02. Auguri

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Heart – Yiruma

Quando ancora andava al liceo, Cleo aveva guardato agli anni dell'università come una liberazione. Niente professori che le alitavano sul collo, niente montagne di compiti a cui far fronte, niente compagni di classe fastidiosi con cui convivere, niente crisi isteriche a causa della troppa fatica, niente rinunce in fatto di sport o altro... Le erano parsi il paradiso.

Era a causa di una simile idea che, iscrittasi a matematica, aveva supplicato i genitori di permetterle di trasferirsi a Milano, così da non dipendere dai treni e dai loro ritardi. Ci era voluta molta pazienza, ma dopo il primo mese passato a litigare con Trenord e a lamentarsi ogni giorno di quanto tempo perdesse durante il tragitto casa-università e viceversa, i genitori avevano ceduto ed era iniziata la lunga ricerca di un piccolo appartamento in Città Studi. Solo a conclusione della prima sessione invernale Cleo si era impiantata in città una volta per tutte, con poche lacrime sia da parte sua, sia della famiglia. Aveva apprezzato la possibilità di vivere da sola e, nei suoi sogni, aveva sperato che il padrone di casa non trovasse nessun coinquilino con cui sarebbe stata costretta a interagire – tanto i soldi non erano un problema, quindi poteva sobbarcarsi l'affitto per due. L'idillio era continuato ininterrotto fino al settembre successivo, quando Neela era entrata nella sua vita con una prepotenza che Cleo avrebbe imparato a conoscere suo malgrado.

Studentessa di storia, maniaca dell'ordine e acida come una mezza fetta di limone, Neela aveva dato fin da subito il meglio di sé.

"Scusami, ma perché hai la stanza più grande?" le aveva chiesto appena il padrone di casa le aveva lasciate sole. "Non mi pare corretto."

"Io pago l'affitto da più tempo" le aveva risposto a tono, ma aveva letto negli occhi dell'altra quanto poco le credesse. Negli anni successivi era capitato che rimarcasse che non era lei a pagare, ma la sua famiglia di "borghesi arricchiti".

Nella prima settimana di convivenza non si era risparmiata dal lamentarsi dello scarso livello di pulizia dell'appartamento, della terribile gestione del riscaldamento e dell'acqua e di tutta una serie di cose che Cleo non aveva neanche provato a comprendere, troppo infastidita dalla petulanza con cui l'altra si era messa a sconvolgere il morbido equilibrio in cui viveva.

C'era da dire, però, che Cleo trovava Neela interessante. Aveva un modo di scomporre la realtà stimolante, e lei stessa si divertiva a tenerle testa o a seccarla con qualche comportamento o commento che l'altra riteneva infantile o da ragazzina viziata; in un certo senso, riusciva a farla sentire viva e pronta a qualsiasi cosa. Oltretutto, era bella. La famiglia originaria di Nuova Dehli le aveva donato una carnagione ambrata e un viso regolare su cui spiccavano le meravigliose labbra a canotto e gli occhi dal taglio allungato, che la ragazza rendeva più preziosi indossando delle lenti colorate di un verde intenso. Cleo si era sorpresa più di una volta ad ammirare la coinquilina, così morbida nel piccolo corpo e nei tratti del viso, e a fissarla sottecchi quando girava per l'appartamento solo in intimo perché "Tanto ci sei solo tu".

Quando l'aveva rivelato a Corrado, il fratello aveva replicato che il fondo della sua anima doveva essere tinto d'arcobaleno, cosa che aveva mandato Cleo su tutte le furie – se stava con Giulio doveva esserci pur un motivo, no? Non poteva negare, però, che alcuni atteggiamenti libertini di Neela la mettessero a disagio.

Eppure, bastava che la ragazza aprisse bocca per lamentarsi che tutto si ridimensionava.

"Guarda cosa mi fai fare" borbottò per l'ennesima volta la coinquilina, indossando degli anfibi. "Mi cacci per cosa? Una possibile scopata mancata da mesi?"

