28•capitolo -Non voglio ferirlo-

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Gonçalo

Non lo so se Ester l'ho perdonata del tutto, di certo la ferita non si è del tutto rimarginata, ma sono sulla buona strada. Tutto passa quando me la trovo vicina sul letto, visto che sono ormai cinque giorni che dormiamo insieme e ovviamente non facciamo solo questo. Al mattino lei torna in camera sua per non farsi scoprire dalla madre.

«Ester, tesoro, posso entrare?» chiede Esperanza, ridestandoci dal sonno. Questa notte, ci siamo addormentati in camera sua, cosa che solitamente evitiamo per non farci scoprire.

Ester salta giù dal letto, mezza nuda, portando con sé le coperte e scoprendo me per coprirsi lei. È allarmata, si guarda intorno in cerca di qualcosa e io guardo lei scarmigliandomi i capelli.

«Oh mio Dio!» esclama impaurita. «Che ore sono?»

Scrollo le spalle e ridacchio.

«Le otto meno un quarto. Credo che ci siamo addormentati»

«Nasconditi dentro l'armadio» afferma, nemmeno mi dà il tempo di alzarmi che mi prende per la mano, apre l'armadio e mi ci butta dentro quasi fossi un pupazzo. Poi dice alla madre di entrare in camera.

«È tutto a posto, tesoro?» la voce di sua madre sembra nasale, certo non posso vederla ma pare non stare tanto bene.

«Si, cioè, mi sono addormentata» si giustifica.

«Anche Gonçalo non si è ancora alzato» ma dal modo in cui lo afferma, si riesce ad intuire che le è chiaro il motivo. Ci ha scoperti. «Di lui parleremo dopo» sento lo scricchiolio del letto che si abbassa e lei riprende a parlare. «Sono venuta per dirti una cosa...» lascia la frase in sospeso e ho paura di ascoltare il resto, di certo anche Ester. Credo di aver capito il motivo della sua visita improvvisa. «Io e tuo padre...» fa fatica a parlare e, anche se non posso vederla, sento lo sbuffo di Ester esasperato.

«Vi state lasciando?» Chiede lei, anticipando le frasi della madre.

«Si» afferma lei con poca sicurezza. Nonostante tutto, so che lei ama moltissimo quell'uomo. Credevo che quei due non si sarebbero mai lasciati, che avrebbero trovato sempre il modo di ritrovarsi, tuttavia devo ricredermi. Sono ormai settimane che Felix è andato via di casa e cominciavo a sospettare che non fossero riusciti a riconciliarsi, nonostante Ester credesse che alla fine avrebbero fatto pace. Non le ho dato false speranze, ma non le ho neanche distrutte perché so quanto è importante per lei la sua famiglia. Io ci sono abituato alla separazione, all'abbandono, lei no!

«Com'è possibile che non ci sia un modo per risolvere le cose!?» tira su col naso Ester, la voce traballa, è sul punto di piangere ma so che si sta trattenendo per non mostrare il suo dolore alla madre.

«Io e tuo padre ci abbiamo provato a parlare, ma non c'è modo di comunicare. Mi ha ferita troppo, non riesco a perdonarlo, né lui trova un modo per farsi perdonare!» dice Esperanza, senza dare la colpa a nessuno dei due. So che se potesse parlare, la darebbe a lui, sfogando così la sua frustrazione, ma non vuole rovinare il rapporto speciale che hanno. L'apprezzo molto per questo.

«Mi dispiace, mamma» si limita a dire, poi giunge il silenzio e sento la porta chiudersi. «Puoi uscire» dice Ester aprendo le ante dell'armadio. Mi guarda sconvolta, faccio in tempo ad alzarmi per stringermela addosso e avvertire il calore della sua pelle.

