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"Tu non lo hai addestrato, lo hai rovinato."

Nel pomeriggio torniamo di nuovo in quella piazza affollata di maschere colorate. Spero con tutta me stessa di incontrare Derek per chiedergli di leggere la lettera. Se non lui, allora nessuno potrà aiutarci, non mi fido di nessuno.

L'episodio di questa mattina non mi ha scalfita più del solito. Sono abituata alle botte, alle lacrime di Alba e a desiderare di non vedere più quell'uomo. Spero che almeno non si noti molto il livido sul mento e il taglio sul labbro inferiore. Cerco di nascondere il più possibile la macchia di sangue con i capelli. Camminando verso un posticino dove metterci per suonare, la mia attenzione viene catturata da una signora in un angolino, tutta rannicchiata per il freddo contro il muro. Le sorrido quando mi inginocchio alla sua altezza.

<<Salve, Geneviève.>>

Lei ricambia il mio sorriso e con la coda dell'occhio vedo che anche Alba le sta sorridendo.

<<Ecco le mie due cantanti preferite.>> dice.

<<Le sole e uniche cantanti che tu conosci, vero Geneviève?>>

Alza un sopracciglio. <<Devi per forza puntualizzare su tutto, piccola luna?>>

Scrollo le spalle in risposta e lei alza gli occhi, esasperata dal mio caratteraccio. Geneviève ha origi ben lontane da qui, la storia della sua vita nasce all'incirca sessantacinque anni fa, in un paese della Francia. Io e Alba ci commoviamo ogni volta che ci racconta del suo passato, della storia d'amore finita male con un ragazzo di queste parti. Ogni giorno paga le conseguenze di quell'azione avventata, vivendo per strada.

Alba mi accarezza una spalla. <<Vado a vedere se trovo uno spazio per noi.>> dice, poi saluta l'anziana signora e va via sotto il mio sguardo. Cerco di non perderla mai di vista ma questo pomeriggio ci sono molte più persone.

Così faccio anche io per andarmene in modo da seguirla, ma Geneviève mi prende una mano e mi costringe a restare in ginocchio di fronte a lei.

D'improvviso il suo solito sguardo allegro si trasforma in una smorfia di preoccupazione. <<Sta' lontana dalle rose nere.>>

<<Ancora con queste rose nere, Geneviève?>>

Lei si guarda intorno furtiva, poi avvicina il suo viso al mio orecchio. Il suo respiro caldo e maleodorante mi invade le narici. <<Lui è già qui, lo sento nelle ossa, piccola luna.>> si scosta quanto basta da incrociare il mio sguardo. <<Sta' lontana dalle rose nere, non sono mai una giusta scelta.>>

Mi chiama così dal primo istante in cui ci siamo incontrate, mesi prima, e io non le ho mai chiesto il perché. Forse non voglio nemmeno saperlo, preferisco che resti una cosa sua.

Mi alzo, incurante delle sue parole. <<Devo andare, Geneviève. Passerò a trovarti di nuovo domani.>>

L'anziana signora si stringe ancora di più nella coperta consumata, gli occhi vigili attorno a lei, preoccupata. <<Le rose nere, le rose nere... è troppo tardi, è troppo tardi...>> continua a ripetere come una cantilena.

La lascio lì, da sola, come ogni giorno quando inizia a dare in numeri. Mi mette tristezza lasciarla completamente sola, ma le sue parole mi danno sempre un senso di irrequietezza e agitazione. Ho già i miei sogni che mi dicono di stare attenta alle rose nere.

Raggiungo Alba, che si è posizionata allo stesso posto di questa mattina.

Dopo aver sistemato per bene tutto, lei si siede a gambe incrociate con la chitarra in grembo. <<Otherside, quella di quei cantanti con quel nome strano.>> dice guardandomi.

<<Parti paperella.>>

Subito inizia a strimpellare sulla chitarra qualche nota che spero sia al suo posto. Tutte le canzoni che sappiamo le abbiamo imparate ascoltando le playlist di vari bar, abbiamo perso parecchie ore nel tentativo di riprodurre alla perfezione ogni nota, e il tempo giusto per iniziare a cantare. Per fortuna abbiamo entrambe un'ottima memoria, altrimenti tutti quei testi non saremmo riuscite a memorizzarli.

