18•capitolo -Odio e amo-

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Gonçalo

Sono giorni che Ester non mi sfiora neanche con lo sguardo, sicuramente le parole dell'altra sera l'avranno ferita eppure mi fa strano non vederla mai per casa. Anche a scuola si rifugia in classe e la vedo assente. Un po' mi ci sento in colpa per le cose che le ho detto, per certi versi penso che se lo sia meritato ed è giusto che si prenda le conseguenze delle sue azioni.

Mi guardo allo specchio in bagno e mi sistemo il ciuffo prima di uscire, e quando lo faccio me la ritrovo davanti e mi sembra di non vederla da una vita. Ha gli occhi bassi, quasi non esistessi per lei, non me la dà la soddisfazioni di guardarmi e mi sembra addirittura che sia uno sforzo troppo grande per lei.

Rimango fermo a bloccarle il passaggio e lei non dice nulla, impassibile, assente.

«Adesso non saluti neanche più? È andata a farsi fottere la tua idea del cavolo di provare a stare nella stessa casa?» la provoco per divertirmi un po' ma, quando finalmente alza gli occhi, le sue iridi sembrano spente da qualche sofferenza a cui non so dare un nome. Sembra che non dorma da giorni

«Fammi andare in bagno, Gonçalo...» pronuncia il mio nome non come al solito, dunque incurvo la testa e la osservo, non mi sposto.

«Sei arrabbiata ancora con me per l'altra sera?» spingo le labbra all'insù e sento Ester sfiatare tutta l'aria che ha in corpo.

«Ti dai troppa importanza. Ti prego, spostati!» non pare neanche più lei, e quindi capisco che non posso essere io la causa di tutta questa sofferenza.

«Ester...» tento di dire, ma poi mi ritraggo. In fondo non sono affari miei, non deve importarmi, era quello che volevo vederla soffrire.

Me lo ripeto come un mantra anche quando arrivo in camera mia e metto sulle orecchie le cuffie per ascoltare la musica, ma non c'è verso di cacciare dalla mia testa lo sguardo assente di Ester, mi fa mancare il respiro saperla stare male e mi odio perché non riesco a disinteressarmi di lei. Mi odio perché vorrei andare da lei e consolarla.

Quando arrivo a scuola la cerco con lo sguardo, poi la vedo insieme alle sue amiche. Loro stanno sorridendo tra loro, tutte tranne Ester che invece è ancora persa in se stessa, non sorride, ha gli occhi persi nei meandri della sua testa. Trattengo ancora il respiro e mi domando se sia successo qualcosa con Felipe, visto che non lo vedo in giro. Per le ore successive in classe, i miei occhi rimangono incollati ad Ester che è qui ma pare non esserci davvero. Anche Felipe prova ad attirare la sua attenzione, con scarso successo.

Mi ripeto che non sono affari miei finché non arrivo a casa e prendo il telefono visto che Lola mi sta videochiamando. Sorrido quando la vedo, mi pareva di non sentirla da troppo ed è la persona di cui più ho bisogno visto che sa tutti i miei stati d'animo.

«Ehi azúkar, che si dice?» chiede, mostrandomi uno dei suoi migliori sorrisi. Mi perdo a guardare la sua bellezza e ricambio il sorriso.

«Niente di che, sempre la solita rottura» le racconto. «Mi manca giocare a calcio. A te come va?»

«Bene. Mio fratello è sempre più una rottura e per la cronaca mi chiede di te, se tornerai o meno. Tornerai?» chiede con la solita aria ironica.

«Magari, non ci sarebbe cosa che mi renderebbe più felice, ma non dipende da me» sospiro, «il mio manager non mi ha dato molte speranze» le racconto infine.

«Per il resto? Sembri agitato.» Come al solito mi conosce meglio dei miei amici stessi, si accorge di ogni mia sfaccettatura. Stringo tra le mani il ciuffo dei capelli biondi per poi scarmigliarli e sbuffare.

«Ester è strana!»

«Strana in che senso?»

«Non lo so. Sembra che qualcosa la preoccupi. Mi ignora da giorni, è sempre assorta tra i suoi pensieri e oggi aveva delle occhiaie che sembrava non dormisse da mesi.»

«Hmm...» si morde le labbra e guarda la telecamera. «Era quello che volevi farla soffrire, no?»

Annuisco, ciononostante non sono felice di vederla così.

«Si, volevo che soffrisse a causa mia non per altro. Se Felipe le avesse fatto qualcosa?»

