioliti nella forma delle parole che le tagliavano la lingua, ed erano addirittura padroni delle sue membra quando si muoveva. Erano in ogni piega della pelle, e nessuno riusciva a smussarli.

Una parte di lei era convinta di aver scelto di studiare matematica per quel motivo: i numeri, i teoremi e le formule che incatenavano il mondo erano affilati quanto lei, compagni a cui si affiancava volentieri e di cui amava studiare i segreti nascosti. Il padre aveva storto il naso quando, a conclusione del liceo, gli aveva comunicato la sua scelta – forse più disperato dall'idea che anche la secondogenita fosse indirizzata sulla strada della disoccupazione che dalla decisione in sé –, ma poi si era rivelato il suo primo sostenitore, mostrandosi sempre entusiasta quando provava a spiegargli cosa stesse studiando. La madre era stata un altro paio di maniche. Aveva veleggiato tra l'indifferenza più profonda e lo sdegno per lo spreco di talento a cui, a suo dire, andava incontro la figlia, e quando aveva preso la laurea triennale a pieni voti il suo commento era stato: "Finito questo capriccio ti sei decisa a studiare qualcosa di più utile?"

Cleo si era iscritta alla magistrale.

Trovava assurdo che la donna, che da piccola vedeva in casa due giorni alla settimana quando le cose andavano per il meglio, avesse da ridire sulle sue scelte di vita. Di certo non erano perfette, ma lei stessa non lo era.

L'unico che non aveva fatto alcun commento, neppure durante i primi e tesissimi mesi, era stato suo fratello Corrado – ma lui, in una certa ottica, era l'anticonformismo fatto a persona, quindi Cleo non aveva trovato molto consolatorio l'appoggio incondizionato.

"Poi vorrei vedere se non mi appoggiava, visto tutto il supporto che gli ho dato io" pensò, aprendo il rubinetto dallo scarico non intasato per lavarsi le mani. Come al solito, l'acqua del dipartimento uscì gelida, ma sapeva che appena sarebbero partiti i caloriferi avrebbe avuto a che fare con possibili rischi di ustione.

Scosse la testa e, dopo essersi asciugata le mani passandole sui jeans, si piegò sulle ginocchia il tanto che bastava per potersi osservare allo specchio; sistemò la riga centrale dei capelli, portando dietro le orecchie qualche liscia ciocca nera sfuggita al suo controllo, e si passò le dita sotto gli occhi e sulle palpebre, così da rimuovere le leggere sbavature del mascara.

"Direi che può andare" si disse, lanciando un'ultima occhiata al suo riflesso che la osservò di rimando con una profondità da metterle i brividi. Qualche spigolo doveva essere rimasto incastrato nelle iridi nere.

Scrollate le spalle per allontanare quella sensazione, Cleo indossò il cappotto abbandonato sullo zaino e scivolò fuori dalla penombra del piccolo bagno, avventurandosi per i corridoi pieni di studenti in pausa pranzo, intenti a scambiarsi commenti sulla mattinata o a vagare con l'aria di chi sogna solo il proprio letto. Attraversò il cortile quadrato occupato dai tabagisti – faceva troppo freddo perché qualcuno occupasse i tavolini per mangiare o studiare – e guadagnò l'uscita, dove si mise a scandagliare via Colombo alla ricerca del fratello che, però, pareva non essere ancora arrivato. L'unica presenza umana era quella di un venditore ambulante intento a chiacchierare con un professore.

Cleo stava per tirare fuori il cellulare e chiamarlo, chiedendosi irritata dove accidenti fosse finito, quando un paio di mani le calarono sulla schiena e la fecero sobbalzare.

"Ma... Dado!" esclamò, voltandosi verso il ragazzo che la osservava sghignazzando. "Mi stavi per fare prendere un infarto!"

Corrado le fece una linguaccia, per poi passarle un braccio sulla spalla. "Sei tu che sei troppo stupida per accorgerti che ero sotto il portico."

Cleo lo scacciò e scese rapida la scalinata della facoltà, ignorando il fratello che le correva dietro ancora ridendo. "Su, su..." le disse, affiancandola. "Dove andiamo a mangiare, piuttosto? Io ho voglia di ramen."

"Vuoi davvero andare fino in Porta Venezia?" La ragazza alzò gli occhi al cielo. "Potresti venire da me."

"Non voglio finire morto avvelenato."

"Ma con cos'hai fatto colazione stamattina? Simpatia da cinquantenne su Facebook?"

Corrado scoppiò a ridere e aprì la strada verso piazza Leonardo in un silenzioso comando ad andare dove voleva lui. Cleo storse le labbra, infastidita dall'atteggiamento dell'altro, ma lo seguì senza fare ulteriori commenti – e ne avrebbe potuti sparare eccome, visto che la sua andatura dinoccolata aveva un che di ancora più disarticolato del solito, quasi le membra stessero per staccarsi dal corpo e ammucchiarsi sul marciapiede vicino alle foglie bagnate. Se lei era fatta di spigoli, il fratello era un insieme di frammenti di cui, nonostante tutto, amava prendersi cura.