"Se non volevi lasciarmi casa potevi dirlo..." disse Cleo, accoccolata sul divano del salotto. "Non ti ho costretta."

Neela arricciò il naso. "Non mi hai costretta, sicuro" continuò a lamentarsi, frugando nel borsone che aveva preparato. "Mi hai solo tartassata per un mese dicendomi che sarebbe stato tanto bello poter trascorrere il tuo compleanno in compagnia di Giulio. Riempiendo anche il frigorifero di post-it, tra l'altro, di cui devi ancora togliere la colla rimasta."

Cleo fece spallucce, per nulla interessata alle parole dell'altra. A mali estremi, estremi rimedi, si era detta quando il suo ragazzo le aveva comunicato che non sarebbe mai riuscito ad avere casa libera per il due, visto che un coinquilino si sarebbe laureato a fine ottobre e quel venerdì era proprio perfetto per festeggiare. Convincere Neela era stato complesso, soprattutto perché all'inizio si era dimostrata di una testardaggine insostenibile, ma lei si era dimostrata la più determinata; quando la ragazza le aveva comunicato che la sera sarebbe andata a stare da un'amica del liceo aveva gongolato per giorni.

"Sono seria, Cleo" le disse Neela, costringendola a guardarla. "Pulisci quel cazzo di frigorifero o domani te lo faccio fare a forza."

"Sì, sì, poi lo faccio" rispose svogliata. Già sapeva che se ne sarebbe dimenticata, ma contava di esasperare l'altra a tal punto da spingerla farlo lei e non scocciarla più.

Neela alzò gli occhi al cielo, forse immaginando dove fossero andati a parare i suoi pensieri, e indossò il cappotto borbottando qualcosa di incomprensibile. Cleo era convinta che ogni tanto parlasse in un qualche dialetto indiano a lei sconosciuto, ma quando aveva provato a sollevare la questione l'altra le aveva riso in faccia, aggiungendo che era più milanese di lei con un tono talmente sprezzante da metterla subito in riga e far tacere ogni nuovo commento.

Cleo rimase in silenzio mentre Neela raccoglieva il borsone e apriva la porta di casa, per poi fermarsi di colpo sulla soglia. "Ah, buon compleanno" le disse, regalandole un sorriso che aveva poco di genuino. "Scopate come conigli e non buttatemi più fuori di casa, grazie."

Cleo spalancò gli occhi, sentendosi arrossire fino alla punta delle orecchie, e fece per replicare, ma l'altra aveva già chiuso la porta tra le risate.

Cleo aveva imparato a trovare qualcosa di piacevole nella solitudine. C'era stato un periodo della sua vita in cui l'aveva considerata insopportabile, un male a cui non avrebbe mai dovuto avvicinarsi, ma col passare degli anni aveva capito una cosa: non tollerava la maggior parte delle persone e, in risposta, loro non digerivano lei.

In primo momento una simile consapevolezza le aveva fatto male – perché non poteva essere normale? Cosa aveva fatto di sbagliato? Forse avrebbe dovuto sceglierli al fratello? –, ma alla fine si era resa conto che non c'era nulla di male a non mischiarsi con gli altri, se non la desideravano, e che la solitudine poteva essere la migliore delle amiche, sempre discreta e mai disposta a tradirti. Aveva vissuto bene, nonostante il padre spesso la pizzicasse con preoccupazioni infondate che la intristivano; le spezzava il cuore sentire il tono triste con cui le parlava e la invitava ad aprirsi, così come le saliva un groppo alla gola quando l'uomo si colpevolizzava e le mormorava che, se fosse stato meno severo, forse lei avrebbe avuto un'adolescenza più leggera. Ogni volta desiderava dirgli che non era colpa sua se era nata appuntita, ma le parole le sfiorivano sulla lingua e lei rimaneva muta fino a quando lui, con un sospiro, rinunciava ai propositi e diceva di volerle bene.

