Cap 2: Ricordi

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" Vedi, ci sono dei ricordi che mi devi,
Sei grande ma ti chiamo ancora baby. "

Intanto settembre era arrivato già da un po' e tra non molto sarebbe ricominciata anche la scuola.

Durante l'estate, mi sono dimenticata di specificare, mio nonno era venuto a vivere a casa con noi.
Non stava tanto bene e mia mamma non aveva la più minima intenzione di mandarlo in una casa di riposo.
Soffriva di Alzheimer, perciò era abbastanza difficile prendersi cura di lui, specialmente perché non ricordava nemmeno chi fossimo.
Aveva imparato di nuovo il mio nome e quello dei miei fratelli, ma di Antartide non voleva ricordarlo. La chiamava mamma e non importava quanto lo correggesse, lui era di coccio e non voleva proprio impararlo.

Era come avere un bambino in più in casa, un fratellino con le rughe. Spesso si trovava a far dispetti: una volta rubò un wurstel nonostante gli fosse stato detto di non mangiarlo. Si sentì anche soddisfatto nella sua rapina, pareva un ragazzino che era riuscito a prendere delle caramelle di nascosto ai genitori, quando in realtà loro l'avevano notato. Sì, perché era stato visto ed anche palesemente, ma per lui fu il colpo perfetto.

Aveva anche imparato ciò che mi dava più fastidio: il non pulirsi il muso dopo aver mangiato il sugo e, sebbene inizialmente lo facesse per sbaglio, cominciò man mano a farlo apposta.
Ogni volta che si sporcava lo pulivo con un fazzoletto. Forse quel breve attimo lo rendeva contento a tal punto da farlo continuamente.
Era un'abitudine. E anche se lo nascondevo, rendeva felice anche me.
Non nascondo però che mi faceva imbestialire. Ero una bambina, non capivo davvero cosa avesse il nonno e per me era solo irritante.

Spesso urlava, mi faceva perdere l'attenzione da qualsiasi cosa stessi facendo in quel momento e ciò aumentava il mio fastidio verso di lui. Inoltre ero anche infastidita, per la scuola per i vari litigi che partivano in questa e per tutte le prese in giro che ricevevo. Dovevo distinguermi in qualche modo, tra l'altro, e ciò mi rendeva ancora più pensierosa.

Già, pensierosa a tal punto fin dagli otto anni. Sono sempre stata ansiosa, forse s'era capito.

Non avevo tempo per accorgermi di quanti momenti potevo passare con lui, né tanto meno li avrei apprezzati.
I miei pensieri erano focalizzati principalmente su solo una cosa: la gomma pane che Antartide mi avrebbe comprato il giorno successivo.
C'erano tanti colori disponibili, ma quella non era una scelta randomica: ogni colore mi avrebbe più o meno elevata nella gerarchia della quarta elementare.
Il bianco era l'opzione comune, per gente come gli altri, ed io non avevo bisogno di questo, sebbene comunque sarebbe una scelta valida in caso non ci sia di meglio. Anche il rosso e l'arancione erano molto comuni. Io puntavo a molto, molto di più.
Il blu ed il giallo, così come anche il verde, erano già qualcosa di più raro, ma non abbastanza.

Il più raro tra tutti era sicuramente il rosa. Ottenere la gommapane rosa sarebbe stato il colpo di genio: chiunque sarebbe stato ammaliato dallo splendore di queste ed io sarei stata acclamata da tutti, anche dalle persone con cui mai avevo parlato. Perfino Anna, la mia migliore amica, mi avrebbe venerata come regina indiscussa.
La mafia dell'ultimo banco avrebbe pagato qualsiasi cosa pur di averla per poterla rivendere a cifre esorbitanti come quattro goleador o per produrla, e il loro guadagno sarebbe stato in balia del mio giudizio, bastava un semplice "no" per rovinare definitivamente la loro precoce carriera da malavitosi o un "sì" per far ricavare loro una somma niente male.
Nella mia mano avevo la scelta più importante di tutta la vita, probabilmente da questa situazione il mio intero futuro poteva cambiare radicalmente. Una scelta più complicata del dilemma dell'essere o non essere, un dubbio più grande dei partecipanti di Takeshi's Castle quando dovevano scegliere che percorso seguire, un momento più epico dello scontro di Goku e Freezer.
Ma c'era una componente da considerare: e se quella rosa non fosse stata disponibile? Se Antartide avesse fallito nella più facile delle missioni? E se qualcuno avesse avuto la mia stessa idea geniale? No, impossibile, nessuno poteva superare la mia intelligenza ovviamente superiore a quella di qualsiasi altro essere umano. Sì, non avevo autostima, però il mio ego è sempre stato molto, molto grande.