Non ci sono persone per il momento che si sono fermate per guardarci, tutti passeggiano con indifferenza stretti nei loro giubbotti costosi e inutili.

<<How long how long will I slide
Separate my side
I don't
I don't believe it's bad
Slit my throat It's all I ever!>>

Ancora nessuno si ferma per guardarci, ma pazienza, questo è il mio lavoro e so bene che ce ne vuole tanta.

<<I heard your voice through a photograph
I thought it up it brought up the past
Once you know you can never go back
I've got to take it on the otherside.>>

Non sono molto brava a ballare, nessuno mi ha mai insegnata, e quel poco che riesco a fare consiste nel muovere braccia e gambe a ritmo di musica. A volte, se ci sono tante persone, mi permetto anche di mettere in risalto le mie doti femminili. Ci provo, almeno.

<<Centuries are what it meant to me
A cemetery where I marry the sea
Stranger things could never change my mind
I've got to take it on the otherside.
Take it on the otherside.>>

Finalmente un paio di passanti ci hanno sentite e si sono fermati per osservarci. La coppia ci guarda ma con la mente sono altrove. L'uomo è vestito normalmente: un giaccone pesante, dei pantaloni grigi e delle scarpe dall'aria costosa. I capelli brizzolati e la barba lunga ma ben curata svelano i suoi lineamenti da sessantenne. La donna, invece, veste in maniera molto appariscente, sembra essere appena uscita da una rivista famosa di moda. Ha un vestito rosso con la minigonna, strettissimo, con delle calze nere e una giacca nera che arriva fino a metà coscia. I capelli sono biondi e corti, sembra quasi che il suo parrucchiere le abbia poggiato una scodella in testa e poi abbia levato via i capelli di troppo. Porta degli occhiali da sole scuri, un rossetto rosso e dei tacchi a spillo bordeaux. Al contrario dell'uomo, lei non può avere più di trent'anni. Scommetterei la mia chitarra che io e Alba potremmo mangiare a vita con i soldi ricavati dalla vendita di metà delle cose che indossa lei. Forse sono io un po' esagerata, forse è normale tutto questo... ma poi, cosa mi importa? Fin quando non si limitano solo a guardare io non posso dire o fare niente. A fine giornata il cestino deve essere pieno, e non mi importa se a riempirlo è stata una persona sola o tante.

<<Take it on
Take it on
Pour my life into a paper cup
The ashtray's full and I'm spillin' my guts
She wants to know am I still a slut
I've got to take it on the otherside.>>

E quella ricca coppia, invece di avvicinarsi e regalarci qualcosa, va via sorridendo. Li vedo entrambi a braccetto entrare in un negozio dove davvero poche persone avevo visto prima entrare. Al posto di quei due, una famiglia si ferma e ci osserva come incantati. Un uomo, una donna e quattro bambini piccoli vestiti in modo diverso, ma con bellissimi abiti colorati. Il più grande non può avere più di otto anni. Tutti ci sorridono come quando io sorrido davanti ad una vetrina di una pasticceria. Sono incantati dalla mia voce, dal modo in cui mi muovo e dal modo in cui Alba regge in mano la chitarra. Loro sono completamente diversi da quei due di prima, loro non hanno abiti lussuosi e non mi guardano con aria di superiorità.

Loro sono diversi.

<<Scarlet starlet and she's in my bed
A candidate for my soul mate bled
Push the trigger and pull the thread
I've got to take it on the otherside
Take it on the otherside
Take it on
Take it on.>>

Una delle due bambine prende la mano della mamma e ci indica, con un gran sorriso e tanta voglia di fare qualcosa che non riesco a capire. Non posso naturalmente sentire le conversazioni, le note alle mie spalle non me lo permettono. La mamma estrae dalla borsa qualcosa che ora la bimba regge in mano con cura, e lei si avvicina un po' timida e con lo sguardo basso verso di me. Proprio ai miei piedi c'è il solito cestino mal ridotto, vuoto. La bimba con un vestito rosa e un cappello a punta si avvicina e mi guarda con tantissima timidezza. Il suo sguardo è molto chiaro, è un "posso?" che non ha bisogno di parole. Dopo aver ricevuto un mio sorriso, lei si abbassa e posa nel cestino qualche moneta, poi si rialza e mi guarda.