Tutto era filato liscio fino a quando non aveva conosciuto Giulio.

Prima di allora non si era mai scoperta attratta da qualcuno, troppo disgustata dai comportamenti infantili delle persone che l'attorniavano, ma dopo aver parlato al ragazzo per una sola volta aveva sentito frullarle in corpo un'agitazione mai provata, di quelle che la portavano a guardare con impazienza il cellulare in attesa di un messaggio o a sudare come una dannata quando doveva incontrarlo. Era stato l'inizio di tutto, per lei.

La famiglia si era calmata, Cleo aveva imparato ad apprezzare la compagnia di qualcuno che non fosse Corrado e Giulio l'aveva fatta sentire così amata da soffocare – non era abituata, proprio per niente. Quando uscivano insieme si sentiva leggera, padrona della sua età, e adorava le piccole attenzioni con cui la circondava, ma un simile comportamento aveva reso i successivi allontanamenti più dolorosi e difficili da sopportare. Ritornare in compagnia della solitudine nei momenti in cui il ragazzo non poteva dedicarle del tempo a causa degli studi la rendeva più affilata del solito, in un tentativo di scacciare con le sue sole forze l'amica indesiderata che per tanto tempo l'aveva affiancata. Ma poi Giulio tornava e tutto scorreva di nuovo secondo il giusto tempo.

Sarebbe stato così ancora una volta, ne era certa. Le aveva promesso che sarebbe venuto con qualcosa per cena, che avrebbero passato assieme la serata e la giornata di sabato, nonostante il ritorno di Neela, e Cleo non aveva alcun motivo per pensare che non avrebbe mantenuto la parola.

"Allora perché sono così in ansia?" si disse, raggomitolata sul letto. Alzò il cellulare per vedere se le era arrivato un messaggio, ma lo schermo le restituì solo l'orario: diciannove e trentaquattro.

Decisa a calmarsi, aprì le chat col fratello e il padre, rileggendo con attenzione i messaggi di auguri che le avevano mandato di mattina – sapevano quanto si imbarazzasse nel sostenere una chiamata telefonica, qualunque fosse la sua natura. Corrado era stato frammentario come al solito, ma l'aveva fatta sorridere svegliarsi subito coccolata dalle sue parole.

Buon compleanno, my lovely sister. Ti auguro tante cose buone per i tuoi ventitré, così tante che scriverle tutte sarebbe impossibile – e io sono pigro e non ci provo neppure. Però sono buone, lo giuro, e piene di tutta la gioia che ti meriti.

I genitori, invece, erano stati molto più incisivi.

Buon compleanno cucciola. Ricordati che ti vogliamo tanto bene.

Seguito dalla firma Papà e mamma, e Cleo aveva deciso di immaginare che l'iniziativa fosse sul serio comune e non solo il frutto del capofamiglia.

Per il resto, non aveva ricevuto molti auguri. Se si escludevano i familiari che le avevano telefonato o scritto – parenti coi quali si sentiva giusto per il compleanno e le feste comandate –, c'erano stati quelli di Neela e di Selene e Art, che le avevano inviato un vocale in cui urlavano entrambi che ormai era vecchia e aveva perso una festa di Halloween incredibile; a riprova le avevano anche inoltrato una foto di Dado travestito da Trilli che aveva costretto Cleo, suo malgrado, ad ammettere a se stessa che era stata una stupida a non accettare il loro invito. Aveva perso l'occasione perfetta per poter prendere per il culo il fratello per secoli, e forse per non pensare a Giulio per un paio di ore.

"Chissà dov'è finito..." mormorò, tornando con la mente al ragazzo. Stufa dell'immobilità in cui si era imprigionata, si alzò e si mise a vagare per la camera, spostando qualche quaderno abbandonato sulla scrivania, aprendo la finestra per poi chiuderla subito dopo, o ancora lisciando il copriletto. All'improvviso le parve tutto troppo asettico, tutto troppo lontano da lei: le pareti bianche senza alcun poster o quadro, gli arredamenti Ikea anonimi, il vuoto cosmico della piccola libreria vicino alla scrivania... Gli unici segni della sua presenza erano gli appunti e le dispense universitarie, ma dicevano così poco di lei da farla sentire un'estranea nella camera di qualcun altro.

