.52. L'acciarino.

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Barcellona, 
19 Marzo 1809.

<<No!>> urlai in preda ad un attacco di rabbia e panico incontrollato. <<Non gli torcerete un altro capello!>>

Alexander rise come se avessi ideato la battuta più divertente mai inventata. Mi tremavano le mani, avevo il respiro corto e i pochi ricordi della mia infanzia che custodivo gelosamente iniziarono a manifestarsi nella mia mente.

Mia madre che mi accarezzava i capelli raccontandomi di quando mio padre mi aveva salvata da una brutta caduta; mia nonna che mi raccontava invece che era un vigliacco morto in uno scontro iniziato proprio da lui.

Era un ubriacone, mi diceva nonna.

Un uomo che aveva messo incinta mia madre e se l'era dovuta tenere. Tenere. Come se fosse stata un oggetto o un animale da crescere e poi mangiare.

Eppure, mentre guardavo Jonathan, in qualche modo riuscivo a credere alle sue parole. Per tanti anni non avevo capito il motivo per cui nonna provasse tanto odio per quell'uomo che a me continuava ad apparire come un eroe. Le sue storie mi sembravano crudeli persino da raccontare, e non avevo mai creduto fino in fondo che fosse tutto vero. Magari qualcosa, ma non tutto. Io ero sempre stata una persona buona e gentile, a prescindere dal lavoro che dovevo svolgere, e mia madre lo stesso. Come potevo essere figlia di un uomo così crudele? E come poteva mia madre essersi innamorata di lui? Perché era amore che lei sentiva verso quell'uomo misterioso, lo capivo dai suoi occhi quando ne parlava. Brillavano.

Era tutto falso. Tutti i miei ricordi erano falsi, ogni cosa che mi aveva raccontato mia nonna, menzogne. Mi resi conto che ero cresciuta in mezzo alle bugie, ed era l'ora di darci un taglio e reagire.

<<Altrimenti?>> disse Alexander con una voce che mi parve quasi mi potesse graffiare.

<<Altrimenti non starò mai con voi.>>

Al suono delle mie parole, lui tornò ad essere serio e vidi Juan irrigidirsi.

<<Cosa stai dicendo?>> mormorò lui incredulo.

Voltai lo sguardo verso di lui e lo guardai a fondo.

Ti prego, ti prego fidati di me, cercavo di dirgli con gli occhi, ma Juan sembrava non capire.

<<Ho capito cosa devo fare.>> dissi rivolta al padrone. <<Se mi concederò a voi, se mi lascerò possedere tutte le volte che vorrete, lascerete andare Jonathan, Juan e Sara?>>

Alexander si alzò da terra, senza mai smettere di puntare la canna del fucile verso il capo. <<Vedo che finalmente hai capito qual è il tuo destino, mia Geneviève.>>

<<Sì, ho capito, padrone.>> mormorai sottomessa.

Vidi Jonathan muoversi. <<Cosa dici? Non te lo lascerò fare!>>

<<Questa è la mia vita. Tu non hai contato niente per me fino ad adesso, e di certo non deciderai il mio futuro.>>

Fu Juan a mettersi in mezzo, scuotendomi per le spalle. <<Scordartelo. Non ti lascerei qui nemmeno se io avessi un proiettile in mezzo agli occhi.>>

<<E invece devi!>> sbottai, liberandomi dalla presa. <<Io non ti amo! Devi lasciarmi con chi amo davvero.>>

A Juan parve venire un colpo e nei suoi occhi vidi la delusione. Io continuavo a guardarlo sperando che capisse le mie vere intenzioni, ma in quei sotterranei c'era troppa poca luce e pareva non vedermi nemmeno. O era troppo scosso per leggere le mie vere emozioni.

Mi libererai da lui e camminai lentamente verso il padrone. Lui mi accolse tra le sue braccia e mi strinse forte, senza mai smettere di puntare il fucile. Guardai con la coda dell'occhio Jonathan e mi aspettavo di vedere delusione nei suoi occhi, ma invece vidi un'altra emozione che riconobbi subito.

Speranza. Aveva capito cosa avevo intenzione di fare.

Quando mi sciolsi dall'abbraccio, presi la mano libera del padrone e la strinsi. <<Non vi abbandonerò mai più, padrone. Il mio corpo sarà per sempre vostro e la mia anima incatenata in questa dimora. Da nessuna parte andrò senza di voi e mai chiederò qualcosa che so di non poter ottenere. Questa è la mia promessa per voi.>>

Ad Alexander vennero gli occhi lucidi. Dovetti riconoscerlo: o ero stata troppo brava a recitare la parte della sottomessa, o lui credeva ad ogni cosa gli venisse detto con quel tono.

In ogni caso, le cose di lì in poi sarebbero cambiate per sempre.

<<Mia Geneviève.>> sussurrò toccandomi una guancia. L'odore del liquido contenuto nella lampada ad olio mi invase le narici, insieme alla sua colonia. Mi sfiorò le labbra con un dito. <<Non sai quanto sono felice di sentire queste parole.>>

Gli sorrisi.

Sentii Juan protestare alle mie spalle, ma io avevo già gli occhi puntati sulla tasca della mia gonna, dove l'acciarino aspettava impaziente di essere usato.

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