.55. Coscienza e delirio.

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Barcellona,
19 Marzo 1809.

Avevo la vista annebbiata dalle lacrime e quasi non sentivo più i rumori intorno a me. Mi ero rintanata in un luogo senza sofferenza, e qualcuno in quel momento stava cercando di portarmi via da lì.

Non mi resi subito conto di ciò che stava succedendo: Juan era riuscito ad allontanare Alexander da me, i miei vestiti però erano ancora troppo caldi. Juan parlava, mi scuoteva, ma non riuscivo a sentirlo.

Poi però voltai lo sguardo su Alexander e Jonathan che lottavano in un angolo. Il capo trascinava una gamba e non sollevava un braccio, però il padrone aveva metà collo ustionato dalle fiamme. Alexander era in terra, tenuto stretto da Jonathan premendo una mano sul collo e vedevo che gli stava dicendo qualcosa, ma non sentivo niente.

Ma la cosa peggiore, tra tutto, era che il fuoco non si era arrestato come avevo creduto all'inizio: al contrario, si stava pericolosamente riversando sui muri, avvolgendo le pareti. Le lampade ad olio esplosero spargendo vetri e liquido ovunque, e capii che se non avessimo lasciato subito i sotterranei saremmo tutti morti nel giro di qualche minuto.

<<Il... orecchio!>> urlò Juan, facendomi voltare gli occhi su di lui. <<Riesci... sentire...?>>

No che non sentivo. Era tutto ovattato e strizzavo gli occhi nel vano tentativo di restare sveglia. Il dolore mi esplose di nuovo famelico: iniziava da un orecchio e si irradiava lungo il collo e sul ventre. Non avevo il coraggio di guardare, ma sapevo che stavo sanguinando.

Juan mi prese in braccio, caricandomi a mo' di sposa ed io mi lasciai sollevare. Ricordo che avevo pensato: wau, sarà così la nostra prima notte di nozze? Stavo delirando, avevo il cervello in pappa e iniziavo a non percepire più la presenza del mio corpo.

Però ero cosciente, e vedevo tutto. Io dovevo vedere tutto.

Jonathan reggeva ancora Alexander a terra. <<Figlio... puttana... pagherai...>>

Sentivo a tratti, il resto era un fischio infinito.

Gli occhi di Alexander si inchiodarono nei miei. Non stava cercando di reagire. Sembrava essersi arreso. Si stava lasciando strangolare.

Ma non poteva essere così facile. Con il padrone niente era facile.

<<Resta... me...>> diceva Juan, ma io guardavo Alexander.

Quegli occhi verdi diventati totalmente rossi, i capelli a tratti bruciati e il collo ustionato. Un ghigno sulle labbra, una mano stretta a pugno.

Il padrone tornò a guardare Jonathan, poi vidi tutto troppo chiaramente: riuscì a sollevarsi e a liberarsi dalla presa, poi tirò un pugno sul viso del capo, facendolo accasciare a terra e sputare sangue. Alexander respirava a fatica, ma in quel momento lo vidi raccogliere e ultime forze per sollevarsi e fare un passo verso di noi.

Juan si voltò e raggiunse le scale, ma io affondai le mani nel suo braccio. <<Jonathan, ti prego...>> balbettai, ma Juan non mi ascoltava.

Capii che non sarebbe tornato indietro per lui, così voltai lo sguardo alle nostre spalle. Alexander si era accasciato di nuovo in terra, sulle ginocchia, e respirava a fatica. Jonathan tossiva sangue, esausto. Ma era vivo.

Mi divincolai dalla presa di Juan e lui mi lasciò mettere le gambe a terra. <<Cosa... facendo... fuoco!>>

Lo spintonai senza pensarci due volte.

Lui mi lasciò andare, seguendomi alle spalle. Camminavo lentamente, con una mano sulla parete per cercare di non cadere. Ci vedevo doppio, forse triplo, ma mi bastava. Raggiunsi Jonathan e gli porsi una mano. A pochi metri da noi, le fiamme.

<<Andiamo...>> riuscii a dire.

Lui la prese, tenendomi stretta. <<Ti p... ego... via...>>

Il fischio infinito nell'orecchio non mi permise di capire il resto della frase, ma intuii cosa volesse dire e fare.

Scossi la testa. <<Vieni con me!>>

Con la coda dell'occhio vidi Alexander avvicinarsi a gattoni. Jonathan non si decideva ad alzarsi e Juan era andato da Sara, che continuava a piangere dal dolore per il proiettile nella coscia.

<<Rallenterò... scappa con... via!>>

I suoi occhi erano pieni di lacrime. Avevo più dolore nell'anima, nei sentimenti, che in tutto il resto del corpo. Piangevo, mi mordevo le labbra e mi faceva male la testa.

Non potevo perderlo di nuovo. 

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