Uscì rapida, sbattendo la porta, e andò a raggomitolarsi sul divano in salotto.

"Stai calma..." mormorò, avvolgendosi il torace con le braccia. Sentì risalirle per la gola un'ondata di nausea che la spinse a chiudere gli occhi e respirare piano, poco per volta, dilatando e restringendo i polmoni al ritmo della risacca di un oceano lontano. Si immaginò immersa in esso, un minuscolo puntino avvolto da una massa d'acqua, e si lasciò cullare dalle correnti che la scuotevano, leggera come si sentiva quando nuotava.

Le venne da sorridere man mano che il ribollire tornava in un lontano angolino del suo corpo e una calda sensazione di tranquillità l'avvolse, facendola sentire meglio. Una simile pace, però, fu interrotta dall'improvviso trillare della suoneria del cellulare. Cleo spalancò gli occhi e corse fino in camera, afferrandolo e premendo sul pulsante verde prima che chiunque fosse dall'altro capo attaccasse.

"Pronto?" chiese con tono tremante. L'effetto taumaturgico della sua immaginazione era sfiorito nell'arco di pochi secondi.

"Ehi, ciao..." La voce di Giulio, venata da una stanchezza che fece trillare in testa mille campanelli d'allarme, la raggiunse accompagnata da un leggero brusio di sottofondo. "Senti, Cleo, non..."

La ragazza si morse il labbro inferiore, mentre l'altro sospirava senza proseguire. Non che ce ne fosse bisogno, visto che immaginava alla perfezione quali sarebbero state le successive parole – le aveva già sentite fin troppe volte nel corso dell'ultimo periodo, tanto che avrebbe potuto recitare a memoria il copione della futura conversazione.

"Mi hanno chiesto di allungare il turno, ecco" mormorò il ragazzo, senza indorare la pillola. "Lo so che avevamo programmato da tanto, ma non posso fregarmi il tirocinio."

"Certo, capisco."

Tra i due cadde un silenzio insostenibile, tanto che Cleo fu tentata di urlare a squarciagola fino a rimanere senza voce, troppo frustata dal fatto che le sue peggiori idee si fossero rivelate realtà. Per un singolo attimo odiò Giulio e il suo attaccamento a ciò che faceva come poche altre cose al mondo, ma appena si rese conto di quanto fossero ingiusti simili pensieri la rabbia si avviluppò su se stessa, sfociando in una tristezza sorda che le fece salire le lacrime agli occhi.

"Ti giuro che facciamo qualcosa un altro giorno" continuò il ragazzo, supplicante. "Magari domani sera, cosa ne dici? Tanto Neela non è ancora in casa, giusto?"

"Sì che sarà a casa."

Giulio mormorò un "Oh..." deluso che le spezzò il cuore. Non si ricordava, glielo aveva detto più di una volta che era riuscita a ottenere solo il venerdì sera, ma non se lo ricordava. Non era possibile, non era giusto.

"Senti, meglio che ti lasci lavorare" disse, trattenendosi a fatica dal singhiozzare. "Ci sentiamo."

Non si curò di ascoltare le deboli proteste dell'altro e attaccò la cornetta, per poi far cadere il telefono a terra, incurante di rovinarlo. Senza neanche capire cosa desiderasse, si diresse barcollando in cucina e andò a sedersi su una sedia, crollando con la testa sul duro piano del tavolo; si lasciò afferrare da un pianto feroce, che la squassava tutta e scaldava lo scampolo di granito su cui era appoggiata, e non pensò più a niente, sorda a qualsiasi altra cosa se non il bruciante senso di delusione e disgusto che la riempiva. Era sola.

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