14. Una questione di merito

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Melody Maker – The Kooks

Cleo non aveva la più pallida idea di come lasciare Giulio. Dopo il pranzo cucinato da Neela, un risotto allo zafferano che era stato spazzolato via in pochi minuti, aveva chiesto a Dado qualche consiglio. Lui, però, non era stato molto utile.

"Basta dirglielo, no?"

Non che Cleo si immaginasse una scena da film, con disperazione, urla e sentimenti messi a nudo, ma non credeva neppure che potesse essere così scontato. Oltretutto, avrebbe voluto capire se esistesse un modo per non far soffrire l'altro, ma il fratello non le aveva dato risposte confortanti.

"Se davvero gli vuoi ancora bene, anche solo in senso amicale, glielo devi" le aveva detto, prima di uscire per tornare a casa. "Senza fronzoli o altro. Farà male a entrambi, non lo nego, ma poi andrà meglio."

Lei aveva annuito e più tardi, mentre si rigirava nel letto nel tentativo di addormentarsi, si era ripetuta in testa le poche parole che avrebbe dovuto dire a Giulio: scusami, non ti amo più, dobbiamo lasciarci. Fine. Doveva solo trovare il coraggio di pronunciarle. Era scivolata nel sonno immaginando possibili scenari – chi avrebbe pianto? L'avrebbe odiata per sempre? Si sarebbero mai più parlati? –, ma durante la notte i sogni erano stati diversi, ricordi nitidi del tempo passato con Francesco e proiezioni di ciò che sarebbe potuto accadere in futuro. Cleo si era svegliata madida di sudore.

Non c'era voluto altro per convincerla ad agire. Aveva scritto a Giulio di essere di nuovo a Milano e gli aveva chiesto di raggiungerla nel pomeriggio, così da finire il discorso lasciato a metà l'ultima volta; il ragazzo le aveva risposto in fretta e, quindi, non era rimasto altro da fare che attendere. Cleo aveva provato a scacciare l'ansia che, infida, le era cresciuta dentro di ora in ora provando a studiare e, poi, truccandosi e vestendosi per l'incontro. Neela l'aveva osservata senza commentare, nonostante il sopracciglio arcuato le avesse suggerito che non comprendesse a pieno la sua linea di azione.

"Non è lei che deve lasciare una persona" si disse, prima di guardare che ore si fossero fatte. Le tre e mezza, quindi Giulio era in arrivo.

Scacciò la tentazione di mettersi ad ascoltare della musica e rimpianse di non aver niente da sfogliare che non fossero le dispense dei professori o vecchi appunti da sistemare; non che le sarebbe servito a qualcosa, visto che la testa vagava verso l'incontro sempre più vicino, ma almeno avrebbe potuto immaginarsi più rilassata di quanto fosse.

"Sai che non potete continuare" si disse di nuovo, nel tentativo di placarsi. "Meglio così. Non merita una come te."

Si stava mangiucchiando l'unghia dell'indice, pensando che poi avrebbe avuto bisogno di almeno un paio di ore in piscina per lavare via tutto lo stress che stava accumulando, quando Neela bussò allo stipite della porta, fermandosi sulla soglia.

"Sì?"

La coinquilina dondolò sulle punte, la bocca arricciata in una smorfia. "Io stavo per uscire."

Cleo accolse le sue parole con un "Oh" deluso, senza sapere cos'altro dire. Non che avesse sperato nel supporto completo di Neela, ma l'idea di affrontare Giulio senza avere nessuno da cui rifugiarsi o con cui fingere di stare bene aveva dello sconfortante. Non voleva essere da sola, non più.

"Penso sia meglio lasciarvi un po' di privacy, ecco" continuò l'altra, gesticolando appena. "Andrò a fare una passeggiata o qualcosa di simile..."

Cleo annuì, l'ansia che all'improvviso si scioglieva in qualcosa di diverso, che riportava a galla la voglia mai sepolta di chiudersi ancora una volta in se stessa e in camera. Avrebbe potuto riflettere ancora sulla questione, magari trovare una soluzione diversa...

"Ho un'idea, però."

Le parole di Neela la riscossero dalla catalessi in cui era caduta. Cleo rabbrividì nel rendersi conto di aver davvero pensato di fuggire di nuovo, il desiderio come una corda legata in vita che si tendeva sempre di più per trascinarla verso il fondo; eppure, lei aveva le spalle abbastanza larghe per risalire, le aveva sempre avute. L'importante era puntare verso la superficie dell'acqua.

"Quando avete finito mi chiami, così, se hai voglia di qualcosa da mangiare o chissà che altro, lo compro prima di tornare" disse intanto la coinquilina, sempre dondolando sulle gambe. "Altrimenti niente. Ma magari potremmo uscire. Insomma, combinare qualcosa."

Cleo sentì gli occhi umidi, tanto che deglutì e prese un respiro profondo. "Va bene" mormorò, altri vecchi pensieri che le bussavano all'anticamera del cervello e le ricordavano quanto il suo comportamento con Neela fosse stato terribile. Ma dopo Giulio si sarebbe occupata di lei, si sarebbe impegnata a essere migliore.