<<Turn me on take me for a hard rides
Burn me out leave me on the otherside
I yell and tell it that
It's not my friend
I tear it down I tear it down
And then it's born again.>>

Per impulso dettato dal momento e non dalla ragione, le accarezzo una guancia e subito dopo, continuando a cantare, le faccio fare una piroletta su sé stessa e il suo vestito rosa si apre come una grossa rosa in primavera. Finita la piroletta, la bimba corre dalla mamma e le prende di nuovo la mano. Io non posso fare altro che sorridere a tutti, un sorriso che vale più di mille parole.

<<How long I don't believe it's bad
Slit my throat
It's all I ever.>>

Concludo così la canzone, e l'intera famiglia insieme ad altri passanti ci applaudono felici. Io e Alba ci scambiamo un segno di gratitudine reciproco, segno che durante la canzone non è andato niente storto, e che siamo contente l'una della prestazione dell'altra. Prima di andare via, la bimba mi saluta con la mano e io ricambio con lo stesso gesto. Il quadretto familiare si allontana lasciandomi con una felicità nel cuore pari a non so cosa.

A volte, purtroppo, incontro persone come la prima famiglia e la seconda: la prima è avara, di quelle che ti guarderanno sempre dall'alto in basso, capaci di lasciarti morire di fame da sola sotto la pioggia. La seconda, invece, è quella capace di morire insieme a te, sotto la pioggia.

. .. . .. .

Il pomeriggio passa velocemente, con tante canzoni e balli. Ho addirittura dato il cambio ad Alba con la chitarra, e le ho permesso di andare a bere un po' d'acqua alla fontana. Quindi ora mi trovo da sola, con la chitarra in grembo e tante persone davanti a me che mi guardano curiosi. Bene, una canzone che sono sicura di non sbagliare... quella degli 883 è semplice da suonare, non dovrei avere problemi. Quindi mi preparo e posiziono le dita sulle varie note, faccio un bel respiro e parto. Anche se la canzone è in italiano, non ho problemi a cantarla.

<<Io, di risposte non ne ho
Mai avute mai ne avrò
Di domande ne ho quante ne vuoi
E tu, neanche mi fermerai
Neanche tu ci riuscirai
Io non sono quel tipo di uomo
E non lo sarò mai.>>

Perfetto, tutto procede secondo i piani. Qualcuno mi guarda incuriosito, altri mi fanno addirittura delle foto con i loro telefonini. Tra la gente c'è qualcuno mascherato, le solite maschere bianche e i soliti cappucci neri sulla testa.

<<Non so
Se la rotta è giusta o se
Mi sono perduto ed è
Troppo tardi per tornare indietro così
Meglio che io vada via
Non pensarci è colpa mia
Questo mondo non sarà il mio!>>

Un'anziana signora mette qualche moneta nel cestino e mi sorride. A quanto pare questa canzone piace proprio a tutti.

<<Non so! Se è soltanto fantasia
o se è solo una follia
Quella stella lontana laggiù
Però io la seguo anche se so
Che non la raggiungerò
Potrò dire ci sono anch'io.>>

Qualcuno va via, ma io non mi abbatto e continuo.

<<Non è stato facile perché
Nessun altro a parte me
Ha creduto
Però ora so che tu
Vedi quel che vedo io
Il tuo mondo è come il mio
E hai guardato nell'uomo che sono e sarò!
Ti potranno dire che
Non può esistere
Niente che non si tocca o si conta o si compra perché
Chi è deserto non vuole che qualcosa fiorisca in te!>>

La mia mano ormai tocca le corde senza il mio comando, decide lei dove posizionarsi e io glielo lascio fare. Tra la massa, noto una figura incappucciata che non mi guarda, si limita a fissare il cestino delle monete. Ha una maschera bianca di plastica, un mantello nero lunghissimo, un cappuccio sul capo e degli abiti neri. Mi chiedo che gusto ci provino ad andare in giro vestiti tutti allo stesso modo. Proprio quando sto per ritornare a guardare la chitarra, noto qualcosa nella sua mano. Una rosa, una rosa bianca. Si tratta sicuramente della stessa persona di stamattina.

