05. Come fumo passivo

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Gioco – Rkomi

Certe volte Cleo faticava a tener conto dello scorrere del tempo, tanto che i giorni finivano per annichilire l'uno sull'altro e all'improvviso si scopriva catapultata addirittura in un nuovo mese. Un paio di anni prima, preoccupata da tali blackout, aveva cercato su internet cosa significassero e aveva scoperto che erano uno dei tanti sintomi indicativi della depressione; quando aveva provato a parlarne col fratello, però, lui le aveva detto che l'aveva sempre considerata troppo intelligente per farsi delle autodiagnosi così cretine e che, se davvero pensava fossero significativi, sarebbe stato meglio andare da un esperto. Cleo aveva quindi deciso di lasciar perdere e li aveva bollati come il prodotto della noia e la routine, nonostante talvolta le capitasse ancora di perdere di vista il passare dei giorni.

Eppure, dopo l'ultimo incontro con Francesco e l'ennesimo treno di scuse di Giulio, che le aveva inviato centinaia di messaggi dicendole che era stato di nuovo bloccato in università, era stata molto più attenta al ticchettare delle ore, preoccupata su due differenti fronti.

Da un lato c'era il suo ragazzo. Cleo aveva vissuto in più modi l'ennesima prova che la loro relazione avesse preso una piega sbagliata: si era arrabbiata, si era intristita, sia era sentita annoiata e al tempo stesso rassegnata, e a nulla era servito ignorare Giulio per un paio di giorni, né la lunga chiacchierata davanti a un tè caldo in cui il ragazzo si era prostrato in un'infinità di scuse unita al giuramento che ci stava provando, davvero, e che anche lui non si sopportava per il modo in cui la trattava. L'università, però, rimaneva in cima alla sua lista di priorità e Cleo non poteva biasimarlo – lei stessa si sarebbe comportata in egual modo a parti inverse, lo sapeva bene. Tutto ciò aveva comunque fatto calare tra loro una freddezza che faceva apparire le videochiamate serali come un teatrino meccanico, fatto di lunghe pause o chiacchiere inutili pur di evitare di parlare di ciò che invece premeva a entrambi.

Dall'altro lato, invece, c'era Francesco. Senza neanche rendersene conto, Cleo aveva preso a pensare a lui e a cercare di classificare come si sentiva nei suoi confronti. Mezzora trascorsa in sua compagnia non era di certo la causa scatenante di un amore folle e appassionato, ma, nonostante la razionalità le ricordasse quanto apparisse idiota, Cleo non poteva negare di essere curiosa. Sperava di trovare qualcosa che le ricordasse come mai l'etichetta iniziale fosse stata negativa, ma l'immagine di lui in panetteria era appannata dal modo in cui si era comportato dopo. Oltretutto, non poteva negare che fosse bello immaginarsi desiderata.

Aveva trascorso le due settimane successive al terribile martedì alternando speranze, sensi di colpa e preoccupazioni, accompagnata un paio di domande incessanti: avrebbe dovuto parlare a Giulio di Francesco? E lui l'avrebbe rivisto?

"Meglio di no" si disse, finendo di passare il mascara. "Forse dovrei stare da sola. Forse non mi merito nessuno."

Chiuse lo scovolino e recuperò un rossetto color carne dal cassetto dove aveva stipato i pochi trucchi, canticchiando sottovoce il ritornello della canzone che usciva dal cellulare. Di certo sarebbe stato un ottimo inizio smetterla di ascoltare a ripetizione l'album consigliatole dall'altro e chiedersi quale tra i brani fosse il suo preferito; non credeva fosse quello che le aveva fatto ascoltare in automobile, né quello che stava suonando al momento, e aveva una voglia matta di domandargli se l'ipotesi a cui era giunta fosse corretta.

Stava giusto pensando a cosa avrebbe potuto dirgli, se solo si fossero incontrati, quando Neela fece il suo ingresso in bagno, i lunghi capelli neri ancora aggrovigliati dal sonno. "Ma cos'è 'sta robaccia?" esclamò, afferrando la spazzola. "Cioè, per anni mi rompi i coglioni sul mal di testa di qui, che schifo di qua, ed è troppo alto di là... e poi ti metti ad ascoltare Scooteroni?"

