Prologo: Ringo Starr

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" A volte penso che a quelli come me il mondo non abbia mai voluto bene "

È incredibile come, spesso, una semplice canzone possa colpire dritta al cuore.
Ogni persona ha una propria canzone, quella che sente più vicina a sé per un motivo o per un altro. E questa è quasi sempre qualcosa di drammatico, di quelle canzoni che ascolti e al primo verso già piangi - o almeno, così fanno vedere tutti nelle stories.

Chiunque ha quell'amica che non appena parte una specifica canzone ti racconta subito con un monologo ( non richiesto ) del perché proprio quella sia importante e di come la descriva, e non si spiega come quella canzone sia scritta proprio ed unicamente per quella persona, anche se questo lo ripetono davvero tutti come fosse un copione da seguire. Onestamente mi fa sospettare sempre di più che tutti siano dei robot identici in qualsiasi ( fatta eccezione qualcuna ) cosa.
Ma mentirei nel dire che io non ne ho una mia, perché in fondo anche io sono un robot come tutti gli altri.
Solo che il mio sistema ha una piccola falla; la mia non è una che diresti " cazzo, mi descrive " perché non parla di qualcuno di speciale o dei mille sacrifici fatti per amare qualcuno. Al contrario, racconta di qualcuno come gli altri, una persona che fa il suo e vive la sua vita come comparsa. Proprio quello che nessuno vuole essere.
" Mi raccomando studia, così diventerai qualcuno di importante " oppure " No, non essere come tutti gli altri, distinguiti in qualche modo ".
È facile dirlo. Ed è anche ironico il fatto che tutti dicano la stessa identica cosa, rendendosi proprio ciò che cercavano di non essere.

Per quale motivo dobbiamo distinguerci dagli altri? Per quale motivo dobbiamo trovare qualcosa, un hobby o cos'altro, che ci distingua dalla massa?
Io non l'ho mai capito.

Da bambina era tutto più semplice; non si stava a riflettere su queste questioni. Bastava solo esserlo, ammetto che anche io ho provato a diversificarmi dal resto del mondo - mondo che alla veneranda età di otto anni era composto dalla mia classe, le maestre, la famiglia ed ogni tanto qualche bambino che incontravo al parcogiochi.

Ho sempre diviso le persone che incontravo, specialmente in classe, basandomi sui voti che io assegnavo a queste persone nella mia mente.

I più bravi, quelli che facevano sempre ogni compito o che rispettavano sempre qualsiasi consegna della maestra, erano le persone da nove-dieci. Erano sempre quelli più considerati in classe, nel bene o nel male, e molto spesso erano proprio loro quelli che riuscivano ad arrivare al potere più importante dato direttamente dall'insegnante, la carica più in alto, quella che quando ti veniva assegnata capivi che tu eri il prescelto: segnare il nome di chi si comportava male sulla lavagna, mentre i dittatori si assentavano per esigenze da adulti come prendere un caffè, roba che consideravo come sacra perché era ciò che segnava l'esser mocciosi dall'esser adulti. Effettivamente tutt'oggi considero sacro il caffè, anche se per un motivo differente.

Poi c'era la fascia medio-alta, le persone da otto-nove. Loro, sebbene non potessero accedere al compito ardito da chiunque, potevano comunque svolgere delle mansioni per il regime come distribuire le fotocopie alla classe o chiedere alla bidella i gessetti per la lavagna. C'era anche chi rubava dei gessetti durante il suo compito per spezzettarlo e spacciarlo come sostanza proibita, ma questa è un'altra storia.

I gradi più bassi della catena alimentare chiamata 3^E erano occupati dagli alunni da cinque ( a dire il vero sarebbe meglio definirli da quattro, ma a quell'età ignoravo ancora l'esistenza di quel voto ).
Loro componevano la mafia della classe, erano gli addetti a roba come spaccio di merendine per soldi veri o di gesso sbriciolato, già dalle elementari gli intrecci tra la classe elite e la malavita s'erano insediati dato che loro accedevano al gesso grazie alle persone da otto.
Addirittura, si vociferava lungo i sottobanchi occupati come fortini nelle ore di ricreazione, i componenti dell'organizzazione criminale erano temuti anche dalle maestre o che queste erano direttamente coinvolte, ma non posso esserne sicura. Erano solo voci di corridoio, dopotutto, e la fonte più attendibile era il cugino del mio compagno con cui ci parlavo una volta o forse due in un anno.