"Sicura?"

Cleo annuì. "Certo, vai pure e non preoccuparti" confermò, sforzandosi di sorridere. "Sei..." Si fermò, la gola chiusa in una morsa. "Grazie. Non credo di meritarmi una persona come te."

"Ovvio." La coinquilina fece una risatina, scuotendo la testa. "Ma tranquilla che non sei l'unica" aggiunse, facendole un occhiolino. "Ora vado, in bocca al lupo."

Cleo la salutò come una bambina, la mano aperta e poi chiusa a pugno, in parte più leggera. Nonostante tutto, Neela ci sarebbe stata.

I primi tempi, lei e Giulio avevano trascorso molto tempo assieme nell'appartamento di Cleo, certe volte per il puro desiderio di farsi compagnia, che li spingeva anche solo a sedersi uno al fianco dell'altra, ciascuno intento a studiare, altre in veste di appuntamenti veri e propri, quando riuscivano a cacciare Neela. A un certo punto Corrado aveva commentato sarcastico che potevano chiedere alla coinquilina di levarsi di torno e iniziare a convivere, visto quanto stavano appiccicati, ma Cleo non aveva fatto in tempo a riflettere sulla possibilità che Giulio era stato risucchiato dall'università.

Non ci aveva dato molto peso, ma ora, vedendo il ragazzo muoversi impacciato per il salotto, si chiese quando avesse perso la familiarità che, un tempo, l'aveva portato a buttarsi sul divano senza neanche attendere un invito a mettersi comodo.

"Senti, Cleo, vorrei chiederti scus..."

"Vieni qui" lo interruppe, battendo una mano vicino a lei e scostando il cellulare, quasi a creare un'invisibile barriera tra loro. "Non hai niente di cui scusarti, quindi, per favore, non farlo."

Giulio sospirò per l'ennesima volta da quando si erano salutati una decina di minuti prima e, dopo un attimo di esitazione, la raggiunse a passi pesanti e si mise al suo fianco, rigido. Aveva provato a baciarla all'ingresso, ma Cleo aveva scostato il viso, per nulla desiderosa di dargli false speranze; sarebbe già stato difficile senza quelle.

"Come è andata a Como?" le chiese, la voce bassa. "Come stanno i tuoi?"

Lei scrollò le spalle, le menzogne come bolle di sapone tra i pensieri. "Niente di particolare... Loro stanno bene" disse, vergognandosi per la facilità sempre maggiore con cui fingeva. L'alternativa, però, era peggiore, e non voleva ferire Giulio più del dovuto.

"Direi che è meglio farla rapida" parlò, notando l'altro irrigidirsi ancor di più. "Io non... non credo che possa continuare così, tra noi." Cleo deglutì, le mani intrecciate e il piede a scandire la sua ansia sul pavimento. "Penso sia meglio finirla qui, ecco tutto."

Non appena pronunciò le ultime parole sentì sollevarsi un peso enorme dal petto. Un sollievo, nonostante un leggero pizzicore agli occhi, segno di nuove lacrime che volevano scendere; non riusciva a capire se fosse dovuto al fatto di stare all'improvviso bene, oppure perché aveva distrutto per davvero ciò che c'era stato tra lei e Giulio. Ma era la cosa giusta da fare, già da molto tempo, e lei era stata cieca e stupida a non volersi fidare dei consigli di Corrado, che invece aveva compreso tutto.

Giulio, nel frattempo, aveva incrociato le braccia al petto, lo sguardo puntato sulle scarpe e il respiro sempre più pesante. "Sei... sei sicura?"

"Sì."

"Non credi sia solo un momento?" le chiese, trovando il coraggio di alzare la testa e guardarla. "Penso che le cose potrebbero sistemarsi, sai? Abbiamo bisogno di stare più tempo assieme, di parlarci di più... e fare tutto quello che facevamo prima."

Cleo scosse il capo e provò a interromperlo, ma l'altro le parlò sopra, costringendola al silenzio.

"Insomma, vuoi davvero buttare tutto?" le chiese, spalancando le braccia. "Non sarà perfetto, ma è una cosa bella. Io la trovo bella."

"Certo che lo era, ma..."

"Ma?" Giulio inarcò un sopracciglio. "Cosa è successo?"

Lei si strinse nelle spalle, la gola secca. "Solo... solo che non ti amo più."

Il ragazzo accolse le sue parole con un silenzio stoico, che le fece venire i brividi. Avrebbe voluto essere più delicata, più dolce, più attenta... ma la verità era che non esistevano altri modi, non senza parlargli di Francesco.

"Non avrei voluto dirtelo così, davvero" mormorò, stringendo i pugni. "Mi dispiace. Non voglio farti del male."

Giulio fece un verso a metà strada tra una risata e un colpo di tosse, per poi scuotere la testa. "Lasciarmi è proprio il modo giusto per non farmelo" disse caustico. "Proprio il modo perfetto. Potrei almeno sapere da dove è nata quest'idea? Spero non dal fatto che non riuscivamo a vederci."

"Diciamo che è stata una spinta."

"E il resto?"

