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"Non ero meno solo di chi crede in qualcosa a cui nessun altro crede."

La notte stava per arrivare, la luna stava per entrare nel suo regno di tenebre e il Re non aveva ancora trovato la soluzione all'enigma. Fuoco, terra e acqua li aveva già trovati, mancava solo l'aria, e il bigliettino diceva che avrebbe dovuto prenderlo lui stesso, e che si trovava in aria. Era nel suo studio con le mani sulle tempie e gli occhi chiusi. Ragionava e ragionava, ma quell'ossessione sembrava più grave di quel che credeva. E nemmeno voleva chiedere aiuto, per colpa dell'orgoglio. Solo lui si ci era messo in quel casino, per sua mano, per una sua scelta, e solo lui doveva porre fine a tutto. E poi, il bigliettino diceva che solo lui lo avrebbe trovato, sarebbe stato inutile chiedere aiuto a qualcuno. Cos'era che si trovava in aria? Tutto poteva trovarsi in aria, qualunque cosa.

Poi ricordò l'altra parte del messaggio, che diceva che non importava quanto avesse dovuto aspettare per trovarlo con le sue mani. Pensò e pensò. L'unica cosa che aveva il potere di fermare un vampiro era il sole, ma questo che c'entrava con l'aria? Aveva aperto la finestra ora che il sole era basso e non trasmetteva luce, quindi il vento portò all'interno dello studio -Che si trovava al secondo piano- una piccola foglia verde, caduta da chissà quale dei tantissimi alberi che possedeva. La vide posarsi con leggerezza sulla scrivania in mogano, poi la prese tra le dita e la osservò: tanto piccola, eppure tanta vita dentro ad essa.

Una foglia, quindi un albero molto alto. E gli alberi dove si trovano? Fuori, altissimi, tra il vento. E cosa avrebbe potuto fermarlo? Il sole, che in quel momento non c'era. Si risvegliò dal suo letargo e balzò dalla sedia, diretto per le scale, maledicendo sé stesso e la sua scarsa bravura in queste cose. Si fermò all'inizio delle scale perché sentì la voce di sua moglie, quindi tornò nello studio e decise di uscire dalla finestra. Se sua moglie lo avesse visto di sicuro lo avrebbe ricoperto di domande, lei capiva sempre quando c'era qualcosa che lui non voleva rivelare. Infondo, era il suo potere.
Uscì dalla finestra con un lungo balzo e atterrò sull'erba con leggiadra, piegando leggermente le gambe. Era un vampiro molto grande, ma nonostante questo era ancora molto agile, forse di più di suo figlio.

Si guardò intorno e constatò che non ci fosse nessuno, poi si incamminò verso il retro del palazzo, dove c'era l'albero più vecchio della tenuta.
Ricordava quando lo aveva piantato, era stato quasi mille anni prima, e ad aiutarlo era stato suo padre, quando i rapporti con lui erano decisamente migliori di come sono andati poi con il passare del tempo. Suo padre aveva deciso di non parlarlo più dal giorno che disse di sì alla promessa di matrimonio, e dopo tutto quel tempo non aveva ancora sue notizie. Non sapeva nemmeno se fosse ancora vivo, e tanto meno gli interessava.

Raggiunse quell'enorme albero pieno di foglie verdi e lo osservò bene prima di arrampicarsi. Nemmeno un fiore cresceva su di esso, eppure era un tipo di albero che ne dava, e anche tanti. Il suo tronco era così grande che se fosse stato abbattuto e in seguito usato per alimentare un camino, quella legna sarebbe bastata per tutto l'inverno e anche per metà del prossimo. I rami si estendevano larghissimi nell'aria, quasi a voler sfidare la forza di gravità. Prese coraggio e salì, piano piano, guardando ovunque, anche un minuscolo dettaglio che non aveva mai visto. Ma più guardava, più si rendeva conto che non sarebbe stato per niente facile. E poi, il vento avrebbe anche potuto portarlo via, e se fosse stato così, che ne sarebbe stato della ragazza di quell'elemento? E delle altre? E di tutti i regni.

. .. . .. .

Dopo essere uscita fuori di lì ho deciso di continuare a camminare, senza una valida meta e senza un valido scopo. Voglio solo stare il più lontano possibile da quel palazzo, il più lontano possibile da quel demonio che si fa chiamare principe. L'aria fresca mi ha schiarita le idee e ho collegato dove avevo già visto quella scena: in un mio sogno, la prima notte nel palazzo, e sul tavolo distesa c'era Giorgia che implorava di essere liberata. E ricordo che il principe era uscito dal buio e mi aveva sorriso, poi mi ero distratta e quando ho guardato di nuovo Giorgia ho visto me stessa, legata e senza dignità, privata di tutto, persino dei vestiti. Ma come ho fatto a sognare ciò che avrei visto settimane dopo? Evidentemente così come ho fatto a sognare quella stanza e quel quadro quando ancora non avevo conosciuto il principe.

