Teresa dell'altro secolo ancora

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"Allora andrò da sola".

La donna si infilò decisa i guanti e montò sul carrozzino.

"Ma signorina..."

Il giovane non sapeva come intervenire per impedire quello scandalo, ma Teresa prese le redini con mano risoluta e pochi minuti dopo fu nelle vie del centro, col cavallino volenteroso lanciato al piccolo trotto.

Un passo corto, un'andatura appena allegra, ma la gente si girava egualmente con tanto d'occhi.

Teresa filò via, dritta come un fuso, fino al palazzo dove l'attendevano.

Era un impegno al quale non si poteva mancare, il suo, e il fatto che quel giorno non ci fossero uomini in casa che potessero accompagnarla l'aveva risolta a quel colpo di testa. D'altronde era destinata in tutto, pareva, a essere fuori dalle regole.

Scese dal calessino con agilità e guidò il cavallino nella rimessa, dove accorse il custode, salutandola anch'egli con un'aria sbalordita.

A Teresa venne su una risatina nervosa, che nascose prontamente dietro un saluto composto. Tolse il cappellino e salì al volo le scale.

Al primo piano del grande palazzo c'erano gli uffici della compagnia commerciale per cui lavorava. Lei, una ragazzina di diciassette anni appena! Ma negli uffici tutti gli uomini giovani erano partiti o sul punto di farlo, chi richiamato chi volontario, e il loro lavoro, allora, dovevano svolgerlo le donne.

E non erano tante le qualificate per certi ruoli!

Teresa entrò impettita nell'ufficio contabilità.

Era assai meno sicura di quanto non fingesse, però era determinata a dare una buona prova di sé.

Quelle circostanze straordinarie le stavano offrendo un'opportunità inimmaginabile e con coraggio s'era buttata.

Era cresciuta in un collegio di suore dal quale sarebbe dovuta uscire solo per sposarsi, come sua sorella maggiore e come le altre compagne di origini nobili.

In quel collegio aveva ricevuto una buona istruzione, ma anche un'educazione molto rigida; poi la guerra aveva fatto irruzione nelle loro vite, l'istituto aveva chiuso i battenti e le ragazze erano tornate in famiglia.

Pur senza aver concluso gli studi, Teresa era quanto di più prossimo a un ragioniere la ditta Tosi avesse trovato. Ciò che mancava ancora al diploma e alla conquista della qualifica ufficiale, la giovanissima l'aveva velocemente appreso dall'uomo cui l'avevano affiancata.

Quello le aveva illustrato con cura il lavoro, nei pochi giorni che lo separavano dalla partenza, e tanto era bastato, a lei per subentrargli nella tenuta dei libri contabili, a lui per portare con sé, nei due anni di guerra che andò a combattere, un sogno segreto.

Senza dichiararsi, per non impegnare la giovanissima appena conosciuta in un'attesa di cui non sapeva prevedere il se e il come potesse concludersi, l'uomo se ne impresse in mente i folti capelli neri, l'espressione intelligente, gli occhi mobili e le mani eleganti che segnavano la carta con la grafia impeccabile e regolare dei primi del Novecento.

Il giovane ragioniere partì e Teresa, nata nell'ultimo anno del secolo precedente, prese in quel 1916 a guidare il calesse e a lavorare, con buona pace del mormorare sorpreso di chi l'incontrava.

Andò a lavorare anche al mattino successivo dell'affondamento della Leonardo da Vinci, la corazzata della flotta italiana, la cui chiglia innaturalmente rivolta al cielo si scorgeva affiorare dal mare, dalle finestre dell'ufficio.

Andò a lavorare fino alla fine del conflitto, fino al ritorno del ragioniere che ferito, ma premiato per atti di valore, tornò con onore al suo impiego e alla ragazza che l'aveva fatto sognare, e il cui ricordo aveva alimentato la volontà fortissima di sopravvivere a tanto orrore.

In una foto sbiadita scattata sul terrazzo del palazzo, col mare sullo sfondo, il personale della Tosi posa impettito. Le tre ragioniere vicine, in piedi, coi capelli raccolti eppur gonfi, ad addolcire i volti.

Indossano gonne lunghe e camicette dalle maniche a sbuffo, abbottonate fino al collo. Una castana, sorride. La sua camicia ha uno scollo appena più accennato, con un largo colletto. La più giovane è Teresa, ed è la più rigida. La più infagottata. La più severa.

Nulla a che vedere con le immagini leggere del ritrattista Boldini, per esempio. Sarà lo stesso 1916, ma è un mondo diverso.

Confronto i toni fruscianti, lievi, del rosa di "Olivia Concha" con il grigio del dagherrotipo. Confronto l'espressione intensa, consapevole e conquistatrice della nobile cilena con la chiusa rigidità della nobile italiana.

Studio la scollatura audace, la scarpetta graziosa che spunta dall'abito da ballo paragonandole con le vesti monacali, e gli stivaletti chiusi della foto.

Ripeto, un altro mondo. Avranno vissuto le stesse date e sullo stesso pianeta, ma sembrano lontane come l'oggi dal domani. A portata di mano eppure irraggiungibile.

La ragazza della foto l'ho conosciuta, era mia nonna.

Se credete che il ragioniere poté sposarla, come le chiese appena tornato, devo deludervi.

La trovò fidanzata con un giovane artigiano, che per la guerra non aveva per sua fortuna fatto in tempo a partire. Squattrinato e musicista, s'erano incontrati nella sua bottega per una cassetta di violino che lei desiderava.

Teresa, finita la guerra, sposò il suo falegname.

Ancora e sempre contro corrente lasciò la casa paterna e la sua agiatezza, per entrare in una casa operaia, in una famiglia in cui era malvista per i suoi precedenti 'moderni' e da signora.

Con orgoglio volle dimostrar d'essere donna buona a far la moglie e la madre.

Crebbe quattro figli e visse la tragedia di una nuova, ancora più spaventosa guerra. Nella miseria che seguì nessuno abbisognava più di mobili, e successivamente si aprì l'epoca di quelli costruiti in serie.

La falegnameria entrò in crisi, se avevano vissuto sempre con poco gli ultimi anni furono di stenti umilianti. In vecchiaia, ormai vedova, Teresa dovette affidarsi a una figlia che l'accolse e mantenne, perché un tempo la pensione non esisteva e gli anziani poveri morivano subito, di fame.

Ricordo che aveva con sé ben poche cose, tra cui una foto del suo falegname. Me lo mostrava e a ottant'anni ancora lo fissava innamorata dicendo:"quant'era bello!"

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