L'alba

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"Max", sussurro nella cornetta, "c'è un problema". 

Un problema. Quando la vita ti travolge fisicamente, perdi contatto col mondo. Quello rotola come sempre, ignaro di tutto, e tu pure lo ignori, concentrata solo sul minuscolo l'orizzonte del tuo corpo, di quel che gli accade. 

Poi scopri, casualmente, che gli eventi di fuori interferiscono con la tua vita, e tu non puoi contrastarli. 

Il Papa. Non un personaggio qualunque del jet set, un attore, un politico... il Papa! 

Dio, non posso crederci. E non è un invocazione gratuita, direi.

Il Papa viene in città. Questa città. Proprio in questo momento. Assurda coincidenza! Quante visite di un papa ha visto questa città in un millennio? Nessuna. E viene domani. La città sarà blindata, non si potrà entrare né uscire.

"Max, resteremo bloccati. Dove eravamo, mentre al mondo si annunciava il viaggio del papa? Da quanto si organizza, un anno, sei mesi? E noi l'abbiamo ignorato".

 ...

 "Non potrò uscire in tempo. Ti dico che non mi lasciano andare senza una firma su quel foglio. E chi firma non sarà qui prima delle otto. Per quell'ora gli accessi alla città, nei due sensi, saranno già bloccati da un'ora. Dobbiamo rinunciare". 

E lo dico col pianto in gola, perché ho bisogno di lasciare questo posto.

 ... 

"Come fregarsene? Max... ti rendi conto? Non posso"

 ...

"Ma così ci assumiamo una responsabilità che è... Sì, ho capito che sei pronto a tutto. Che è arrivato il nostro tempo e che da ora in poi tutto cambia ma... vuoi veramente che forzi l'uscita, che fugga senza aspettare quella firma? Sai che possono bloccarmi fisicamente? Che non possiamo legalmente fare questa cosa?"

 ... 

"Max, questo è sleale. Certo che mi fido completamente di te... no, anche io non ce la faccio più..."

 ...

"Va bene. Sarò pronta. Non so come, ma ce la farò". 

Passa la notte, tra dolore e brandelli di sonno inquieto. Controllo l'orario infinite volte. Mi alzo piegata in due, e arrivo al bagno. È una cosa lunghissima e dolorosa e sporca. Alla fine ne esco, vestita. 

È ancora tutto buio, ma so che sei già fuori, forse, o lo sarai a minuti. Ti conosco, anticipi sempre. Misuro con gli occhi la stanza che devo attraversare. Mi trascino, e mi si stringe lo stomaco per la paura. Come ce la farò? Come affronterò, fisicamente, i giorni che vengono? 

La casa, sarà la mia medicina!, mi rispondo. 

Il tempo e la casa. Non quella in cui sono cresciuta; che, poi, non è stata una ma dieci, venti, tante che non le ricordo, si confondono tra loro. 

No. La casa che mi aspetta, quella mi rimetterà in piedi in niente. La casa fatta di carne e sangue e amore, fatta di te, di noi. 

Non saluto nessuno, di chi dorme nei letti. Le strade si dividono qui, dopo un breve incrociarsi. La mia parte oggi, parte ora, con un borsone minuscolo che metto in ascensore. Poi torno a prendere la sola cosa che mi è indispensabile, da ora e per sempre, che era accanto al mio letto.

In qualche modo arrivo all'uscita, ti vedo al di là del vetro, ora varco questa soglia e ci sarai tu, sarò al sicuro. E incredibilmente nessuno mi blocca. 

In macchina realizzo che ce l'ho fatta. L'ultima volta che sono stata in un'auto, tremavo di paura. Ora è passata, sono fuori. La macchina percorre strade deserte e tu sorridi, un occhio alle strada, uno dietro. Sei bellissimo quando sorridi. 

 Appena fuori città una pattuglia dei carabinieri ci ferma. Dovevo saperlo. 

Abbiamo forse un aria sospetta, un uomo e una donna a quest'ora? Quella in cui le stelle illanguidiscono e le sagome degli ulivi, da nere, prendono i primi colori? A Oriente il cielo è già più roseo e il carabiniere si china verso l'abitacolo. Scruta dentro sospettoso. 

Perché quella copertina? 

"A quest'ora fa freddo", gli rispondi scendendo dall'auto al suo invito. Vuole che gli apri la macchina, vuole vedere con i suoi occhi. 

Scendo anche io, apprensiva. So di essere pallida, ancora gonfia, segnata. Tu scosti la copertina e io sto in guardia, non si sa mai voglia toccare il mio tesoro. 

Nessuno lo farà mai, me viva. Sono già, ormai, la tigre che protegge, terribile. 

 Ma non serve, lo sguardo del carabiniere è uno spettacolo. Dietro la copertina, si muove piano e fa smorfiette nostra figlia di quattro giorni. 

La portiamo a casa, finalmente. Non vedo l'ora che sia nella culla che le abbiamo preparato, non vedo l'ora di poterla accudire io, di non saperla in mano alle infermiere, solo un lavoro, solo un neonato tra tanti. 

 A casa, la portiamo! Ora, subito, senza un istante in più in quel posto estraneo. Ancora cammino male e mi sento uno straccio, ma da qui in poi tutto sarà magnifico. L'alba sorge, il carabiniere ci saluta facendoci i suoi migliori auguri.

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