Elimino i ricordi di quello che ho appena visto e continuo a camminare tra l'erba alta. All'interno della casetta ho trovato una candela un po' consumata e ora la reggo in mano, illuminando il cammino. Non mi è stato difficile accenderla, sono abituata a fare cose del genere, essendo cresciuta in modo quasi selvaggio. Inoltre all'interno ho trovato anche un mantello nero molto grande, e dal momento che qui sta calando la notte, ho deciso di metterlo sulle spalle e posare il cappuccio sulla testa. È molto sporco e pieno di polvere, ma, che dire, non sono schizzinosa, ho imparato a non esserlo a cinque anni. Sono arrivata al confine del territorio e resto sorpresa quando vedo che questo lato non è delimitato da sbarre come gli altri, bensì da un altissimo muro bianco fatto di pietra. Decido così di continuare a camminare seguendo il muro, almeno ho un punto di riferimento, ho perso la consapevolezza di dove mi trovo ormai da almeno un’ora.

L'erba qui è davvero alta, faccio fatica ad avanzare e ogni tanto devo poggiare una mano sulla parete fredda, per evitare di cadere.
Un altro deja-vù. Un altro sogno. Sono già stata qui, ho già toccato questo muro, ho già stretto nelle mani questa piccola candela.

Che sta succedendo? Magari stanotte sognerò il giorno della mia morte, chi lo sa. E se non ricordo male i dettagli di quello strano sogno, da un momento all'altro sentirò delle foglie muoversi e, spaventata, aumenterò il passo.

E così succede, i cespugli a qualche passo da me si muovono ed io aumento il passo, reggendo a stento in mano la candela bianca. Mi guardo addosso: vestito bianco strappato e sporco del mio sangue, mantello nero e cappuccio sulla testa. È tutto esattamente identico. Le foglie continuano a muoversi freneticamente ed io inizio a tremare, credo un po' per il freddo, un po' per il fatto che ho già vissuto questa scena.

<<Fiorellino, lo sai che da me non puoi scappare.>>

La sua voce mi paralizza e serro i denti.

<<Devo riconoscerlo, ho perso parecchi secondi seguendo la tua falsa scia, ma dimentichi che una pozzanghera non sarà mai come un oceano.>>

<<È così che mi vedete? Come un oceano di sangue, principe?>> rispondo girandomi, ma non lo trovo.

Dov'è? Ero convinta di averlo proprio dietro le spalle.

<<Si, ti vedo come la mia scorta personale di sangue.>>

Mi giro di nuovo ma nemmeno stavolta riesco a vederlo. È troppo veloce.

<<Che peccato, la tua scorta di sangue sta andando via.>>

Riprendo a correre e per la strada mi graffio con le spine e temo che questo possa fare aumentare la sua sete. C'è un po' di vento e per questo motivo la candela si è spenta, così la butto e penso solo a correre.

<<Che stupida, pensi davvero di essere più veloce di un vampiro?>>

<<Certo che no, ma la speranza è l’ultima a morire.>> rispondo ansimando, non fermandomi.

Sono consapevole della sua presenza alle spalle, ma lo stesso corro più veloce che posso.

<<Ho un amico che compone filastrocche, sai? Vuoi sentirne una ora? Ti va? Sembra fatta apposta per questo momento.>> sussurra nel vento, alle mie spalle, credo.

<<Dimmela solo se alla fine la protagonista si salva.>> mi fermo e cerco di riprendere fiato, poggiandomi con le spalle al muro.

<<Fiorellino, se la protagonista si salverà, lo deciderò io.>>

Silenzio.

Non so nemmeno in che punto si trovi, la voce sembra provenire da punti diversi del perimetro. Inoltre, la luce della luna non penetra abbastanza tra le grandi foglie, quindi non vedo niente che non sia a due centimetri dal mio naso.