Cleo si morse il labbro inferiore, non sapendo da dove partire. C'erano talmente tante cose che l'avevano portata a una simile decisione che si sorprendeva Giulio non riuscisse a immaginarne neppure una; anche il solo fatto non ci fosse più un briciolo di intimità tra loro avrebbe dovuto essere un campanello d'allarme.

"Per esempio, ci sarebbe che non..." iniziò, ma la vibrazione del cellulare la interruppe. Abbassò lo sguardo pregando ogni santo conosciuto che fosse il fratello, o ancora Neela che, presa da una curiosità improvvisa, avesse deciso di chiamarla, oppure i genitori, desiderosi di saper come stesse, ma il nome che capeggiava sullo schermo era l'unico che non sarebbe mai dovuto comparire. Francesco la stava chiamando.

Giulio si sporse in un riflesso e il volto già modellato dal dolore si increspò ancor di più, mostrando una delusione che le spezzò il cuore; quando sollevò lo sguardo, Cleo non ebbe la forza di sostenerlo, in una silenziosa ammissione di colpa che lo fece sospirare.

"Cleo..." mormorò, il tono ridotto a una supplica. "Dimmi che non è come penso."

Lei rimase il silenzio, la vibrazione che continuava imperterrita e le faceva venire voglia di lanciare l'apparecchio fuori dalla finestra. Se almeno l'avesse tenuto girato, avrebbe potuto attaccare e fingere che fosse la chiamata di qualcuno di innocuo, ma non le era proprio passato per la testa che Francesco potesse pensare di contattarla.

"Cazzo" pensò all'improvviso, desiderando darsi una manata in fronte. "Le chiavi."

Tanto era stata presa dal ritorno di Corrado che le era passato di mente di scrivergli che le aveva tenute lei.

"Allora?" la incalzò Giulio, quando il telefono la smise di vibrare.

Cleo lo prese in mano e lo infilò in tasca, nella speranza di non avere altre interruzioni ancora più compromettenti – se le fosse arrivato un messaggio in cui le chiedeva dove avesse messo le chiavi non avrebbe più potuto negare niente –, per poi deglutire. Non sapeva cosa dire, però.

"Più stai zitta, peggio è" rimarcò Giulio, alzandosi in piedi. Si mise a camminare avanti e indietro, avanti e indietro, e il desiderio di piangere tornò prepotente; ma non doveva farlo, per nessun motivo.

"È un mio amico" disse, e si sorprese nello scoprire la voce più salda e convinta di quanto avesse mai potuto immaginare.

L'altro accolse la menzogna con una risata amara. "Non farmi essere volgare."

"Davvero, non c'è nulla tra noi" rimarcò lei, alzandosi e fermandosi davanti a Giulio, così da bloccare il moto che le stava facendo venire il mal di mare. Represse l'istinto di prendergli le mani e si costrinse a guardarlo negli occhi. "È un tizio che ho conosciuto in panetteria un mesetto e mezzo fa. Spesso fastidioso, ma sa anche essere simpatico."

"Non trattarmi come un idiota." Giulio si scostò e, deciso, tornò all'ingresso, dove indossò il cappotto. "Non voglio sapere cosa hai fatto, né da quanto va avanti" aggiunse, dandole le spalle e con la mano ferma sul pomello della porta. "Solo... sei contenta? Ti senti a posto con te stessa?"

"No."

Ma non lo disse. Cleo preferì rimanere ancora in silenzio, troppo stanca per ammettere quanto si sentisse un disastro e quanto odiasse il fatto che si stessero lasciando così. In compenso, forse Giulio si sarebbe sentito meglio a odiarla, piuttosto che a compatire solo se stesso; c'era del rassicurante in un'idea simile, qualcosa in grado di calmare anche lei. Meritava di essere odiata, in fondo.

"Come pensavo" mormorò il ragazzo, uscendo infine dall'appartamento. "Non cercarmi più."

Il rumore della porta che sbatteva sottolineò il punto fermo dell'ultima frase.

Angolo autrice

*compare dal fondo facendo ciao ciao con la mano*

Buonsalve a tutt*, qui è Rebecca che parla – e intasa un angolino della storia per darvi una piccola e antipatica notizia. Come la cara Cleo, sarò molto rapida:

nelle prossime due settimane, purtroppo, non potrò aggiornare.

So che non è la cosa più carina da fare alla vigilia dell'ultimo capitolo – eh già, col quindicesimo la storia si chiude –, ma purtroppo non sarò a Milano entrambe le volte, causa settimana negli Stati Uniti la prima e ritiro di arti marziali la seconda, e al momento posso solo usare computer per aggiornare, in quanto l'applicazione sul telefono ha stabilito che le fa schifo pubblicare i capitoli. Non chiedetemi come sia possibile, perché sono mesi che me lo domando anch'io.

Forse potrei pubblicare di volata il 15 giugno, ma non vi prometto niente perché, appunto, mi starò preparando per il ritiro.

[tutto questo se il pc non mi muore durante il cambio della batteria, ma è un dettaglio trascurabile]

Mi cospargo il capo di cenere e vi saluto, nella speranza di sentirci presto.

Rebecca

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