Il giorno dopo mamma andò all'edicola per comprare la fatidica gomma. Io rimasi a casa a dormire. Era l'ultimo giorno di vacanze, dovevo sfruttarlo come si deve, e quando ero piccola non avevo problemi di sonno. Vorrei dire che non avevo proprio problemi, ma mentirei, perché tutti abbiamo e abbiamo avuto problemi che, per la nostra età o per la nostra preparazione, apparivano enormi. Non esiste qualcuno senza problemi: li aveva anche Topolino, e lui almeno ha i suoi strumentopoli per risolverli, e volete dirmi che voi non li avevate? Chi volete prendere in giro?

Alla fine comunque vi ho mentiti: ero già sveglia. Stavo solo sul letto senza fare praticamente nulla, ma chi aveva voglia di alzarsi ed uscire?
Quando il campanello suonò io mi precipitai ad aprire, un vero e proprio fulmine, tanto da lasciare anche i miei fratelli spiazzati.
Non appena aprì la porta mi fiondai come un avvoltoio, cercando di sbirciare dalla bustina di plastica che Antartide aveva in mano.

— L'hai presa? Di che colore? — ed altre domande che sinceramente vi risparmio. Insomma, un vero e proprio accollo. Ma era tutto giustificato, era per una buona causa.
Mamma mi guardò e sospirò. Infilò la mano nella bustina ed afferrò una scatolina. La tirò fuori e me la porse, con la speranza che mi sarei allontanata e che l'avrei lasciata respirare.
Deve essere stato davvero difficile avere un accollo come da piccola. Quella donna potrebbe diventare santa se parlasse con chiunque quanto la infastidivo con questioni simili.

Subito afferrai la cassa del tesoro e corsi ad aprirla. Le mie mani tenevano la presa saldamente, ed in qualche modo cercavano un modo per aprirla. Ci misi due minuti abbondanti per aprirla, perché per la mia mania da perfezionista volevo aprirla in modo tale da non distruggerla. Alla fine, però, la mia poca pazienza prese il sopravvento e distrussi una facciata.
Prima di vederla chiusi gli occhi. Volevo prolungare l'attesa ancora un po'. L'attesa del piacere è essa stessa il piacere, non è così? Così scelsi prima e infilare un solo dito nell'involucro, e lo feci atterrare su quella superficie inesplorata. Il mio indice poteva ricordare Neil Armstrong che per la prima volta mette piede sulla luna. Ovviamente con meno epicità di quel momento.
Era fredda ed anche un po' dura. Dovevo ancora ammorbidirla a furia di usarla.

Finalmente, dopo un po', aprì gli occhi.
Rimasi zitta.

Era bianca.

— Sul serio? Bianca? Se avessi voluto essere così tanto anonima avrei direttamente evitato di chiedertela! —

Era così che volevo risponderle. Ma, per motivi di sopravvivenza, decisi di incassare in silenzio.
Certo, era sicuramente meglio di grigia, ma bianca era per gente di poco conto. Io volevo prendere il controllo, essere la migliore in classe, non di certo qualcuno di banale.
Ebbe anche il coraggio di chiedermi se mi piaceva, non sapevo se prenderla come presa in giro o no.
Se il rosso e l'arancione erano i più comuni, il bianco era totalmente anonimo. Non avrebbe attirato nessuno ed io sarei rimasta ancora una volta negli abissi della classe come negli altri anni.
Non era cambiato assolutamente nulla.