Spinta da una sottile senso di colpa, si mosse per raggiungerlo e dirgli che, in fondo, andare da lei sarebbe stata una pessima idea; Neela era al momento sul piede di guerra a causa delle pulizie generali a cui, secondo il suo modesto parere espresso su post-it attaccato al frigorifero, Cleo non si era applicata con particolare impegno.

Leccando la tazza del cesso avresti fatto un lavoro migliore, recitava il foglietto incriminato con una finezza disarmante.

"Certo che anche lei..." si disse Cleo, schivando pozzanghere e cercando di non inciampare sulle radici che avevano spaccato il cemento. "Ogni tanto dovrebbe prendersi un calmante."

Alzò la testa per vedere dove fosse finito il fratello, perso all'improvviso nella calca che si affollava vicino al furgoncino della pasta, e dopo averlo individuato davanti alle strisce pedonali fece per raggiungerlo, ma una voce nota la costrinse a fermarsi prima di coprire i pochi metri che li separavano.

"Ancora con la faccia arrabbiata?"

Cleo alzò gli occhi al cielo e, non più di tanto sorpresa dalla casualità del destino, si girò verso lo scocciatore del giorno precedente, decisa a scrollarselo di dosso una volta per tutte. "Già" disse, arricciando le labbra. "Non hai trovato nessun altro da importunare nelle ultime ventiquattrore?"

"Nessun altro." L'uomo si allontanò dalle persone con cui si trovava e si avvicinò a lei, entrambe le mani in tasca e una sigaretta a penzolargli dalle labbra. "Tu non ti sei ancora fatta passare lo scazzo universale, invece."

Cleo storse il naso, investita in pieno da una zaffata di fumo; al solo pensiero che avrebbe dovuto mangiare con quell'odore attaccato al palato le salì la nausea e si pentì ancor di più per la decisione di andare a comprare il pranzo in panetteria il giorno precedente. Troppo disgustata, si girò verso Corrado che, però, si era avvicinato un poco e la osservava con un enorme sorriso ironico a illuminargli il volto, tanto che l'ondata di affetto provata pochi minuti prima fu sostituita da un improvviso desiderio di raggiungerlo e tirargli un pugno sul naso. O almeno provarci.

"Va bene, scusami" continuò intanto il seccatore, catturando di nuovo la sua attenzione. "Ammetto che l'approccio non è stato dei migliori, ma se mi definiscono un coglione c'è un motivo valido, no?"

"Non è una giustificazione."

L'uomo fischiò, alzando le sopracciglia. "Ok" disse. "Scusami, sono un idiota. Ricominciamo da capo?"

"No." Cleo accolse l'espressione sbigottita dell'altro con un piccolo moto di trionfo. "Ora perdonami, ma dovrei andarmene."

Senza attendere una risposta si girò e si incamminò verso Corrado, che ancora la guardava divertito, e lo prese sottobraccio nel tentativo di trascinarlo via dall'incrocio, ma l'altro puntò i piedi. "Ma... Cleo! Non vuoi presentarmi il tuo nuovo migliore amico?"

"Signore santissimo" pensò lei, per poi rispondergli: "Non è un mio amico e ora andiamocene."

"Quanto ti adoro quando entri a contatto con gli esseri umani" replicò il fratello, per poi voltarsi a osservare l'uomo impalato a pochi passi da loro, indeciso se avvicinarsi o abbandonare ogni possibile tentativo. "Comunque io me lo farei" aggiunse, lasciandola di sasso prima di attraversare la strada senza neppure guardare se arrivassero delle automobili.

Cleo lo rincorse, chiedendo scusa agli autisti che avevano inchiodato e borbottavano qualcosa con aria poco amichevole, e si diede ancora dell'idiota per le scelte del giorno precedente. Oltretutto, la focaccia le aveva fatto schifo.

"Devi darmi qualche dettaglio sul tipo."

Cleo si girò le bacchette tra le dita e sospirò. Dopo l'uscita fatta in piazza Leonardo, Corrado non aveva sparato altri commenti fino a quando non avevano raggiunto il ristorante, un posto che avevano scoperto un paio di anni prima durante i loro peregrinaggi in giro per Milano alla ricerca di qualcosa di economico ma buono; si erano subito innamorati del piccolo locale in Porta Venezia, dagli interni in legno, i camerieri simpatici e le gigantesche porzioni di ramen a pochi euro. Era quindi schizzato in cima al loro personale podio, nonostante certe volte Cleo si sentisse a disagio tra gli studenti del liceo che l'affollavano.