<<Nella notte buia
senza luna e senza stelle
Illuminata solo
dal riverbero delle fiammelle
Una fanciulla rasente i muri
Avanza lesta
Col cappuccio del mantello
Calato sulla testa
A nasconder la folta chioma nera
Per non attirar l'attenzione
di qualche falena.
Sotto la gonna nello stivaletto
Nasconde bene un piccolo stiletto:
Con mano lenta lo prende
E la sua anima si accende
Tenuto stretto nella sua forte mano
Pronta a difendersi da qualche tipo strano.>>

Ma com’è possibile? Ho davvero un piccolo coltellino nascosto in una tasca della gonna, come ha fatto a saperlo? E come ha fatto a sapere che ho i capelli neri?

<<Mentite, principe. Non l'ha scritta un vostro amico, la avete scritta voi, vero?>>

<<Corri ragazza
Non voltarti, o uscirai pazza!
E se mai ti dovessi voltare
Ricorda bene: non urlare.
Perché se urlare tu vorrai
Indietro di certo
Non tornerai.>>

Rabbrividisco.

<<Non mi serve scriverla, ho un'ottima memoria e in più l'ho creata ora, vedendo il tuo inutile coltellino nella tasca della gonna.>>

Estraggo dalla tasca il coltellino e lo tengo a man ferma all'altezza delle spalle. <<Avvicinatevi pure, ma non vi conviene.>>

La sua risata echeggia per il bosco.

<<Nel vicolo buio
Prosegue la poverina
Senza saper che il male
Si avvicina.>>

<<Lo capite che non ho paura?>> urlo tenendo stretto il coltellino.

<<Non è questo che dicono i tuoi occhi, sai? Si, esatto, vedo perfettamente al buio, quindi ora ti posso guardare, mentre come una talpa cerchi disperatamente di colpirmi. Ma non sai una cosa importante.>>

<<Sono pronta a saperla ora, allora.>>

<<Che non mi procureresti alcun male irreparabile, ferendomi con quella. Quindi, fa pure.>>

Afferra la mia mano con delicatezza e poi fa un passo avanti, e la lama penetra nel suo stomaco. La muove su e giù come per allargare la ferita. Resto pietrificata, ora le mie mani tremano e non mi sono mai sentita così impotente.

<<Ti senti meglio ora?>> dice in un sussurro, continuando a tenere con delicatezza la mia mano nel suo stomaco.

Non rispondo. Le mani tremano. Il respiro è corto. Vuole uccidermi? Torturarmi in quella casetta delle torture? Vedrò mai di nuovo la luce?
Si scosta velocemente e butta il coltellino nell'erba alta, è così alta e fitta che quello non ha toccato il terreno.
Afferra più saldamente la mia mano, poi mi porta vicino a sé e me la posa sulla ferita che sgorga sangue.

<<Tocca con la tua stessa mano cosa noi siamo capaci.>> bisbiglia con un tono di voce diverso dal solito, più profondo.

Ancora tremo mentre lui la spinge più dentro, facendomi toccare la carne viva e il sangue che cola. Ma all'improvviso accade qualcosa, sembra che le parti lacerate della pelle si stiano ricucendo da sole.

<<Ora senti come la mia pelle si rimargina da sola, tutti i filamenti si riuniscono in pochi piccoli movimenti.>>

Leva leggermente la mia mano e sento che ormai della ferita non ne resta nemmeno una cicatrice, infatti me la sta facendo toccare in modo da farmi capire che non avrò mai chance contro di lui. Resto con la mano ferma sulla sua pelle fredda e liscia.

<<N-non non fa male?>> balbetto.

<<Neanche un po’.>>

Odio non poterlo guardare, odio parlare con qualcuno e non capire nemmeno se sorride o no. So per certo che è qui perché sento la sua presenza, il suo profumo mi inonda le narici. E, soprattutto, lo sto toccando. 

<<Come fai ad essere così bravo a comporre rime così, su due piedi?>>

<<Si chiama talento, fiorellino.>>

Abbasso gli occhi a terra alla ricerca di qualcosa da guardare, mi sento una ceca in un campo di fiori colorato. Ed è proprio ora che sento che si avvicina di più e fa aderire perfettamente il suo corpo contro il mio. Mi prende entrambe le mani e me le poggia sul suo petto, poi posa una mano sul mio fianco e l'altra con un tonfo contro il muro, proprio accanto alla mia testa. Non posso vederlo, ma percepisco che è molto arrabbiato.

<<Sei scappata.>> dice con freddezza.

<<Che stai facendo?>>

Mi spinge di più contro il muro e la schiena inizia a fare male per la troppa pressione. Il suo corpo aderisce perfettamente al mio, sebbene ci siano almeno 20 centimetri di differenza in altezza.