— Sì, mi piace. — risposi con l'amaro in bocca, cercando di non far intravedere il mio disappunto verso quel pessimo colore.

Il mondo mi era caduta addosso in un attimo. Il giorno tanto atteso, la riapertura della scuola, era tornato ad essere nella mia mente un giorno grigio. Nessun colpo di scena, nessuna novità. Nulla di nulla, solo quell'aspro sapore di prevedibilità che mi accompagnava fin dalla mia nascita. In fondo era sempre così: quando mi prefissavo di fare una cosa mi immaginavo anche le reazioni, le quali, nella mente di una bimba, erano esageratamente positive. Ma la realtà è che io non faccio la differenza per nessuno. Se cambio qualcosa di me nessuno esulta, e questo nel tempo mi diede la sbagliata convinzione che era così perché a nessuno importava di me.
Mi faceva soffrire molto.

Il giorno dopo in classe ero così triste che non mostrai a nessuno la gommapane… finché non ebbi un colpo di genio.
Era bianca, ma nessuno m'impediva di colorarla manualmente.
Tornata piena di speranze, durante l'intervallo presi decisa il mio pennarello rosa. Ero abituata a starmene isolata nella ricreazione, perciò non era un problema.
Mi misi subito a colorare freneticamente la superficie della gomma. Avevo anche una spettatrice: Anna. Lei mi guardava abbastanza incuriosita. Ora non ricordo cosa mi disse, ma qualche commento lo fece. Ero però troppo impegnata in ciò che stavo facendo per darle veramente ascolto.
Finito di colorare era il momento di espanderlo in tutta la restante parte della gomma. Presi la gomma con la destra e cominciai a giocarci, strizzandola un po' e appiattendola contro il mio polso, per poi farla tornare una semi pallina e ricominciare il circolo.

C'era però una cosa che non avevo considerato: rosa non era diventato solo l'oggetto ma anche la mia mano. Così, quando aprì la mano, notai che improvvisamente questa aveva preso il colore della pelle di Bin Bong di Inside Out. In fondo era anche il mio personaggio preferito, perciò non lo considerai come un vero problema.

Anna guardò il risultato con stupore. Seguirono poi anche gli sguardi stupiti dei miei compagni, come se non l'avessero mai visto prima d'ora. La mafia non mi contattò, ma andava bene lo stesso.
E per anche solo per quel giorno mi sentì apprezzata da tutti in quella classe. Durò poco, ma non importava.

Il giorno dopo ero tutta entusiasta di andare a scuola. Volevo essere adulata come l'ultima volta, in modo tale da poter entrare nel gruppo delle persone da otto. Il mio piano stava finalmente funzionando.
Tuttavia tutti sembravano aver dimenticato. Non erano più interessati al mio unico bottino, nemmeno Anna era più stupita.
Dovevo aspettarmelo. Quella gioia non poteva durare per sempre.
Speravo che a casa mi sarei dimenticata di questa delusione, ed invece… non fu così.

Ci sono parole che ogni persona spera di non dire mai nella propria vita, capaci di ferirti anche più di quanto possa fare il mestolo della mamma a seguito di una risposta a tono usata per sbaglio.
Anche più di quando sbatti il ginocchio contro il tavolo e non puoi imprecare, perché se lo facessi il papa ti chiamerebbe per scomunicarti nell'immediato, e quindi sei costretto a soffrire in silenzio.
Ironicamente sono anche le più semplici. Non sono cose come "disarcivescoviscostantinopolizzare" oppure "supercalifragilistichespiralidoso". La più difficile da dire è "addio", anche perché non la diciamo mai davvero. Quando ci salutiamo con qualcuno, magari anche consapevoli che quella sarà la nostra ultima volta insieme, è sempre un "arrivederci", "ci si vede". Lo facciamo perché per noi è inconcepibile salutare per sempre qualcosa o qualcuno, ci illudiamo che il destino possa stravolgere le cose e far tornare tutti prima o poi, ma la verità è che il destino è noioso, è monotono, non ha davvero inventiva. È solo un po' sadico, non spicca per la sua originalità.