Tutte queste classi sociali erano ben note ai capi supremi, ce n'era solo una di cui ignoravano l'esistenza: quelli da sette.
Loro non erano nulla, non avevano un compito specifico. Erano degli spettatori in un'opera in cui tutti i ruoli erano già stati occupati dai più distinti - chi in bene e chi in male.
Erano in pochi a farne parte, e io ero una di questi. Che fortuna, non è così?

Ho sempre tentato di distinguermi, di entrare a far parte di uno dei gradini citati. Avevo rinunciato subito a far parte dell'elite, studiare era ciò che più detestavo e non ci sarei mai riuscita a tenere una mole del genere come sopportavano i secchioni.
Così avevo cercato di far parte della fascia medio-alta. Più o meno ci riuscivo, ma per qualche ragione non venivo mai considerata come tale dal resto della classe. Ricordo che quello non era stato un periodo lungo, in realtà credo sia durato solo un mese o giù di lì. Più o meno la stessa velocità nel rovinare il quaderno che poc'anzi si giurava di tener ordinato.

Preferivo evitare di entrare a far parte della fascia da cinque, non ero quel tipo di persona e non onestamente so nemmeno se fossi stata capace di gestire uno di quei affari loschi di cui sapevo ancora troppo poco.
Sì, insomma, anche se fossi senza lavoro dubito mi unirei così facilmente alla mafia. E considerando gli anni, quella era malavita ben organizzata, equiparabile alla Camorra.
Durante tutta la terza elementare sono stata a riflettere su cosa diventare, sul come cercare di distinguermi. Volevo essere un pezzo importante per la classe e non essere più qualcuna di passiva che semplicemente assisteva senza intromettersi.
I cartoni che vedevo, poi, mi convissero che in realtà ero isolata perché un giorno mi sarebbe arrivato un bracciale magico in grado di portarmi a Centopia e di sconfiggere una volta per tutte la malvagia Panthea. Anche se, ad essere onesta, tifavo sempre i cattivi in quasi qualsiasi cartone vedessi.

Ora che ci rifletto mi sento così stupida. Per quale motivo dovevo essere in rilievo a qualsiasi costo? Non ricevevo nessun premio a farlo, cos'era allora ciò che mi spingeva a dovermi per forza elevare a " diversa "?
Non sarei nemmeno diventata diversa. Tutti i membri delle classificazioni fatte dalla me di otto anni erano uguali in ogni cosa, spesso non solo nel comportamento ma anche nell'aspetto. Per ricollegarmi all'inizio, dei veri e propri robot.

Noi umani siamo davvero strani: tentiamo durante il corso della vita di differenziarci, di diventare qualcuno di rilevante che possa finire sui libri di storia assieme a personaggi degni di nota, e ci proviamo facendo esattamente le stesse cose, pensandola ugualmente e ripetendo a pappagallo delle frasi come " non vivi davvero se non ti differenzi ".
Ma esattamente, perché?
Una gazzella non cerca di essere differente dalle altre gazzelle, così come non lo fa un leone, una scimmia, un gatto o qualsiasi altro animale al mondo.
Perché la nostra intelligenza ci costringe a riflettere su cose del genere? È un vero e proprio effetto collaterale dell'avere un cervello sviluppato. Probabilmente i primi uomini lo comprarono ignorando la dicitura in cui si parlava di questo effetto. O forse erano sadici abbastanza da comprarlo per questo motivo. Considerando com'erano i greci non ci sarebbe da stupirsi, certo però che potevano anche cercare di pensare alle generazioni future. Però erano dei maledetti, non ci credo nemmeno se venissi pagata che credevano davvero che ci sarebbe piaciuto farci tutti questi casini mentali.

Ora la prendo a ridere come cosa, ma quando ero piccola ci stavo male.
Era cosa giusta da fare, ero convinta che avrei dovuto riuscirci senza troppe storie perché è così che fa una brava persona.
Già da bambina sentivo una forte pressione su questo argomento, era stata la prima volta in cui sperimentai l'ansia, la mia fedele compagna di vita.
Dovevo essere la protagonista o comunque uno di quei personaggi che aiuta il principale, quelli da cui è attratto il pubblico e che regge in piedi le sorti dell'intero spettacolo. Ma la parte migliore che riuscivo ad occupare era quella del cespuglio nella recita di fine anno.

" Ma questa sera ho solo voglia di ballare,
di perdere la testa e non pensare più
che la mia vita non è niente di speciale "

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