Jennifer

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Era poco meno di un mese, che la mia vita era finita nelle mani del mio sposo, Luke, non era un tipo davvero severo, solo che il suo carattere lunatico lo rendeva facilmente irascibile.

Nonostante il tempo trascorso chiusa in queste mura, non sono riuscita in queste settimane ad ambientarmi, mi sento ancora più sola e spersa. Tutto ciò che vuole Luke da me, è un figlio maschio, e ovviamente sfruttare il mio corpo e il potere che ha su di me. Queste leggi io le odio, non le sopporto vorrei che svanissero, fossero cancellate, eppure questa è l'unica vita che ho sempre conosciuto: paura, sottomissione, obbedienza. Mi spaventa il pensiero che per tutta la mia vita, farò solo questo obbedire e strisciare, vorrei potermi innamorare di lui, ma come posso? Ogni venerdì e sabato sera se ne va, mi lascia sola. Lui e i suoi amici vanno in discoteca, ballano, bevono, trombano e poi quando torna da me, si aspetta rispetto  e dedizione. Eccolo sta rientrando come ogni sabato sera sono le due passate, come ogni sabato sera l'ho aspettato sveglia, in ginocchio e nuda nella posizione che più si addice a una sottomessa, lui entra e sbatte la porta forte, qualcosa è andato storto. A un livido su un occhio "muoviti, prendi del disinfettante" mi sbrigo a eseguire, mi alzo in piedi e mi dirigo nel bagno che abbiamo in camera. Le mattonelle color avorio e i sanitari neri mi ammagliano sempre. Dopo aver preso il necessario torno nella stanza da letto e mi avvicino lentamente al letto a baldacchino, scanso le tende di lino d'orate e lo trovo lì senza maglietta, disteso. I suoi pettorali risaltano subito alla vista, come i suoi bellissimi addominali, per quanto male mi faccia ammetterlo, credo di provare qualcosa per lui. "cosa, aspetti, ti muovi?" la sua voce non è calma, ma nervosa e piena di rabbia, ho paura in questo momento potrebbe farmi qualsiasi cosa. "Si padrone, scusatemi" mi avvicino il più lentamente possibile, m'inginocchi dal lato opposto e con la massima delicatezza comincio a passargli il disinfettante, mentre lo faccio, sento che emette dei mugolii di dolore. L'occhio non è solo viola, ma tutto intorno ci sono dei graffi e anche il labbro sanguina "mi dispiace padrone", ho paura davvero tanta, sento la sua mano percorrere e la mia schiena avanti e indietro e poi arrivare ai miei fianchi, fino a scendere sul mio sedere dove si ferma, le sue dita cominciano poi a muoversi in basso verso la mia intimità, io lo lascio fare mentre continuo a svolgere il mio lavoro. Quando sto per finire, causa il mio muovermi come risposta alle sue provocazioni gli faccio male, lo sento gemere e poi un forte schiaffo si abbatte sulla mia guancia destra. "sei un imbecille" io sono rannicchiata a terra, in ginocchio, inerme e in attesa di una sua decisione. Si sta avvicinando lo sento, immagino i suoi occhi scuri su di me, spero non mi faccia troppo male "padrone, vi prego, non fatemi male, o almeno non troppo, non volevo, vi chiedo scusa" "zitta, e vai a prendere la frusta, ora!", alzo gli occhi imploranti su di lui, ma non vedo segno di ripensamento così sconfitta vado verso l'armadietto in cui tiene tutti i suoi giochi perversi. Quando ho preso la frusta gli e la porto, so già cosa desidera e così eseguo, mi posiziono con le braccia aperte in modo da afferrare le estremità delle manette legate alle colonne del letto, faccio lo stesso con le gambe, lui viene e mi lega, ma so che non è finita ora arriva la parte peggiore l'umiliazione "padrone, vi prego punitemi" "perché?" "perché me lo merito, ho sbagliato e devo essere punita" dette queste parole, lui alza la frusta e colpisce io ringrazio e chiedo scusa, così fino a quando non smette. Lo sento ansimare alle mie spalle, credo si sia calmato, mi slega sto per cadere a terra quando le sue braccia mi trattengono in piedi, mi prende in braccio. Ora siamo entrambi nella vasca da bagno, sta pulendo le mie ferite e con dolcezza mi bacia. Una volta lavati e asciugati mi porta a letto e mi addormento tra le sue braccia. La paura che m'incute è pari alla sicurezza che mi trasmette nei suoi abbracci. Vorrei che questi momenti non finissero mai.