In ogni caso, Corrado aveva dimostrato una pazienza e un tatto sorprendenti, visto che aveva deciso di tornare alla carica solo dopo aver ordinato. Non che lei si aspettasse sarebbe passato oltre, considerando che gli sguardi lanciatile in metropolitana le avevano fatto intuire quanto fosse curioso. Oltretutto, anche lui si era unito alla crociata proposta dal padre, secondo il quale la figlia era troppo chiusa e burbera, forse addirittura infelice, e quindi provava sempre a spingerla verso nuovi lidi; era il suo modo di aiutarla, e a Cleo scaldava il cuore vederlo così preoccupato e disposto a fare di tutto, ma ogni tanto trovava l'insieme asfissiante. In fondo, le faceva più male pensare che la considerassero strana che la solitudine in sé.

"Allora?"

La ragazza schioccò le labbra, in parte infastidita. "Non c'è molto da dire."

"A me non sembra."

Cleo spostò lo sguardo sul fratello, appoggiato coi gomiti sul tavolo in modo tale da poter sostenere il capo coi palmi delle mani ossute. Per un attimo si perse nei frammenti dell'altro, pezzi che ne definivano il viso pallido e scavato, il piccolo naso e gli occhi di un verde slavato, quasi castano, e provò ancora una volta la medesima ondata d'affetto che l'aveva afferrata prima, ma la sensazione sparì di nuovo davanti al sorriso affilato con cui la incalzò a parlare.

"Dai... dà da bere alla mia parte pettegola."

"È uno che ho incrociato ieri mentre recuperavo il pranzo" disse lei, abbandonandosi sullo schienale della sedia e incrociando le braccia sul petto. "Un seccatore. Mi ha chiesto come mi chiamavo e il numero, ma in modo così fastidioso che non gli avrei detto niente neppure se fossi stata single."

Corrado fece un "Uh" incuriosito e si sporse verso di lei. "Però è belloccio."

"Uno che accoglie i rifiuti a suon di bestemmie può essere bello quanto vuole, ma rimane grezzo" replicò lei, mentre il cameriere si avvicinava a loro coi piatti e li posizionava sul tavolo. Cleo osservò il ramen con aria sconsolata, lo stomaco ancora chiuso a causa del mix dettato dall'incontro poco piacevole e il fumo passivo.

"Beh, buon appetito" disse Corrado, lasciando cadere il discorso.

Rimasero entrambi in silenzio per qualche minuto, intenti ad assaggiare le rispettive zuppe. Fu Cleo a riprendere a parlare, stomacata dopo solo due cucchiai troppo piccanti – non sarebbe mai riuscita a finirlo, già lo sapeva. "Come stanno Selene e Arturo?"

"Lui bene, lei benissimo" rispose il fratello tra un boccone e l'altro. "Tra l'altro, mi chiedevano di te giusto un paio di sere fa. È da molto che non li vedi."

La ragazza annuì e ripensò ai compagni di Dado, conosciuti quando frequentava l'università. Il giorno in cui il fratello aveva annunciato a lei e famiglia che era invischiato in una relazione poliamorosa, malvista dalla madre e tollerata dal padre, Cleo era rimasta di stucco e l'aveva poi tartassato di domande a cui l'altro aveva risposto con un "Lo sai di essere inopportuna?" che alla lunga l'aveva messa a tacere – a esclusione di qualche commento che non era riuscita a trattenere. Corrado ancora la prendeva in giro ricordando del fatidico quesito: "Ma esattamente come fate a farlo in tre?"

"Non è che hai voglia di uscire con noi mercoledì?" le chiese il fratello, riportandola al presente mentre un vago rossore si era impossessato delle sue guance. "Così festeggiamo Halloween in versione molto spooky scary eccetera eccetera... Selene vuole travestirsi da Peter Pan e costringere Art a fare l'ombra. A me toccherebbe Trilli."

"Nonostante aneli a vederti ricoperto di brillantini, passo" rispose, per poi prendere un'altra cucchiaiata di brodo che le infiammò la gola. Doveva essere la settimana delle pessime scelte per pranzo.

"Il due cosa fai, invece?" Corrado le lanciò un'occhiata obliqua. "Almeno per il tuo compleanno organizzerai qualcosa, vero?"

"Sto con Giulio" gli disse a mo' di rassicurazione. "Ci saremmo dovuti vedere anche per Halloween, a dire il vero, ma l'hanno accalappiato in ospedale fino a orario indefinito."

"Vedi cosa accade a mettersi con un futuro chirurgo..."

Cleo alzò gli occhi al cielo per l'ennesima volta, seccata dal fatto che l'intero universo sembrava essersi coalizzato contro di lei. "Ma non era diventato il tuo migliore amico?" gli chiese acida, mollando il ramen. Non aveva neppure voglia di pescare gli spaghetti e la carne dispersi nel brodo, l'appetito perso definitivamente.

