Adoro viaggiare in treno da sola, avere il tempo di godere della mia terra senza il rimorso d'essere inattiva.

Ai nostri giorni è un crimine non impiegare costruttivamente ogni istante e non essere in contatto, perennemente, col mondo. Ma in treno io silenzio il cellulare e mi godo le colline, gli alberi e le case perse nella campagna.

Oggi però un imprevisto mi ha distratto, un oggetto infilato tra schienale e sedile che ha attirato la mia curiosità. Un quadernetto consunto, immagino dimenticato, che sfoglio per decidere se consegnarlo al controllore. Curioso davvero, le prime pagine son solo disegni. Schizzi, frammenti di immagini. Occhi, che fissano altrove. Accenni di profilo, particolari di una bocca, di un naso. Mani, tante mani. Direi maschili, in pose strane, mani nell'aria con le dita aperte, curve... Danzano? Ah no... suonano!

Ho letto che le mani sono rivelatrici della bravura d'un disegnatore, perché difficili da rendere naturali, espressive, addirittura più di un volto.

Fra tanti abbozzi, ogni tanto, trovo parole. Slegate, criptiche: Sorridi. Sole.

E ancora schizzi.

Poi di colpo volto pagina e non ci son più disegni, ma graffi di matita, segni come virgole che piovono ossessive, a ventaglio, senza un soggetto identificabile.

Sorridi a Laura. Sempre più vicini, parlate. 

Buio. Freddo. Pioggia.

E pagine coperte di tratteggi sovrapposti, rimarcati.

Può trattarsi d'un diario di nuovo genere? Poche parole e disegni che esprimono stati d'animo? 

Tra i fitti tratti incrociati, leggo ancora : Lacrime di pioggia. Anno finito. Freddo d'estate.

Mi trovo a ricostruire un possibile scorcio di vita: ipotizzerei che un musicista ha fatto amicizia con tal Laura, e questo sta dando dolore al disegnatore/disegnatrice. L'anno, forse scolastico, finendo ha concluso le occasioni d'incontro? 

Nella mia città c'è un conservatorio famoso, e nello stesso austero edificio ha sede una scuola d'arte. Spesso si organizzano eventi combinati, le classi di musica tengono il saggio di fine anno in ampi locali che espongono, anche, le migliori opere dei giovani pittori e scultori che hanno utilizzato come modelli i musicisti. 

Due allievi... spiegherebbe gli schizzi, potrebbero essere appunti per un quadro.

Incerta se tenere con me il quadernetto, già progettando di andar a curiosare alla ricerca del quadro cui possano corrispondere questi studi, vado all'ultima pagina: mi sorprendo, è fitta di scrittura!

Laura mi ha parlato. 

Ti sei avvicinato a lei, mia amica, perché non osavi parlarmi. Io così bella, ma lontana e solitaria, le hai detto. 

Hai suonato per me ma io non ho apprezzato, non ti ho ascoltato, non ti ho visto! Hai confidato d'andar via deluso, ferito dalla mia indifferenza.

Io, bella? Io con la mia mediocrità, con le mia ciglia corte e rade, con il mio corpo abbondante? Io, che sono lontana e solitaria per non costringere nessuno a starmi accanto, silenziosa perché non so trovare parole, io che parlo disegnando ciò che sento, incollando sulla tela i sentimenti col colore...

Tu suonavi per me? Credevo fossero per Laura, le tue note... per lei a cui sorridevi... Anche tu non sai parlare, anche tu incolli i sentimenti ai tasti del pianoforte.

Non va, questo.

Ho preso il treno, pensando di offrirti questo quaderno, che avrebbe parlato da solo.

Ma seduta in questo scomparto che tante volte, forse, è stato il tuo, ho capito che per me vali e meriti di più, di come mi sarebbe facile ma inadeguato; ho deciso che se sufficiente coraggio ho trovato per salirci, sul treno, bastante dovrà essere anche per lasciare qui la vecchia me. 

Tu meriti che trovi il coraggio di parlare.

Chiudo con cura il quadernetto, non dimenticato ma affidato al caso, come una bottiglia col messaggio dentro, nelle braccia delle correnti marine. E visto che io scrivo, essa è finita sulla mia spiaggia, giustamente.

Scendo dal treno sorridendo, già immaginando come narrerò di loro, dei due giovani artisti che non sapevano parlare che con gli accordi e i colori.