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"Come facciamo a sapere che questa si chiama realtà?"

Le successive ore, fino a circa mezzogiorno, sono piene di lavoro. È ormai la quindicesima canzone che canto di seguito, con solo qualche minuto di pausa per le corde vocali e per i piedi nudi pieni di calli. È ora di pranzo, le persone stanno diminuendo e le poche rimaste si dirigono verso quei ristoranti e fast food. Di bambini ormai non c'è nemmeno l'ombra, e sul nostro tappeto ci sono tantissimi coriandoli colorati.

<<Direi che può bastare. Torneremo nel pomeriggio per continuare.>>

Alba alza gli occhi su di me e annuisce. C'è qualcosa che non va.

Mi siedo accanto a lei e incrocio le gambe. <<Che c'è che non va, paperella?>>

Uso con lei questo nomignolo sin da quando eravamo bambine, la chiamavo così perché mi ricordava tanto una papera gialla, con i suoi lunghi capelli biondi e lisci. Io li ho neri e mossi. Lei ha gli occhi verdi, io azzurri. Cosa ci accomuna allora? Lo stesso carattere e lo stesso duro lavoro.

<<Carnevale è la mia festa preferita, sai?>> confessa giocando con i coriandoli tra le sue dita.

Carnevale! Ecco come si chiama questa buffa festa. Ho una buona memoria per qualunque cosa, tranne per il nome delle numerose festività.

<<E allora perché sei così triste?>>

<<Perché non posso festeggiarla. Mi rende felice e al contempo triste vedere i bambini della mia età correre e giocare tra loro, mentre io sono bloccata qui, a cercare di non sbagliare le note per non far andar via le persone che ci donano la possibilità di mangiare.>> porta vicino alla bocca i pochi coriandoli rimasti e soffia su di essi. Si alza una nuvoletta colorata e il vento la porta via. <<Vorrei tanto un giorno vestirmi come loro e giocare a nascondino, buttarmi a terra e rotolare tra i coriandoli, schizzare con quelle strane lattine gli altri bambini. Ma so in cuor mio che questo è impossibile.>>

A volte dimentico che nonostante il suo bell'aspetto, Alba è ancora una bambina, e come tale vuole solo giocare con gli altri. Le metto un braccio attorno alle spalle magre.

<<Anche a me piacerebbe andare in giro vestita da qualcos'altro, ma purtroppo o questo>> indico noi due con le mani e la coperta dove siamo sedute. <<O lo stomaco vuoto per chissà quanto.>>

A volte, purtroppo, bisogna essere terribilmente sinceri per ingoiare meglio la pillola. E a lei non ho mai detto bugie, deve sapere fin da subito che le nostre condizioni non potranno mai cambiare.

Osservo la nuvoletta di coriandoli che sparisce nel vento. <<Vorrei poterti promettere che un giorno tutto questo finirà, che riusciremo a dormire in un vero letto e che non avremo bisogno di cantare o ballare per mangiare. Ma non posso farlo, non sarei onesta con te.>> concludo accarezzandole la schiena e i capelli un po' sporchi. Quando è stata l'ultima volta che ci siamo lavate?

Mi sorride con un sorriso triste e insieme ci alziamo da lì. Raccogliamo velocemente le nostre cose ed io mi avvicino al cestino delle monete. C'è qualcosa all'interno, qualcosa che non ci sarebbe dovuta essere. Chiamo Alba e la faccio venire accanto a me.

<<Hai visto chi è stato a metterla lì?>> le chiedo.

<<Sì, un uomo interamente vestito di nero con una maschera bianca sul volto e un cappuccio sulla testa. L'ha posata lì subito dopo che tu hai cantato quella canzone degli 883. Probabilmente gli è piaciuta.>>

Mi chino sul cestino e la prendo: una rosa bianca. Una rosa bianca priva di spine e di un bianco purissimo. Non ne avevo mai vista una così bella in vita mia, e di fiori ne ho visti tanti in diciassette anni.

Le rispondo un po' infastidita, anche se so che lei non c'entra niente. <<Non ci servono rose, ma denaro. Se pomeriggio lo rivedi, digli quello che ti ho detto io.>> poso la rosa nella cucitura tra la gonna e la camicia. <<Ora andiamo, lo stomaco brontola già da un bel po'.>>

Insieme ci incamminiamo per la strada che porta al capanno, con la chitarra in una mano e la coperta rossa nell'altra. Vedo davanti a noi una figura in lontananza che corre come se dovesse arrivare per primo al traguardo; un cespuglio castano chiaro ed un gran sorriso. Quando ci raggiunge, ha il fiatone e ci dice di aspettare.

<<Buongiorno anche a te, Derek.>> gli dico sorridendo.

<<Un attimo, fammi riprendere fiato!>> ansima tra lunghi respiri.

Derek è un ragazzo un po' più grande di me, credo, e lavora come postino; ogni giorno da quando sono in questo paesino viene a cercarmi per salutarmi. È un ragazzo semplice, che ama le piccole cose, con un sorriso contagioso e dei capelli castano chiaro che non stanno mai al loro posto.

<<Ciao Derek!>> Alba si avvicina e lo abbraccia. <<Mi sei mancato!>>

Lui accetta volentieri il gesto e la prende in braccio. È molto alto, mentre Alba è piccolissima di statura, quindi sembra una scena padre - figlia.

<<E tu? Niente abbraccio?>> mi dice porgendomi il braccio libero.

<<Solo quando te lo meriterai.>> Incrocio le braccia al petto.

Gli faccio l'occhiolino e lui lascia andare Alba a terra. Porta sempre una divisa gialla e blu, con un buffo cappello nero ed una strana borsa contenenti delle buste bianche con dei particolari pallini rossi, francobolli mi pare li abbia chiamati qualche volta. Non ho mai capito il vero senso di metterli su delle buste.

<<Ti ho portato una cosa, Zoe.>>

Dalla borsa estrae delicatamente una bellissima rosa rossa, con il gambo di un bel verde scuro e le foglie verde chiaro. Me la porge con un grande sorriso ed io credo di arrossire. I suoi occhi castani studiano la mia espressione sorpresa.

<<Grazie.>> sussurro prendendola.

Lui abbassa lo sguardo e sorride leggermente, ed io noto le sue splendide fossette sulle guance. Non capirò mai il senso di farsi dei regali.

Metto la rosa nello stesso punto in cui ho messo quella bianca, e gli sorrido.

<<Credo... credo che ora dobbiamo andare.>> mormoro in imbarazzo sotto al suo sguardo tenero.

<<Oh, beh, certo. Scusate se vi ho fatto tardare. Ci vediamo in giro, ok?>> si avvicina ad Alba e le stampa un bel bacio sulla guancia. Quando si avvicina a me, mi guarda con il solito sguardo da cucciolo indifeso. <<Ora me lo merito un abbraccio?>>

<<Ci devo pensare.>> trattengo a stento una risata e sicuramente si nota.

<<Quanto devo aspettare ancora?>> sbotta imbronciandosi, ma solo per finta.

Rido e crollo penosamente. <<Solo perché mi hai regalato la rosa.>>

Gli si illumina il viso e ci scambiamo un bell'abbraccio. I suoi capelli odorano di vaniglia e non so cos'altro, e sono molto morbidi sotto le mie dita.

<<Derek.>> dico dopo un po'.

<<Dimmi.>>

<<Ora puoi lasciarmi andare.>> 

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