C'è solo un momento in cui l'unica opzione è un addio: quando muore qualcuno. Che poi anche lì si cerca di sdrammatizzare in ogni modo possibile con frasi del tipo "prima o poi lo raggiungeremo tutti", "non è davvero lontano da noi, è sempre qui assieme a noi" o la celeberrima "adesso abbiamo un altro angelo che ci protegge".
Tra l'altro che cosa significa questa frase non l'ho mai capito. Su di me sarebbe la cosa più sbagliata da dire, anche perché credo proprio che in paradiso non ci andrei nemmeno a pensarci, e poi, anche se ci andassi, onestamente non mi interesserebbe più di alcuna questione umana. Insomma, ho passato un'intera vita a preoccuparmene, almeno lassù vorrei un po' di pace e serenità.

Mio nonno me lo immagino in due modi lassù: o menefreghista, un po' come me, oppure a vigilare senza aiutare ma giudicando tutti, come faceva sempre da vivo con i cantieri. Lui ha sempre fatto il muratore fin da bambino, non ha proprio avuto una grande infanzia considerando che i genitori morirono quando lui era ancora molto giovane. Forse quei cantieri gli ricordavano un po' i giorni della giovinezza, perché infondo la sua stessa vita era un po' un cantiere ed ogni ricordo un piccolo mattoncino. Era cresciuto molto, aveva costruito una casa, ma poi quei mattoncini cominciarono a cadere lentamente ed alla fine di lui non rimase nulla se non qualche mattone disperso.

" Ma solo ieri c'eri nei giorni neri
Quelli in cui piove troppo forte per stare in piedi
E fottevamo anche la morte volando leggeri
Mi hai chiesto "dimmi, in che cosa credi? Che cosa temi?"
La mia risposta sei tu. "

Vorrei davvero dedicare un capitolo a lui, vorrei davvero raccontare di lui e divertire tutti voi con qualche piccolo aneddoto. La verità però è che io non ho mai avuto modo di conoscerlo come avrei voluto, di lui ho solo ricordi vaghi, una sensazione che lui effettivamente esisteva nella mia vita e che un giorno semplicemente se n'è andato per sempre. Non come se fosse morto, più come se semplicemente avesse abbandonato il palco nel mio monotono spettacolo dopo una frase ad effetto. Perché sì, la frase ad effetto ci fu, ma io non c'ero in scena in quel momento.
Il giorno prima che lui morisse guardò Antartide e le sorrise.

So che non sei mia mamma, — disse, — Ma lo sei stata per me. Nessuno si è preso cura di me oltre te… Sei davvero bella, ricordi tua mamma.

Poi il giorno nuovo arrivò. Non per lui, che si spense nella notte. Forse fu per quello che quelle frasi furono ad effetto: per essere le ultime sembravano uscite da un romanzo strappalacrime.
Mi mancano tutti i pochi momenti che ricordo. Mi mancano soltanto ora. Prima non potevo apprezzarli, o forse l'ho fatto ma non ricordo. Dopo la gommapane il mio cervello non ricorda assolutamente nulla. C'è un buio totale, un salto temporale. Ma ora mi mancano, perché pulire il suo muso che si sporcava apposta, perdere i wurstel che rubava di nascosto o tutte le volte in cui si sforzava con tutto sé stesso di ricordarsi qualcosa sono cose che ti mancano soltanto dopo che li hai persi per sempre. E quando sai quanto valgono tu rimani fermo, immobile. Perché noi tutti siamo un po' delle gommapane bianche di cui non apprezziamo nulla finché non ricordiamo che esiste il colore, e dopo aver dipinto il mondo per un giorno tutto sparirà la mattina seguente senza poter fare nulla.

" Sbadiglio e prendo la boccetta di Aducanomab
E penso che pure stanotte presto finirà.
Io ti darò la mano tu tienimi l'anima,
e pure se non sai chi sono non lasciarla mai "

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