.31. Segreti.

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Barcellona,
16 Dicembre 1808.

<<Geneviève?>>

Il capo si alzò di scatto dalla sedia con gli occhi sgranati ed io di istinto indietreggiai con la schiena verso lo schienale.

Girò attorno alla scrivania senza mai smettere di guardarmi in un modo così strano da mettermi i brividi. Mi raggiunse, si inginocchiò di fianco alla sedia e mi prese le mani. Le sue erano così calde mentre le mie sudate e fredde come la neve che continuava a cadere fuori da quelle mura.

<<Cosa ti è successo? Cosa ti hanno fatto?>>

Non sapevo cosa rispondere. Il capo con quelle domande e con quello sguardo mi stava mandando in tilt il cervello e la mia capacità di dire qualcosa di sensato era sparita fuori da quello studio.

Almeno seppi per certo che lui mi avrebbe aiutata.

<<Io... sono scappata.>> riuscii a biascicare.

Lui increspò gli occhi divenuti lucidi, poi mi accarezzò le mani con i pollici. <<Perché sei scappata?>>

Mi slegai dalla sua presa e riuscii ad alzarmi, e lui fece lo stesso. <<Perché vi interessa tanto? Mi avete venduta, non dovrebbe interessarvi il destino a cui mi avete abbandonata.>>

<<Abbandonata? No, mai.>> disse cercando di avvicinarsi, ma io indietreggiai. Sospirò e abbassò per qualche istante lo sguardo sui suoi piedi, per poi rialzarli e guardarmi come se niente fosse appena successo. <<Chiedevo di te ogni mese. Non ti ho mai fatto visita ma sapevo che stavi bene. Poi ho perso ogni tua traccia quando sei stata venduta ad un'altra famiglia. I Garçia non hanno voluto rivelare a chi.>>

<<Io...>> balbettai. <<Non vi credo.>>

Perché avrei dovuto?

Il capo portò le mani dietro la schiena e assunse una posizione più elegante, così come doveva apparire a tutti. <<Puoi non credermi, ma è la verità. Ora dimmi cosa ci fai in un posto come questo e perché chiedi asilo.>>

<<Non ha importanza. Voglio solo superare questa notte per poi andare via da questa città per sempre.>>

Per una frazione di secondo comparve una nota di tristezza sul suo viso, ma poi venne sostituita dall'apatia. <<Non otterrai asilo in questo bordello senza che io sappia la verità. La mia condizione è questa: domani mattina tu mi dirai perché sei scappata, e io farò in modo di non farti trovare da questa persona e ti garantirò un lavoro che non sia squallido e deplorevole come quello che svolgono le mie dipendenti.>>

Fui sorpresa dalle sue parole, ma l'accordo mi piaceva. Non sapevo se il capo sarebbe riuscito a proteggermi dal padrone, ma quella era l'unica alternativa che avevo al girovagare fuori finché lui non mi avrebbe trovata.

E potevo parlare con lui. Lo sapevo e lo avevo sempre saputo. Sin dall'inizio, quando ero solo una bambina terrorizzata che di notte piangeva e veniva consolata da quell'uomo senza ottenere niente in cambio.

<<Accetto.>> dissi solo, per poi avvicinarmi a lui e allungare la mano.

Sorrise appena, visibilmente soddisfatto. <<Benvenuta nel mio bordello, Geneviève. Io sono Jonathan.>>


.....................

Barcellona,
12 Marzo 1799.

La bambina non aveva proferito ancora parola nel viaggio verso la dimora che sarebbe diventata la sua casa temporanea. Lì una donna le avrebbe insegnato tutto ciò che ancora non sapeva e poi sarebbe stata venduta.

È questo che facevano i cacciatori di donne. Non rapivano le bambine come dicevano le voci. Prendevano le bambine rimaste orfani e le rivendevano come future prostitute o domestiche.

Ma Geneviève non sarebbe mai potuta diventare una prostituta. Non lei, con quella pelle candida piena di lentiggini e quei capelli ricci e arancioni. Non lei, con lo sguardo di una bambina che ne aveva viste davvero tante. Non lei, con gli occhi innocenti di chi non conosce ancora i pericoli del mondo e il dolore intriso nel cuore.

Se ne stava poggiata con il viso contro il vetro della carrozza, a guardare malinconica gli ultimi alberi del suo paese. Stava abbandonando tutto e tutti e lo sapeva.

Uno dei cacciatori la guardava, l'altro era impegnato a guidare i cavalli.

Jonathan aveva fatto di tutto per convincere il collega a non venderla come prostituta. E ci era riuscito. Infondo era uno dei candidati al posto da capo in uno dei numerosi bordelli della contea. Si era fatto un nome.

Non osava immaginare cosa ne sarebbe stato di lei se la avessero venduta come puttana.

Era solo una bambina di undici anni.

<<Andrà tutto bene.>> sussurrò.

Lei non si mosse, però una lacrima scivolò giù dalla sua guancia e andò a mischiarsi alla condensa.

<<Ci sarò io a prendermi cura di te.>> continuò.

Come non ho fatto per otto anni, pensò.

La carrozza si arrestò e sentì il suo collega borbottare che erano arrivati.

<<Dove siamo?>> esordì allora la bambina, alzando il viso dal vetro e rivelando gli occhi gonfi di lacrime e il naso arrossato.

<<A Barcellona.>>

Geneviève tirò su col naso, poi il collega aprì la porta e la costrinse a scendere in malo modo, strattonandola a tal punto che Jonathan non poté non intervenire.

<<Sii più delicato, dannazione.>> una volta sceso anche lui lo prese per un braccio e strinse forte. <<È una bambina.>>

Il collega iniziò ad insospettirsi. <<Cos'ha di così speciale questa bambina? Ne abbiamo prese di più piccole e non hai mai battuto ciglio. Perché con questa dobbiamo essere così delicati?>> marcò l'ultima parola per dare il tocco di enfasi alla domanda.

La verità si formulò sulla bocca di Jonathan, ma la ingoiò velocemente. <<Niente di speciale. Ora andiamo.>>

Lo lasciò e lo vide allontanarsi verso i cavalli, così voltò lo sguardo verso la signora che stava parlando con la bambina a pochi metri da loro.

<<Andrà tutto bene.>> gli stava dicendo la signora.

Non funzionerà, avrebbe voluto rispondere lui per avvertirla, ma invece Geneviève si lasciò andare ad un pianto liberatorio e abbracciò la donna appena conosciuta.

Jonathan si sorprese per quella reazione; aveva provato a consolarla allo stesso modo, ma senza successo.

Si allontanarono entrambe verso l'entrata della casa, così lui si voltò per prendere dalla carrozza le poche cose che era riuscita a portare via dalla sua vecchia casa: un cappello di lana sgualcito, un nastrino rosso e un cavallo di legno intagliato a mano. Sorrise alla vista del giocattolo.

Una volta voltato si ritrovò ad osservare il suo riflesso allo specchio, dove poco prima la bambina aveva creato la condensa sul vetro. Passò le dita su quella nuvola umida, poi guardò nei suoi stessi occhi e sospirò facendosi una promessa.

Mai e poi mai la avrebbe di nuovo persa.

E mai nessuno avrebbe scoperto che era sua figlia.

Prima o poi glielo avrebbe detto lui, ma in quel momento era troppo piccola per capire. Non poteva prenderla con sé perché se voleva continuare a fare quella vita non poteva avere una figlia con sé. Glielo avrebbe detto a tempo debito, quando sarebbe stata abbastanza grande da capire le sue motivazioni.

Nel frattempo lei avrebbe vissuto lontana da lui.

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