«Mi dispiace!» affermo soltanto. Lei si lascia andare alle lacrime, stringe più forte il mio corpo e affonda la testa sul mio petto, come fosse la sua unica ancora per non lasciarsi annegare. «Non è detto che... che non chiariscano!» la rassicuro, un po' me ne pento perché non voglio che si faccia false illusioni. So che non è facile quando un rapporto finisce risanarlo. Non so come ci siamo riusciti io ed Ester, probabilmente c'è ancora tanta strada da fare ma ci stiamo provando.

Ester non passa dei bei momenti, anche quando andiamo a scuola non riesce a lasciarsi dietro il pensiero, ed è per questo che raduno i miei amici e le sue amiche per parlare con loro.

- Ragazzi, ci possiamo vedere per le dieci e mezza in palestra? Gonçalo ore 10,25

Mando a tutti lo stesso messaggio, tranne che a Felipe, ovviamente. Con lui il discorso è diverso, non riesco a mandare giù ciò che ha fatto e dunque a perdonarlo. Rispondono tutti pochi secondi dopo al messaggio, confermando che saranno presenti. Dunque, alzo la mano mentre la professoressa di Italiano sta spiegando, e lei con il suo solito sorriso affabile mi chiede di parlare.

«Posso andare in bagno?» Ester mi lancia uno sguardo, il più triste che abbia mai visto e la professoressa acconsente alla mia uscita. Dopo poco anche tutti gli altri trovano una scusa per uscire, per fortuna con lei tutto è consentito, anche uscire in dieci da una classe. Mi dirigo in palestra, dopodiché vedo arrivare gli altri.

«Che succede?» dice subito Roman.

«Spero tu abbia un buon motivo per averci chiamato, visto che c'è lezione» si intromette la solita Beatriz a cui non va per niente a genio l'idea di perdersi dieci minuti di lezione.

«Quanto sei pallosa» la schernisce con la sua solita aria strafottente Roman.

«Invece ha ragione!» la difende Santiago.

«L'altro palloso!» Ana si schiera dalla parte di Roman, ma su questo non c'erano dubbi. Quei due sono amici da sempre, sono così uguali che a volte faccio fatica a capire come mai non abbiano lo stesso sangue nelle vene.

«Tornando a noi...» interrompo le loro discussioni. «C'è un motivo importante se vi ho chiamato: Ester!» attiro l'attenzione di tutti con quel nome, soprattutto delle ragazze. «Non sta passando un buon momento. Non posso dirvi il motivo, probabilmente alcuni di voi lo sapranno già, ma ha bisogno dei suoi amici. Ho pensato, se per voi va bene, di uscire questa sera. Andiamo al lunapark che a lei piace tanto, e passiamo una serata insieme!»

«E non potevi dircelo per messaggio?» chiede Roman, bonariamente.

«Così era più facile spiegarvi i motivi»

«Be', ho perso un quarto d'ora di lezioni. Si hai fatto decisamente bene» mi risponde con un sorriso in volto. Beatriz sbuffa nel sentirlo parlare così  ma non dice nulla, questa volta lascia stare. Ana invece ride, d'accordo con lui.

Torniamo in classe dopo la chiacchierata e, a fine lezione, vado verso Ester che è assorta nei suoi pensieri.

«Come va?» le domando, sembra che si accorga di me solo in quel momento.

«Mio padre mi ha scritto, vuole vedermi» afferma con amarezza. Vorrei poter cancellare ogni suo dolore, ma non so proprio se ci sia un modo. Questa volta so che non sarà facile sopportare tutto questo. «Domani ci incontreremo di mattina. Per fortuna che non c'è scuola»

L'unica cosa che mi viene da fare è alzare il braccio e accarezzarle il viso. Ester ci si tuffa a capofitto sulla mia mano, quasi ne avesse bisogno per vivere, chiude gli occhi e poi mi stampa un bacio sulle labbra. Nello stesso istante, vediamo uscire Felipe e lei si sposta da me, quasi avesse preso la scossa. Inutile dire quanto la sua reazione mi infastidisca, ed ecco perché i miei occhi si chiudono in due finisse fessure.

