.25. Che profumo ha la libertá?

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Barcellona, 
16 Dicembre 1808.

Correvo a perdifiato sul sentiero coperto di neve che mi faceva affondare i piedi fino alle caviglie.

Ero euforica, terrorizzata ed elettrizzata allo stesso tempo, eppure mi sentivo così bene.

Juan mi era venuto a prendere intorno alla mezzanotte del giorno dopo. Si era arrampicato sul muro di pietra e aveva bussato alla finestra della mia piccola stanza. Per fortuna si trovava al secondo piano e non al quarto come quelle dei padroni.

Mi aveva aiutato a calarmi insieme a lui fino a toccare terra insieme. Avevo avvolto una coperta attorno alle spalle sino a coprire la testa in modo da non sentire troppo freddo e passare inosservata il più possibile. Juan era riuscito ad entrare nella tenuta grazie a Sara e non sapevo ancora in che modo.

Ero riuscita a trovare una borsa abbastanza grande da contenere lo stretto necessario ed era pesante e, mentre correvo, sentivo tutta la pressione che mi dava lo zaino sulla schiena. Ma non importava.

Stavo scappando con Juan.

Stavo scappando da quella vita.

Dal padrone, dalla divisa da domestica e dai prodotti per pulire.

Correvamo cercando di fare il meno rumore possibile ma il cielo quella sera era sereno e il vento non si azzardava a soffiare. La tenuta era così silenziosa che ero certa che Juan avrebbe sentito il battito del mio cuore anche se fossimo stati distanti metri e metri.

Annaspavo in cerca d'aria e in quel momento non facevo altro che domandarmi quanto fosse lungo quel sentiero che avevo percorso centinaia di volte e che mi sembrava il viale più lungo del mondo. Magari non stavamo correndo affatto, per questo non arrivavamo mai alla fine.

O forse era perché non vedevo l'ora di varcare il cancello.

<<Non fermarti Geneviève! Siamo quasi alla fine!>> tentò di spronarmi, ma ero già stremata e le gambe mi tremavano.

Non ero di certo fatta per correre.

Mi morsi un labbro e continuai a correre, il vestito che mi svolazzava tra le gambe e il freddo che mi schiaffeggiava il viso.

Juan, al contrario, non sembrava affatto stanco. Anzi sembrava volesse caricarmi sulle spalle per arrivare al cancello più in fretta.

Era elegante e bellissimo anche mentre correva avvolto nel suo giaccone nero pesante.

Finalmente vidi il cancello; nell'esatto istante in cui mi rilassai un po' vidi le luci della tenuta accendersi alle mie spalle. Mi tremarono le gambe ma non mi fermai.
Avevo varcato quel cancello la prima volta cinque anni prima, e ora lo stavo oltrepassando da donna quasi libera. E assieme ad un uomo che per me stava rinunciando a tutto.

Mi fermai solo quando tastai con le mie mani il freddo metallo per assicurarmi che non fosse un miraggio. Non era un sogno, era davvero lì. Vidi Juan cercare qualcosa in mezzo all'erba alta che segnava i confini della proprietà. Realizzai che per entrare non poteva aver usato il cancello perché avrebbe fatto molto rumore, di conseguenza Sara aveva fatto in modo di farlo accedere mediante un passaggio nascosto nei rampicanti.

Mi chiesi se lei usasse quel passaggio per sgattaiolare via di notte. Di giorno era sempre tra i libri, quindi non poteva uscire senza che qualcuno di noi se ne accorgesse. Ma di notte nessuno sorvegliava la tenuta. Chiunque sarebbe potuto entrare e uscire.

La neve fresca si mosse da sopra l'erba e cadde sui capelli di Juan facendone un mucchietto folto di bianco e giallo. Si fermò e mi guardò abbozzando un sorriso che fece ridere anche me, poi scrollò la festa in modo da farla cadere a terra. Si spazzolò via la neve restante sulle spalle e tornò ad esaminare il confine.

Trovò il passaggio.

Lasciai il respiro che non mi ero resa conto di trattenere, poi mi avvicinai a lui. Con l'aiuto delle braccia allargò il passaggio e mi mostrò la via di fuga. Attraverso il buco riuscivo a scorgere la strada ghiacciata e nello stesso istante un brivido mi percorse la schiena.

Era lì. La soluzione a tutti i miei problemi era lì ed io la stavo varcando.

<<Prima le signore.>> sussurrò lui, sorridendomi con orgoglio. <<E attenta a non graffiarti.>>

Ricambiai con un sorriso nervoso e mi abbassai appena per entrare nel buco alto poco più di un metro. Mi chiesi come avrebbe fatto Juan ad attraversarlo nel suo 1.90 di altezza. E come aveva fatto prima.

Raggiunsi l'uscita graffiandomi il viso con un ramo, ma non ci pensai.
Fuori, respirai un'aria nuova. Fresca e pulita.

La libertà aveva un profumo magnifico.

<<Mi dai una mano?>>

Mi voltai e tentai in qualche modo di allargare le radici, senza successo perché avevo la forza di un canarino.

<<È... difficile.>> mormorai in imbarazzo.

<<È difficile? Cos'è, hai rimorsi ora Geneviève? Ti è cosi complicato scappare da me?>>

Il sangue mi si gelò e percepii tutta l'ansia che provavo riversarsi nelle ossa.

Ci aveva scoperti. 

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