"Adesso non esageriamo: mi sta simpatico, tutto qui." Il fratello le occhieggiò il piatto, inarcando un sopracciglio. "Ma non lo finisci?"

"Prendilo pure" gli rispose lei, e Corrado si adoperò subito per fare cambio tra la porzione già vuota e l'altra. "Certo che devi avere il verme solitario..." aggiunse la ragazza, notando quanto il fratello le apparisse ancor più secco del solito.

"Ho solo fame" puntualizzò lui. "E sono magro per costituzione, grazie tante. Ma lo sai che a dire cose simili alle persone sbagliate potresti fare danni?"

Cleo scrollò le spalle. Non era mai stata molto interessata alle opinioni o alla sensibilità altrui, nonostante lei stessa ammettesse che alcune gaffe non fossero state tra le migliori di sempre; certo era che non aveva né la voglia, né la forza di preoccuparsi del pensiero degli altri, e nel caso di Dado tali mancanze si acuivano. Se non poteva essere se stessa con lui, con chi altro allora? La sola idea di essere limpida con Neela le faceva gorgogliare il corpo dalla ridarella, mentre con Giulio riusciva solo ad alternare il lato più dolce e la cattiveria peggiore, ma tanto il ragazzo aveva sottolineato spesso quanto l'amasse per il suo carattere affilato e mutevole. Le scappò un sorriso nel pensare che finalmente l'avrebbe rivisto – le mancava da impazzire e non sopportava che l'università lo tenesse lontano da lei, nonostante odiasse ammetterlo.

"Un giorno ti dovrò raccogliere col cucchiaino" disse Corrado, gesticolando con le bacchette a riprova di ciò che stava dicendo. "Oppure lo farà papà. Da quanto tempo non sali a trovarlo, tra l'altro?"

"Metà settembre." Cleo ripensò all'ultima volta che era andata a Como, approfittando di un finesettimana libero dopo aver dato l'ultimo esame della sessione autunnale. Inutile a dirsi che la madre non si era risparmiata una lunga paternale. "Dopo il compleanno mi ritaglierò un paio di giorni, promesso. Ma devi esserci pure tu."

Corrado sospirò. "Non posso farti da bodyguard ogni volta che ti trovi in una situazione che avverti scomoda, lo sai vero?"

"Certo che lo so. Pensavo solo sarebbe bello esserci tutti e quattro."

"Se mamma si farà vedere..." commentò lui. "Però potrebbe essere divertente fare un super pranzo a sorpresa con Art, Selene e Giulio, no?" Corrado la guardò con un ghigno, facendola ridacchiare in risposta. "Già mi vedo i titoli dei giornali: Donna muore d'infarto a causa dei troppi generi."

"Attenzione: il problema dei troppi generi è il tuo. La mia colpa è di studiare matematica, ricordi?"

"E di essere una stronza" aggiunse lui, ponendo per un attimo da parte cucchiaio e bacchette. In un secondo l'allegria dipinta sul viso sparì, rimpiazzata da una serietà che mise Cleo in soggezione.

"Ma... ti ho fatto qualcosa senza accorgermene?" gli chiese cauta. "Già Neela sta valutando il mio omicidio, quindi non vorr..."

"No, non hai fatto niente." Corrado scosse la testa. "Però, sul serio, vai da papà o chiamalo di più. È preoccupato e ogni tanto mi viene da pensare che non sia solo paranoico... Non mi sembra che con Giulio vada benissimo."

"Te l'ho detto: è solo molto impegnato con l'università, così come lo sono io. Capita."

Il fratello la osservò perplesso, le sopracciglia aggrottate e le labbra socchiuse come per replicare di non essere per nulla convinto dalle sue parole, ma alla fine scosse la testa e tornò a concentrarsi sul poco che avanzava del ramen, lasciando così Cleo libera di respirare. Non aveva voglia di affrontare una simile conversazione, non al momento, soprattutto perché era convinta che quello con Giulio fosse solo un periodo incasinato; ormai stavano insieme da tre anni, quindi era normale ce ne fossero, ma le sarebbe bastato vederlo e tutto sarebbe tornato al posto giusto, ne era certa.

"Senti, non hai mangiato nulla" disse Corrado, riscuotendola. Si appoggiò allo schienale della sedia e si coprì la bocca con un pugno, nascondendo un rutto che le fece storcere il naso. "Su, su... è tutta salute" aggiunse lui, notando la sua espressione. "Invece, vuoi qualcosa di dolce?"

Cleo sentì lo stomaco chiudersi ancora in una morsa appuntita, ma non ebbe il coraggio di negare. Forse aveva solo bisogno di affogare nella morbidezza dello zucchero per stare di nuovo bene.

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