Cleo si sentì arrossire fino alla punta delle orecchie e, cercando di apparire più stoica di quanto si sentisse, spense la musica e fece crollare l'angusta stanza in un silenzio che avrebbe preferito non dover sopportare di prima mattina.

"Tu mi stai nascondendo qualcosa" sentenziò la coinquilina, pettinando i capelli in due folte trecce. "Non credo proprio sia tuo fratello ad averti introdotta a questa schifezza."

"Infatti è stato Art" replicò pronta, dopo aver finito di stendere il rossetto. Si guardò negli occhi mentre pronunciava la bugia, convinta che Neela avrebbe indovinato subito che stava mentendo, se solo avesse osato spostare lo sguardo dallo specchio.

"Chi? Il tipo di Corrado?"

Lei annuì, per poi riporre il trucco. "Già..." mormorò, aggiungendo subito: "È da dopo la festa di Halloween che mi intasa la chat di canzoni. Dice che mi aiuterebbero a capire meglio l'atmosfera delle foto."

Neela sbatté le palpebre un paio di volte e socchiuse le labbra, ancora più confusa, prima di assumere la solita aria perennemente offesa. "Voi in famiglia non siete tutti normali..." borbottò infine. "Ora devo prepararmi, fuori da qua."

Cleo non se lo fece ripetere e batté in ritirata in camera, dove si finì di vestire. Non riusciva a capire come mai avesse mentito a Neela, così come le era difficile comprendere il silenzio stampa che, nei giorni precedenti, aveva riservato a Corrado. Al fratello aveva sempre confidato tutto, certa che non l'avrebbe mai giudicata per le sue scelte, ma il senso di colpa nato dalle intenzioni che l'avevano portata ad accettare il passaggio l'aveva frenata; sapeva che Dado le avrebbe detto che non era corretto trattare così Giulio, nonostante non fosse accaduto in effetti niente, e le avrebbe consigliato di riflettere con maggiore attenzione sulla loro relazione. Il pensiero di perderlo, però, le faceva venire le vertigini: era convinta che nessuno sarebbe mai stato in grado di darle tutto ciò che le dava lui, né che l'avrebbe amata con la stessa dolcezza o le avrebbe fatto sfiorare il cielo con un unico bacio. Con Giulio era sempre riuscita a respirare. Se solo avessero ritrovato l'equilibrio perso, non ci sarebbe stato più alcun problema e il pensiero costante di Francesco sarebbe appassito.

Per cominciare, avrebbe dovuto davvero smettere ascoltare Santeria.

A Milano era tornato il bel tempo. Continuava a fare un freddo irreale e difficile da sopportare, ma almeno non era più accompagnato dai violenti acquazzoni e le stesure di grigio delle settimane precedenti, che avevano reso Cleo insofferente all'uscire di casa e affrontare il mondo esterno molto più di quanto non fosse già di solito.

Non che non amasse stare in università, anzi. Così come quando nuotava, le lezioni avevano il potere di risucchiare la sua attenzione lontano da qualsiasi cosa la tormentasse; amava perdersi tra i teoremi e le dimostrazioni, in quanto possedevano un'eleganza e un'immutabilità confortanti – era bello sapere che esisteva qualcosa di statico, che non l'avrebbe mai tradita. Oltretutto, non aveva problemi a gestire la solitudine. Escluse alcune chiacchiere da macchinetta del caffè, nonché scambi di appunti e consigli per i successivi esami, non aveva mai legato davvero con qualcuno; molte delle matricole che avevano iniziato il percorso di studi con lei avevano abbandonato o erano rimaste indietro, mentre i pochi giunti alla magistrale avevano ormai consolidato dei gruppetti in cui, per lei, non c'era posto. La sé ancorata alle fantasie del liceo talvolta guardava con invidia i ragazzi intenti a discutere tra loro in biblioteca, chiedendosi perché non fosse riuscita a legarsi a una compagnia. Di solito, però, le bastava pensare a Giulio e al fratello per dirsi che avesse già tutto ciò di cui necessitava; quand'era molto lanciata, inseriva nell'equazione addirittura Neela, nonostante una qualsiasi discussione tra loro la convincesse a depennarla senza alcun rimorso.

