Il regalo

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All'improvviso un giorno o una notte, non saprei dirvelo, sentii in lontananza dei passi avvicinarsi alla porta della mia prigione, ed ecco apparire davanti ai miei poveri occhi una luce fioca, ma troppo accesa per chi non vedeva la luce del sole da giorni ormai. Poi sentii delle voci e qualcuno liberarmi da quelle catene e condurmi fuori di lì, in corridoi eleganti e super chic pieni di cose magnifiche e super costose. I due uomini mi trascinavano come se fossi una piuma, ma dovevo esserlo né ero sicura, ridotta sottopeso dal poco cibo che mi era dato, per loro non era difficile trasportarmi in queste condizioni. Dopo molti corridoi con tante porte, suppellettili e decorazioni arrivammo davanti ad una porta con su scritto una qualche frase, alla fine capii essere il bagno appena fui dentro i due omaccioni che mi avevano tenuta fino ad allora, mi misero nelle mani di una vecchia che mi guardò piena di ansia e di dispiacere, finalmente sole, mi svestii e la signora mi aiutò ad entrare nella vasca "è magnifico qui, è cosi caldo e anche l'acqua lo è" "sai quale è la cosa più bella che nonostante, ciò che hai passato e che stai per passare sul tuo volto c'è ancora quel bel sorriso, non permettere a nessuno di portartelo via" "non lo farò mai" guardai i lividi sui miei polsi e sulle mie caviglie, chi sa se sene sarebbero mai andati via. Poi mi accorsi di avere fatto una tremenda figuraccia "ehm, scusa io mi chiamo Meredith, tu sei" "io sono Carla" e così conversammo per tutto il tempo in cui si prese cura di me, fui depilata, i miei capelli acconciati e infine dovetti indossare un vestito blu marino che era cosi corto e scollato da mettere in mostra ogni singola parte del mio corpo, persino le forme più nascoste. In imbarazzo segui Carla fuori dalla stanza da bagno e ci dirigemmo verso un immenso salone ricco di oggetti doro e d'argento con poltrone e divani in pelle, e una tv gigante, al centro c'era un tavolino su cui sedevano sei persone, tre le conoscevo già erano quelli che mi avevano comprato le altre no, appena fui dentro sentii la voce di quel maiale che mi aveva toccata tutto il tempo nella sua auto "in ginocchio, davanti al tuo futuro padrone" disse alzandosi e lo stesso per imitazione fecero gli altri due uomini che erano seduti li con lui, appena mi furono vicino gli sputai in faccia, "io non ho padroni, non apparteng..." mi arrivò una scossa elettrica fortissima, così forte da farmi accasciare a terra "l'adoro, mio figlio si divertirà con lei" "grazie, mio signore" "si, non è male" due occhi neri come la morte mi stavano fissando "tu, da oggi io sono il tuo padrone, il mio nome è Erick, ma tutto ciò che tu dirai sarà si padrone" io lo guardai di rimando con occhi carichi di odio e subito mi arrivo un forte schiaffo "non devi mai guardarmi negli occhi, ora sta qui" le sue parole furono seguite da un forte calcio nello stomaco per farmi restare sdraiata ai suoi piedi "mio, signore la ragazza venendo dalla zona rossa non sa leggere, ne scrivere, è perfetta per essere la moglie di vostro figlio, una volta educata non avrete problemi" "già lo credo anche io".

Erick, colui che avrei dovuto chiamare padrone, si avvicinò a me e mi trascinò per tutta la stanza fino a quando non fummo vicini alla sua sedia allora tirò fuori un guinzaglio e lo legò al mio collare per poi legarmi alla sua sedia "ora sta qui, mentre noi mangiamo e parliamo" così trascorsi tutta la serata legata ad una sedia e accanto ad un maniaco, che di tanto intanto si divertiva a strattonarmi o a toccarmi. "Direi che il regalo è di vostro piacimento, "si molto, come immagino, che mia sorella sia di gradimento per tuo figlio, vedendo che non sono a cena con noi" "oh be direi di si, si stanno impegnando per darci dei nipotini" "allora ai nipoti!", Urlò il padre di Erick, ma più che essere un festeggiamento alle mie orecchie, suonò come politica. Fino a un mesa fa ero una donna libera che correva, camminava e urlava, ora invece ero una schiava ridotta a camminare a quattro zampe per la volontà di quel pazzo. Sedevo all'interno di un'auto troppo lussuosa per i miei gusti e vedevo scorrere davanti a me mille e più luci che mai avevo visto in tutta la mia giovane età. Eppure sarei scappata alla prima occasione, e forse lui lo sapeva, visto che aveva legato i miei polsi ad un apposito anello presente nell'auto, più passava il tempo e più mi convincevo che i miei polsi non sarebbero mai stati liberi da quelle manette cosi come le mie caviglie sarebbero rimaste per sempre imprigionate dalle cavigliere, che ora non erano più di ferro, ma di platino come le manette, ma pur sempre erano gabbie invisibili, che mi tenevano ancorata ad un mondo che non era il mio, e che non lo sarebbe mai stato. Con questi pensieri mi addormentai, sognando per la centesima volta che tutto questo fosse solo un incubo.

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Ero stata tutta la serata chiusa in camera, Luke non mi aveva concesso il permesso di stare a cena con i miei, mentre lui di nascosto era uscito dall'uscita secondaria per andarsene in discoteca. Avevo sentito le risate degli ospiti e di mio fratello, quando era stato portato loro il regalo, una povera ragazza, che fino a un mese fa era stata libera e che non sapeva nulla di tutto questo mondo. Avrei voluto correre giù e dire a tutti quanti di smettere, ma non potevo ero incatenata alla spalliera del letto e sulla mia bocca Luke aveva messo la soft ball, così non avrei potuto nemmeno volendo disubbidirgli, se il padre avesse saputo di questa sua mancanza di rispetto, lo avrebbe ucciso di certo.

Qualche tempo fa, mentre giravo di nascosto per la casa, mi ero in battuta nelle prigioni, dove avevano rinchiuso quella povera donna, avevo visto i suoi occhi azzurri pieni di lacrime, mi ero avvicinata chiamandola. Lei sentendo una voce femminile, si era avvicinata subito. Non ricordo per quanto tempo restammo a parlare, ma in quegli attimi tentai di rassicurarla e di farla ridere. Scoprii però che nonostante la paura lei aveva molto più coraggio di me, voleva scappare, nei suoi occhi c'era una luce diversa da quella che brilla nei miei, aveva impresso il desiderio della libertà e della vita. Due cose che a me furono tolte tanti anni fa. Purtroppo la nostra conversazione fu interrotta dalle grida furenti del mio padrone che mi cercava da molto ormai. Quando lei vide la paura nei miei occhi, mi disse "non avere paura, un giorno ti porterò via da qui, io ti salverò". Non credo ci riuscirà mai, eppure quelle parole hanno acceso qualcosa dentro di me, come una piccola luce che non brillava più da tanto tempo.

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