<<E so! Che non è una fantasia
Non è stata una follia
Quella stella la vedi anche tu
Perciò io la seguo e adesso so
Che io la raggiungerò
Perché al mondo ci sono anch'io!
Perché al mondo ci sono anch'io!
Ci sono anch'io!>>

Termino le ultime note e la mia mano finalmente si può fermare. Qualche applauso mi fa girare verso il pubblico e cerco di sorridere per quello che riesco a fare. Alba mi raggiunge e mi fa segno di darle la chitarra.

<<Bravissima! Hai avuto problemi a cantare in italiano?>>

<<No, ma sicuramente ho sbagliato qualche parola. Non sono mica brava quanto te.>> le faccio l'occhiolino.

Le passo la chitarra e lei la afferra con delicatezza. Io torno a scrutare tra il pubblico per cercare di individuare quella persona con la rosa, ma non c'è più.

<<Alba ti dispiace suonare un po' da sola? Ho bisogno di riposare le corde vocali. Vado a bere, torno subito.>> le dico distrattamente.

Senza aspettare una sua risposta mi incammino verso la fontana dove andiamo sempre a bere. Non è molto grande, ed è incastonata in un muro di pietre dall'aria antiche. I bambini mi passano vicino e ridono, altri non dicono niente e continuano a camminare.

<<Tu sei la ragazza con la chitarra, giusto?>>

Mi volto e noto una bambina con un vestito rosa ed un cappello dello stesso colore a punta. È la bambina di poco prima.

<<Sì, sono io. E tu sei quella bellissima principessa?>> rispondo.

<<Sì, sono una principessa.>> sussurra timida, guardando il suo vestito.

<<Mi piace molto il tuo vestito, sai?>> mi inginocchio fino ad arrivare alla sua altezza. <<Ne vorrei avere uno identico.>>

<<E a me piace tanto il tuo. Il prossimo anno mi vestirò come te a carnevale.>> mi risponde timidamente.

Nessuno mi aveva mai fatto dei complimenti sui miei vestiti, tranne Derek. Questa bambina addirittura il prossimo anno vuole vestirsi come me.

<<E cosa ti piace di questo brutto e vecchio vestito?>>

<<Mi piace tanto la gonna lunga, e la fascia viola, uguale a quella dell'altra bambina. È tua sorella?>>

<<Sì, è mia sorella, si chiama Alba.>> sorrido. <<E tu come ti chiami?>> chiedo.

<<Io mi chiamo Autumn. E tu?>>

<<Io sono Zoe.>>

Il suo viso si illumina di un bellissimo sorriso e la sua felicità si può quasi toccare. Osserva la macchina rossa sulla mia camicia, fa una strana espressione ma non dice niente. Sua madre la chiama ed è costretta ad andare via, ma prima si avvicina e mi abbraccia.

<<Ci vedremo presto Zoe. Ti voglio bene.>> dice accennando un timido sorriso. I suoi occhi azzurri splendono di gioia e ammirazione.

La sua dichiarazione un po' mi lascia sorpresa, ma infondo cosa aspettarsi da una bambina così piccola e dolce? <<Te ne voglio anche io Autumn.>> decido di rispondere allo stesso modo.

La lascio andare e la vedo correre nel lato opposto al mio, e il suo bel vestitino rosa si perde in mezzo a tanti altri. Tranne che mia sorella, nessuno mi aveva mai detto che mi voleva bene. Che strana sensazione, ho come l'impressione che questa bambina mi abbia appena cambiato l'umore in questa grigia giornata.

Mi volto e continuo a bere dalla fontana, e, con l'aiuto di una mano, mi bagno il viso con l'acqua fresca di sorgente.

<<Che bella scenetta, sembrava quasi che quella bambina ti conoscesse da una vita.>> commenta qualcuno alle mie spalle.

Sono troppo felice per pensarci, quindi rispondo senza voltarmi. <<È davvero una bellissima bambina.>>

Finisco di bere e poi mi giro verso quella voce. A pochi passi da me c'è una persona con una maschera bianca di plastica, un mantello nero e i soliti abiti scuri. Il cappuccio sul capo fa da ombra contro la fronte e non riesco a capire il colore dei suoi capelli. Non immaginavo che visti da così vicino quelle persone potessero davvero mettere paura.