Eppure, nell'ultimo periodo tale sicurezza era andata sempre più vacillando, cosa che le rendeva difficile andare a seguire le lezioni col solito entusiasmo. Tutto era diventato lento e faticoso, ma Cleo non poteva esimersi dallo studiare, pena l'espressione soddisfatta della madre che le diceva che era ovvio non avrebbe mai concluso niente lungo la strada che si era imposta.

Il bel tempo, in tutto ciò, le era parso il segnale che forse stava per tornare tutto al posto giusto, anche se le era difficile capire quale fosse in effetti il giusto nella situazione in cui si trovava.

"Forse dovrei chiedere a Neela di lasciarmi casa libera e invitare Giulio" si disse, calpestando il composto di foglie marce che riempiva i marciapiedi vicino al dipartimento. "Magari a furia di parlare riusciremo a uscirne. O forse dovrei solo chiamare Dado e farmi strigliare."

Ripensò agli ultimi messaggi con cui aveva liquidato il fratello, dicendogli che andava tutto bene ed era molto impegnata con lo studio, e si sentì ancora peggio di quanto già non fosse. Presa dai sensi di colpa, estrasse il cellulare dalla tasca e si sedette sui gradini gelidi del dipartimento, pensando a cosa scrivere all'altro; non poteva affermare che aveva un problema e sentiva il bisogno di parlargli, altrimenti gli sarebbe venuto un coccolone o sarebbe andato in panico, ma non voleva neppure scrivergli un lungo muro di testo in cui gli spiegava per filo e per segno cos'era successo. Cleo si morse il labbro, indecisa, mentre il tempo ticchettava sempre più rapido e qualche gruppo di studenti in arrivo le ricordava che le lezioni sarebbero iniziate di lì a poco.

"Te l'avevo detto che ne ero sicuro."

Cleo sobbalzò e alzò lo sguardo su Francesco, in piedi davanti a lei con le mani ficcate nelle tasche della giacca. Sentì la bocca diventare arida davanti al sorriso che le venne rivolto, mentre tutte le conversazioni immaginarie costruite nei giorni precedenti le svanivano dalla mente, lasciando spazio a un panico bianco.

"Devo dedurre che mi hai seguito?" riuscì a domandare, cercando di riacquistare la giusta lucidità.

"Nah." L'uomo recuperò un pacchetto di sigarette e, dopo un attimo di esitazione, ne accese una. "Non sono il tipo. Dà la colpa alle Lucky Strike, se proprio vuoi."

Cleo alzò un sopracciglio in un gesto che l'altro prese come un invito a continuare. "Le avevo finite e ho fatto un salto a comprarle alla tabaccheria qui dietro" le disse, indicando con un pollice alle sue spalle. "Fortunate di nome e di fatto, quindi. O almeno per me."

"Io direi che sarai fortunato se non morirai di cancro."

"Oggi hai bevuto un caffè troppo amaro..." commentò Francesco, per nulla colpito dalla sua affermazione. "Direi che sono abbastanza adulto per scegliere se uccidere i miei polmoni, non credi?"

"Ti ricordo che sono io a godere del tuo fumo passivo" replicò lei piccata, incrociando le braccia al petto. Nonostante desiderasse da anni provare una sigaretta, complice l'aura rilassata che le capitava di scorgere sui tabagisti più incalliti, non si era mai azzardata a fumarne una – l'idea di rovinarsi la salute e il puzzo erano insopportabili.

Francesco sollevò le mani in aria in segno di scuse e si allontanò di qualche passo senza spegnere la stecca.

"Assurdo" pensò Cleo, mentre l'altro consumava il rimanente della sigaretta con calma, godendosi ogni tiro. Non capì, però, se fosse riferito a Francesco e al suo comportamento poco signorile, o a se stessa che, nonostante l'ennesima prova di quanto sarebbe stato meglio lasciar perdere, non riusciva a smettere di osservarlo. Dado aveva ragione a definirlo belloccio, anche se, a guardarlo con maggiore attenzione, non riusciva a capire che età avesse; non le parve di molto più grande di lei – un paio di anni, forse? –, ma aveva qualcosa nel modo di muoversi e parlare che le sembrava adulto, lontano dal modo in cui si atteggiavano Corrado, Selene e Art.