E lei sorride ancora.

«Be'... che le abbia fatto qualcosa o meno Felipe, alla fine l'importante è che ci stia male. Non capisco perché ti preoccupi tanto»

Socchiude gli occhi in due fessure ed è come avercela proprio davanti a me. Stringo le labbra e affondo i denti.

«Come fai a non capire?»

Scrolla le spalle e fa un'espressione strana, indecifrabile.

«Be'... Gonçalo, quella ragazza ti ha fatto del male. E sai, capisco perché tu voglia vendicarti di lei, solo che ad una certa devi fare una scelta: la ami di più o la odi di più?»

Mi lascia spiazzato con questo quesito, sicuramente tutto mi aspettavo tranne che mi piombasse addosso queste parole.

«La odio, è ovvio. Mi ha tradito col mio migliore amico, non potrei mai perdonarla per questo» affermo, ma ammetto che in parte non ci credo nemmeno io. O meglio, ci credo quando le sono distante, quando non posso guardarla e posso semplicemente odiarla, ma quando mi sfiora le labbra, quando i suoi occhi incontrano i miei non posso fare altro che soccombere al brivido che mi suscita. Detesto queste due facce della medaglia.

«Bene, discorso chiuso allora. Tu per la tua strada, lei per la sua. E se sta male se la vedrà Felipe, è lui il suo ragazzo, lui deve prendersi cura di lei.» Il discorso non fa una piega, tuttavia non posso negare il fastidio che sento nel pensarla con Felipe. Lui che si prende cura di lei non è contemplato nella mia mente.

Tento ancora di togliermi il suo pensiero dalla mente ma quando capisco che non ci riuscirò mai, esco dalla mia camera cercando qualcosa di meglio da fare che logorarmi. Passo davanti camera sua, fisso quella porta come potesse in qualche modo parlarmi, poi capisco che è stupido il mio continuare a stare qui, prendo il telefono per scrivere ai miei amici e dirgli di vederci, solo che un singhiozzo udito da lontano mi fa desistere dal farlo. Sono certo fosse Ester e a quel punto non ho più neanche una ragione valida per rimanermene in disparte, o meglio ne avrei tante ma nessuna che mi obblighi a rimanere con i piedi incollati al pavimento. Entro nella sua stanza e la vedo con il corpo raggrinzito, la testa soffocata dal cuscino e so per certo che sta piangendo.

«Che succede?», sfiato una volta che mi sono avvicinato a lei, tolgo con delicatezza il cuscino dal suo viso ma lei resiste e se lo stringe di più per non farsi vedere. «Ester», supplico, come se fosse normale stare qui, vicino a lei.

«Vattene, Gonçalo»

«E se non volessi?», lo chiedo quasi sussurrandolo. «Che è successo?» chiedo ancora, questa volta toglie il cuscino dal viso e mi guarda, gli occhi arrossati dal pianto, le guance bagnate e mi manca il respiro nel vederla così. Quando ho pensato di vendicarmi non ho pensato minimante all'impatto che vederla piangere potesse avere su di me.

«Cosa vuoi da me? Ci hai provato in ogni modo a tenermi lontano da quando sei arrivato, sei stato chiaro nel non volermi vicino, e adesso vieni qui come se fosse una cosa normale», tira su col naso e non rispondo, le accarezzo il viso e col pollice scaccio via le lacrime. Lei mi guarda, le labbra a cuore, bagnate da lacrime che le toglierei di dosso a forza.

«Gonçalo», sussurra, e non ho bisogno di sentire altro per capire che non vuole che me ne vada, che ha bisogno di me e mi avvicino ancora di più. Le lacrime continuano a scorrere giù per le guance, non riesce a fermarle e allora non aspetta un mio consenso per rifugiarsi tra le mie braccia. E in quel momento ho due reazioni: scappare, continuarla a tenere stretta. Non faccio nessuna delle due cose. Lei stringe la mia felpa così forte che pare voglia strapparmela di dosso.

«Mio padre ha un'altra», racconta, nasconde gli occhi mentre lo fa. E io faccio pressione sul suo mento per non farle perdere contatto con i miei occhi.

«Che dici?» mi trema la voce. L'idea che quell'uomo a cui sono molto legato possa essere così poco leale mi fa perdere, ancora di più, fiducia nell'essere umano.