«Abbiamo qualcosa da nascondere?» stringo le labbra e incurvo la testa. Non vorrei arrabbiarmi proprio in questo momento, ma proprio non ce la faccio a nascondere il fastidio che sento per la sua reazione a Felipe.

«Non voglio ferirlo!» replica, come se io dovessi capirne le ragioni. Mi dispiace ma non lo capisco perché l'unico nel torto è lui.

«Non vuoi ferirlo?» è un sorriso amaro quello che si forma sulle mie labbra. Mi pare tutto così assurdo. «Però a me avete potuto ferire!» stringo le mani e avanzo. Non me ne vado solo perché non ce la farei visto il momento che sta vivendo, ma vorrei proprio piantarla qui e stare da solo.

«Gonçalo» prende la mia mano e mi fa frenare dalla mia camminata in direzione dell'uscita. «Mi dispiace. Solo che voglio bene a Felipe, lo capisci?»

No, non lo capisco. Non capisco nulla quando si tratta del mio ex migliore amico, perché a me non ci hanno pensato, ciononostante non riesco a resistere ai suoi occhi che mi guardano nella speranza che la comprenda. Per una volta, decido di frenare il mio orgoglio e di concedermi al sentimento che nutro per lei. Quindi annuisco e fingo un sorriso. È lei a prendermi il viso e a baciarmi sulle labbra, poi fa scorrere il braccio verso la mia mano e intreccia le nostre dita. Ed è sempre come se mi toccasse per la prima volta, sempre la stessa reazione. Ci avviamo verso casa, l'autista di Ester passa a prenderci.

Quello che non avevo preventivato, però, è che nel tornare a  casa trovassi mia madre insieme ad Esperanza e alla madre di Felipe. Ovviamente le sue amiche sono accorse per consolarla, come se Pilar avesse il dono dell'empatia. È la stessa stronza che mi ha buttato fuori di casa. Quando mi vede, i suoi occhi si sgranano e io faccio finta di nulla.

«Buona sera» mi limito a dire per educazione, poi tento di tornare in camera mia. Ho il tempo di fare pochi passi perché Pilar mi raggiunge e mi ferma.

«Tesoro!» ha il coraggio di dirmi, come se non fosse la stessa che si è comportata da stronza. Ancora non mi è scivolato di dosso il rancore che provo per questa donna, e non credo che succederà presto.

«Tesoro!» ripeto con scherno. I miei occhi la cercano con sdegno, i suoi si riparano e tentano di inculcarmi amore. Peccato che la donna che mi è davanti ha preferito il marito al figlio, e mica lo posso dimenticare con uno schiocco di dita. «Che vuoi?» sbotto, le lancio addosso le mie frustrazioni con una semplice domanda.

«Smettila di odiarmi» trattiene il respiro, deglutisce, tira su col naso. E giuro che è ancora più insopportabile vederla sofferente, come fosse lei la vittima e io il carnefice. Se non fosse stato per Felix sarei in mezzo ad una strada, e la colpa è sua e di quell'imbecille di Alvaro.

«Provo solo indifferenza per te!» mento, perché non è vero. È pur sempre mia madre, e non mi sono dimenticato degli anni in cui siamo stati bene, prima che sposasse un uomo che non la merita. Quella Pilar sì che mi manca, quella che ho davanti per niente. «Non parlarmi, che è meglio»

«Lo so che pensi che sia una madre che non serve a nulla. Volevo solo che capissi che mi dovevi rispettare e dovevi fare la stessa cosa con Alvaro. Ma sei mio figlio e io ti voglio bene»

«Risparmiami queste frasette che non mi toccano per niente» incurvo la testa e la guardo con acredine. «Tu non sai cosa significa essere madre. Mi hai abbandonato, ricordalo, Pilar!» e con questa frase tento ancora di andarmene. So che non chiamandola mamma l'ho ferita ed è ciò che volevo. Ma lei mi ferma ancora.

«È la verità. Spero che un giorno proverai a capirmi. Vorrei tornassi a casa, e che la smettessimo con questo astio. Pensaci!»

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