"Allora... alla fine hai ascoltato l'album?" le chiese lui, spegnendo il mozzicone sotto la suola della scarpa.

"Per forza." Cleo sospirò, mentre Francesco si avvicinava. "Alla mia coinquilina non è piaciuto."

"Ma a te?"

La ragazza rimase in silenzio per una manciata di secondi prima di esalare un "Sì" con un tono di voce così basso che l'altro la invitò a ripeterlo, facendola arrossire; sperò solo che Francesco scambiasse l'imbarazzo per il freddo che le pungeva le guance, non volendo affatto immaginare a cosa avrebbe pensato in caso contrario.

"Mi sono chiesta qual è la tua canzone preferita" aggiunse, in un maldestro tentativo di distrarlo. Si rese conto di quanto fosse pessimo solo dopo aver finito di pronunciare la frase – mostrare interesse per nascondere interesse? Qualcosa in lei doveva essere rimasto intossicato.

Francesco, però, decise di non rimarcare quanto suonasse strana l'affermazione. "A quale conclusione sei giunta?" le chiese, con un luccichio strano nello sguardo. "Sono curioso di scoprire quanto pensi male di me."

"Non penso male di te. Non troppo, almeno" sbuffò lei, per poi ripensare a quale fosse il titolo che l'aveva colpita di più. "Piazza Rossa, direi."

"Allora pensi fin troppo bene."

Cleo rimase spiazzata e in silenzio, sperando che fosse l'altro a riempire il vuoto. Forse avrebbe potuto dirgli che doveva correre a lezione, nonostante mancasse ancora un quarto d'ora abbondante, o chiedergli se non fosse in ritardo per il lavoro, o ancora inventarsi una qualsiasi cosa per rompere lo stallo e approfittarne per scappare. Sentiva i sensi di colpa abbattersi su di lei come un carosello di onde, sempre più forti davanti agli improvvisi pensieri con cui si diceva che non voleva che Francesco se ne andasse e che desiderava solo ritrovare la leggerezza dell'ultima volta in cui si erano visti.

Alla fine, fu proprio lui a parlare di nuovo. "Per quanto stare qui a congelare in tua compagnia possa essere piacevole, devo andare."

"Certo, anch'io avrei lezione" disse lei, cogliendo al volo l'opportunità di dileguarsi. Si alzò, pronta a fuggire in dipartimento, ma lui la trattenne con la manciata di parole che aveva desiderato sentire con ogni sua fibra, ma che aveva anche sperato di non dover mai affrontare.

"Devi darmi il tuo numero, però."

"Sei davvero così convinto che l'universo desideri che ci conosciamo?"

Francesco si avvicinò a lei, che in piedi sul primo scalino lo superava di qualche centimetro in altezza, e la guardò negli occhi. "Hai promesso" le ricordò, adesso senza l'accenno di alcun sorriso. "Non c'è nulla di male in un numero. E tieni conto che non ho intenzione di fare l'infame con nessuno."

"Io non ti capisco proprio" replicò Cleo, sentendo il cuore martellarle nella gola, tanto da non avere più aria in corpo e renderle le gambe molli. "Cioè... perché?"

"Soprattutto perché mi incuriosisci" le rispose. "Certo, sei anche bella e tutto il resto, però mi incuriosisci. Hai qualcosa di triste, e alla tua età non bisognerebbe esserlo."

Cleo distolse lo sguardo, troppo stanca per accogliere le ultime e deboli obiezioni sollevate dalla coscienza. "Tira fuori il tuo cellulare" mormorò.

Gli dettò il numero in una nuvoletta di condensa e lui le passò il suo inviandole un messaggio. Si salutarono in fretta, complici i rispettivi impegni, e Cleo, mentre si dirigeva verso l'aula, rifletté che Francesco fosse per lei come fumo passivo. Sarebbe finita male, lo sentiva fin dentro le ossa.

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