«L'ho visto!». Conferma, mi guarda, tira su col naso e trattiene il respiro. «Stavo tornando a casa e l'ho visto, era... era insieme ad una donna, s-si baciavano» le fa male solo pronunciare queste parole e la capisco, mi sentirei nello stesso modo, mi sono sentito nello stesso modo quando mio padre se n'è andato.

«Sei sicura fosse lui?» domanda stupida, lo so, ma è assurdo pensare a Felix che fa una cosa del genere.

«Si... era... era lui...», non riesce neppure a parlare e mi viene spontaneo alzare il braccio per darle una carezza, ma una volta che la mia mano sfiora il suo viso mi fermo in tempo per non farlo e gli occhi di Ester mi supplicano di continuare.

Non assecondo il mio istinto, né il suo desiderio, penso solo che ho sbagliato a venire qui, perché adesso che ce l'ho così vicina ho solo il desiderio di continuare a starci.

Per fortuna a interrompere i nostri giochi di sguardi ci pensa Esperanza, che chiama la figlia per andare a tavola la stessa cosa fa successivamente con me.

Mi alzo di scatto, ma Ester afferra con tutta la forza la mia mano e abbasso gli occhi incontrando i suoi preoccupati.

«Non dire nulla ai miei...», non c'è bisogno di aggiungere altro per capire. I suoi denti affondano sulla bocca, trattengo il respiro e ancora una volta voglio solo lasciare questa camera per non dare peso alle infinità di sensazioni suscitate dentro di me.

Ci spostiamo in sala da pranzo e Felix arriva qualche minuto dopo. Ester mi lancia uno sguardo quando lo vede, è sofferente, mi fa male vederla così. Soprattutto perché capisco che non deve essere facile, per lei, mantenere un segreto del genere. Continuare a guardare i suoi genitori senza dire nulla. Felix parla alla moglie come nulla fosse, le sorride innamorato e mi domando come si possa essere così tanto falsi, mi uccide il solo pensiero visto il legame che ho con quest'uomo, eppure non riesco a smettere di pensarlo per tutto il resto della cena. Ester va via abbastanza presto, trova un pretesto per allontanarsi e successivamente la seguo anch'io. Mi accorgo che mi stava aspettando, appoggiata al muro e con lo sguardo perso nel nulla.

«Come ha potuto tradire mia madre?», trattiene un singhiozzo, ma non ci riesce e viene fuori un attimo dopo.

«Be', tu dovresti saperlo come!». So che si merita ogni mia parola di scherno, tuttavia questa volta capisco di aver esagerato e che non era di certo il momento per sfogare le mie frustrazioni. Lo capisco soprattutto dall'occhiata gelida che mi manda.

«Sei ingiusto!», blatera. «Non è la stessa cosa, io non ti ho...»

«Cosa?» le piombo davanti, l'appiattisco contro il muro e i nostri occhi è inevitabile che si incontrino a metà strada. «Non mi hai tradito?». Il sorriso amaro contorna le mie labbra.

«No!» sbotta, contro di me. «Non ti avrei mai tradito, ma tanto non mi credi!»

«No, infatti!», rimaniamo così per qualche minuto, con il respiro ad incontrarsi, e gli occhi che dicono tutto tranne che si odiano. Non la riuscirò mai ad odiare per come meriterebbe. Non riuscirò mai a non amarla per come meriterebbe.

Ha ragione Lola: devo decidere cosa prevale in me, purtroppo in questo momento è più il sentimento nei suoi confronti.

Ecco perché scappo ancora e la lascio lì, ma mica ci riesco a dormire col pensiero che soffre, ripensando a quello che le ho detto.

Diamine, si merita tutto;

Diavolo, la odio;

Porca merda, la amo con tutto me stesso al punto che non posso non fare nulla.

Ed ecco che mi alzo per andarmi ad accertare che stia bene, ma chiaramente non le mostrerò la mia presenza, devo semplicemente vedere in che condizioni è. Dorme con la porta aperta, me la ricordo bene. Ha paura e quindi pensa che facendolo, se dovesse aver bisogno d'aiuto, si sentirebbero le sue urla. Affaccio la testa per controllare nella sua stanza, tuttavia non c'è e quindi capisco che potrebbe vedermi da un momento all'altro, perciò faccio retromarcia e scendo le scale. La trovo sul divano, raggrinzita su sé stessa. E lo so, anche ora dovrei tornarmene in camera, ma non lo faccio e rimango a guardarla per capire cosa fare, poi vince sempre quel maledettissimo senso di protezione che nutro verso di lei e l'affianco. Quasi sobbalza nel ritrovarmi vicino, ha le labbra socchiuse e sento il suo respiro sfiorarmi il viso.