<<Sei scappata.>> ripete. <<Non farlo mai più.>>

<<Scappo da chi mi fa del male, principe.>>

Spinge ancora di più e stavolta emetto un gridolino soffocato.

<<Mai, mai e poi mai dovrai farlo di nuovo, intesi?>> ringhia a due centimetri dal mio viso.

<<Che vuoi fare?>> sussurro trattenendo le lacrime per la rabbia.

<<Fartela pagare, è chiaro. Non si scappa dal principe.>>

Con la mano che poggiava sulla parete mi percorre il collo con un tocco leggero che mi mette i brividi. Cerco di oppormi ma con un gesto fulmineo blocca entrambe le mie braccia sulla parete sopra la testa.

<<Stavolta non puoi scappare.>>

Riprende ad esaminarmi il collo e sento il suo sguardo su di me, mentre deglutisco. Sul collo, sulla vena, sul seno. Poi scende giù fino a sfiorare l'orlo del reggiseno, risale e si concentra sulla vena che pompa sangue ad un ritmo anormale.

<<La tua paura ha un profumo divino, piccola.>> sussurra al mio orecchio, poi morde leggermente il lobo, e mi percorre un brivido lungo la schiena.
Il mio cuore fa un sussulto. Lui aveva l’abitudine di chiamarmi così.

<<Non chiamarmi così, per favore…>> riesco a dire. Non voglio mai più sentire quella parola detta a me.

Lui sembra colpito, si stacca e mi lascia andare le mani che ricadono sui fianchi. <<Perché?>>

Deglutisco. Non voglio parlarne con lui, e tanto meno ne voglio parlare ora, in questo momento. 

<<Non ho avuto una vita facile…>> mormoro. <<Il mio patrigno mi chiamava sempre così, prima di…>> non riesco a finire la frase.

Lui sembra studiarmi, anche se non riesco a vederlo. Mi rendo conto che è ancora davanti a me quando mi sfiora con un dito le labbra. Il mio cuore fa una giravolta.

<<Non ti chiamerò più così, te lo prometto.>> sussurra e sento il suo respiro freddo sulle mie labbra.
<<Fiorellino.>>

Percepisco di nuovo lo zoo nel mio organismo, ma mi sforzo di tenerlo chiuso. Non voglio soffrire ogni volta che lui mi mostra un lato di sé diverso da quello che conosco.
Torna con il viso sul mio collo e lo annusa, come se stesse pregustando la sua cena. Poi con quella stessa mano fa correre le dita sui miei stretti fianchi, poi risale e mi accarezza i capelli, annodandoli sulle sue dita.

<<Tu non puoi nemmeno lontanamente immaginare cosa io vorrei farti.>>

<<Vuoi mordermi, credo sia molto chiaro.>>

<<Non solo.>> mormora abbassando di più la voce, come se qualcuno potesse sentirci.

Stringo i denti quando passa la lingua sulla vena, poi a quel gesto si uniscono dei baci profondi che mi fanno venire la pelle d'oca.
Sensazioni proibite emergono a galla della mia mente e cerco di non pensarci, ma ormai credo di esserci dentro fino al collo.
Sensazioni che non avevo idea che si potessero provare.

Che io potessi provare.

E poi, non so se finalmente o per disgrazia, affonda i canini nella mia carne, ma non con rabbia e fame, con molta dolcezza. Il dolore può essere paragonato alla puntura di un'ape. La lingua continua a solleticarmi la pelle e lui succhia lentamente, goccia dopo goccia, il sangue dal mio collo. Si stacca e fa la cosa più inaspettata tra tutte: mi bacia ed io mi accorgo che segretamente non stavo aspettando altro. Come una morsa sullo stomaco, tutte le farfalle che avevo chiuso nel dimenticatoio escono all'unisono. Non è lo stesso bacio di l'altro giorno, c'è poca dolcezza, piuttosto fame di qualcosa di proibito, di lontano.
In più c'è il mio sangue sulle sue labbra.

Vorrei ribellarmi, scappare via dalla sua presa ma ne sono come incantata, incapace persino di respirare. Accolgo la sua richiesta e lo bacio a mia volta, arrendendomi a lui.
Come un pesce intrappolato nella rete del pescatore, come una mosca bloccata sulla ragnatela di un ragno e come una rondine che non può volare.

Eccolo, il sapore del proibito.

E mi piace.

......................

E boom! Solo per voi e tutto per voi, un altro capitolo di Soul Hunter!

Fatemi sapere cosa ne pensate.
Nei prossimi giorni ne pubblicherò altri!

~Artemide L. Rose⚘

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