Quando è mattina, ci alziamo e facciamo colazione entrambi insieme, questa volta ho il permesso di mangiare a tavola con lui per me è molto significativo come gesto. Finita la colazione, lui si alza e si dirige nel suo studio, così io inizio a svolgere i miei doveri. Mi sto dirigendo verso la biblioteca quando vedo l'inserviente Darek che mi sta venendo a chiamare, appena lo vedo m'inginocchio e abbasso la testa, inserviente o meno è un uomo e conta più di me, di essere punita per questo errore non mi va. "Il tuo padrone, ti aspetta nel suo studio" "vado subito, signore." Mi alzo e m'incammino in direzione del suo studio, lungo la strada c'è una galleria piena di specchi e candelabri d'orati al cui centro è disposto un meraviglioso pianoforte azzurro, passando non posso fare altro che specchiarmi. Il mio corpo è completamente scoperto, se non per una gonna molto lunga bianca e trasparente e spaccata dalla caviglia ai fianchi in entrambe le parti, sui polsi indosso dei bracciali d'orati molto leggeri come sulle caviglie, alla fine hanno degli anelli grazie ai quali lui può legarmi quando vuole. Il collo è ornato da una striscia d'orata con un anello cui si attacca un guinzaglio, sopra, c'è scritto la cagna di Luke. Quelle parole, mi feriscono nel profondo, alle volte mi chiedo se ci sia un'altra vita al di fuori di questa, se esista un'altra possibilità, un amore diverso ma mio padre e mio fratello così come i genitori e i famigliari di ogni mia amica, mi hanno sempre detto che solo questa è la strada giusta, che questo sia l'amore: Obbedienza, sottomissione e paura. Questo è stato il mio mantra fin da bambina. Sono una donna, un essere inferiore, non valgo nulla. Queste le parole che mi hanno obbligato a scrivere, a ripetere e a pensare per centinaia di volte al giorno, le ripetevo mentre venivo punita, mentre pranzavo, mentre giocavo, prima di andare a dormire e durante le sculacciate serali. Ormai ho sedici anni e mi chiedo se io sia una donna o un'oggetto, se ho dei sentimenti o se questi non debbano esistere, mi chiedo se questi occhi un giorno guarderanno mai il tramonto ed un alba. Devo andare dal mio padrone, mi sono fermata troppo a riflettere su queste cose.

Alla fine della galleria, c'è una porta di legno scuro, busso e una volta ricevuto il permesso entro. Appena sono dentro e ho chiuso la porta mi accuccio a terra e cammino a quattro zampe sino al centro della stanza, dove è sistemato un grande tappetto rosso vino. Giunta lì m'inginocchio e attendo "ci hai messo molto" "mi dispiace padrone" mi fa segno di avvicinarmi, "sai che ore sono?" "no, padrone", con la mano mi fa segno di stendermi sulle sue ginocchia ed io capisco al volo, deve punirmi, sono le quindici. Ogni giorno alla stessa ora mi punisce, dice che serve per ricordarmi la mia situazione da sottomessa, da schiava eppure tutto quello che ho indosso, che dico o che faccio me la ricorda, ma per lui non è abbastanza. Così mi stendo, comincia lentamente a tirare su la leggera stoffa trasparente della gonna, mi carezza i glutei e poi arriva la prima forte sculacciata, così per altre ventinove volte, alla fine ho le lacrime agli occhi lo ringrazio per questa punizione e ritorno in ginocchio, ma questa volta accanto alla sua sedia.

Dopo un po' mi fa segno di dargli piacere, così vado sotto la sua sedia e comincio a fare il mio lavoro.

La mia mente, il mio corpo e il mio destino non esistono, sono solo uno strumento. Mentre eseguo i suoi ordini, sono queste le parole che mi ripeto, vorrei smettere, lottare, ma che vita c'è oltre a questa? Chi sono io, se non sono una schiava? Dopo avere incontrato quella ragazza, dopo le sue parole nella mia testa si era scatenata una valanga di emozione, di domande cui non sapevo porre rimedio. Fino a quel giorno avevo creduto che tutto quello che avevo subito, e che sopportavo fosse giusto, avevo creduto che la strada che era stata prefissata per me fosse l'unica verità. Ora mi domandava se ci fosse un'altra strada e un'altra verità.

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