«Gonçalo?» chiede come se non credesse ai suoi occhi. Spingo le labbra all'insù, come faccio sempre quando voglio mascherare ciò che sento.
«Perché sei qui?» ovviamente non le basta vedermi, vuole che io sia chiaro.

«Non avevo molto sonno...» scrollo le spalle, mento. «Ho pensato di guardare un po' di TV ma c'eri già tu...»

Lei fa un piccolo sorriso, così dolce che glielo ruberei dalle labbra con un bacio.

«Sai che c'è la TV in camera tua, vero?» ridacchia, però non mi va di replicare e non lo faccio, cambio discorso.

«Oliver e company? Davvero?»

«Be', lo sai che guardare i film Disney mi rilassa...»

«Si, non sei cambiata su questo...» lei si fa scura in volto dopo questa mia constatazione, fa un sospiro stanco che mi rimbomba nelle orecchie.
«Mi dispiace per prima, per le cose che ho detto, so che non era il momento!» lei raddrizza la schiena, mi guarda confusa, non si aspettava le mie scuse. Però so di aver sbagliato e ho esagerato, non aveva alcun senso tirarlo fuori.
«Nonostante io le pensi quelle cose...» chiarisco, come sono solito fare e lei annuisce, consapevole.

«Non preoccuparti» appoggia una mano sul mio ginocchio. «Mi dispiace che non mi credi, però va bene!»

Chiudiamo il discorso e guardiamo il film, nemmeno ce ne accorgiamo di addormentarci. Quando apro gli occhi solamente me la ritrovo stretta al mio corpo, col viso a pochi centimetri dal mio ed è complicato spiegare alla mia pelle che i brividi non deve sentirli, non per lei. È così vicina che riuscirei a spiegare ogni sfaccettatura di lei. La guardo e non riesco a muovermi, non voglio muovermi. Lo faccio solo perché finalmente, a sua insaputa, posso toccarla e lo faccio con un po' di esitazione. Accarezzo il suo viso, sfioro i suoi capelli castani e glieli metto dietro l'orecchio.

Avvicino i nostri nasi, sfioro la sua bocca e so che non dovrei farlo, che ha un fidanzato e che mi ha tradito nel modo peggiore possibile, ma appoggio le labbra alle sue solo per un'istante. Non dovrei farlo eppure la bacio, perché è l'unica a farmi riconoscere quel brivido che chiede l'amore. Torno in me solo dopo qualche istante, mi allontano quel tanto che basta per tornare a respirare e qualche minuto dopo lei si sveglia. Sobbalza nell'accorgersi che siamo così vicini, che tiene stretta ancora la mia felpa tra le dita quasi avesse paura di vedermi sparire. Ammorbidisce le labbra con la saliva, poi si alza e si allontana da me, ma non mi toglie gli occhi di dosso quasi a chiedermi spiegazioni.

«Dobbiamo tornare in camera...» dice un attimo dopo, «non vorrei che ci trovassero così!»

Annuisco e mi alzo, con aria annoiata e disinteressata, anche se dentro nutro altri sentimenti. Ci avviciniamo alle camere e la saluto biascicando le parole, ma lei mi ferma, appoggia la mano sul mio braccio e mi volto per incontrare i suoi occhi.

«Non dormivo da quando... da quando ho scoperto di mio padre» alza gli occhi chiari al cielo, quasi volesse aria lontano dai miei occhi. «Ti va... cioè... di dormire con me?»

Trattengo il fiato a questa richiesta, mi tremano le mani, dunque le nascondo dentro le tasche per non farglielo notare.

«No!» dico, ma anche se mostro convinzione non lo sono.
«Magari se non vuoi restare sola puoi chiamare Felipe!» faccio un sorrisetto ironico e se Ester poco prima mi aveva mostrato quanto avesse bisogno di me, leggo nei suoi occhi amarezza.

«Certo, posso fare così...» la mia ripicca si traduce in un dolore più per me che per lei, che tanto a lei cosa importa? Cosa le importa se è stata capace di tradirmi!? «Buonanotte, Gonçalo!»

🦋🦋🦋

Per lo meno un piccolo passo è stato fatto: hanno parlato senza ammazzarsi - o quasi.
Aggiornamento anticipato visto che domani non avrei potuto aggiornare.
Lunedì non so se riuscirò ad aggiornare in tempo, in caso arriverà o in serata o l'indomani.

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