<<Serve qualcosa?>> chiedo facendo un passo indietro e poggiando la schiena contro la parete. Mi sento così vulnerabile, colta alla sprovvista.

<<No, no signorina. Volevo solo darle una cosa.>> la sua voce è ovattata per via della maschera di plastica.

Prende qualcosa da una tasca posteriore sotto al mantello, e, per un attimo, sono certa che mi farà del male. E invece estrae una splendida rosa bianca, ancora più bella di quella di stamattina. Me la porge ed io non so davvero che fare. Non sembra avere cattive intenzioni, anzi sono pronta a scommettere che dietro quella maschera stia addirittura sorridendo. Sono abbastanza vicina per osservare i suoi occhi: sono chiarissimi, di un azzurro che tende al grigio chiaro e la sua voce è profonda.

<<Perché dovrei accettare?>>

<<E perché non dovresti?>> mi risponde subito, come se sapesse già la mia domanda.

<<Non si risponde ad una domanda con un'altra domanda.>> incrocio le braccia al petto.

<<Non ti piacciono le rose?>> dice invece.

<<Al contrario, mi piacciono molto. Ma non ti conosco e non ho bisogno di rose per vivere.>>

Sempre tenendo la rosa nella mia direzione, continua a parlare. <<Facciamo così. Tu prendi la rosa e non fai altre domande, ed io in cambio ti prometto che tornerò per regalartene altre. Accetti?>>

Decido che forse posso ricavare qualcosa di buono da uno squilibrato con un giardino pieno di rose. <<Solo se tornerai con denaro e non solo con dei fiori.>>

<<Mi sembra una giusta condizione, e il denaro di certo non mi manca.>> me la porge ancora una volta. <<Non chiamarlo semplicemente fiore.>> mormora accarezzando con un dito uno dei bellissimi petali. <<Si potrebbe offendere.>>

Cerco di sorvolare sull'argomento fiore o non fiore, e accetto la rosa bianca.

Tutto pur di accumulare qualcosa in più.

Afferro la rosa e lui si avvicina, fino a quasi sfiorarmi. Non ho paura, è solo un ragazzo stupido che crede che una come me possa avere paura di uno come lui. A dividere i nostri visi c'è un soffio di vento. È molto più alto di me, e solo ora mi rendo conto di quanto sono piccola e fragile davanti alla sua figura. Poggia una mano accanto alla mia spalla, in modo da farmi da scudo contro il mondo esterno, e mi sento in trappola. Sono ad un passo dal chiamare aiuto o tirargli un calcio lì dove non batte il sole, ma decido di aspettare. Il ragazzo avvicina un po' di più la sua testa alla mia e mi guarda. Sento il suo sguardo attraversarmi dentro, un po' come una lama affilata quando entra in un pozzo d'acqua. I suoi occhi sono tanto profondi quanto misteriosi. Sono incapace di parlare, non riesco a pronunciare parola in questo momento. Ogni tipo di voce, canzone e risata viene completamente neutralizzato dalla sua alta figura. Mi sento persa ed intrappolata proprio come nei miei frequenti incubi. Anche ora, anche nella realtà adesso mi sento così.

Sta' lontana dalle rose nere!

Dopo interminabili secondi, forse minuti, indietreggia e torno a respirare.

<<Che fai? Hai paura fiorellino?>> afferma incrociando le braccia dietro la schiena. Continuo a vedere solo gli occhi e non so decifrare la sua espressione.

<<Paura? Io? E perché ne dovrei avere?>>

Sono ancora con le spalle al muro, e le mie mani sudate sfiorano la pietra fredda, mentre lui è ancora davanti a me nella stessa posizione, imponente e sicuro di sé. Questa situazione inizia a stancarmi.

<<È questo ciò che mostrano i tuoi occhi. Paura ed un pizzico di eccitazione.>>

<<Tu non mi conosci.>>

Mi libero dalla sua ombra e faccio per andarmene, ma lui mi ferma tenendomi per un braccio. Mi vengono i brividi. Mio padre mi afferra spesso così, prima di picchiarmi. Forse lui se ne accorge, perché mi lascia andare subito. Il suo sguardo si posa sulle mie labbra, precisamente sullo spacco provocato da mio padre. Poi guarda in basso, sulla macchia di sangue secco. La copro con i capelli e guardo altrove. Non voglio che qualcuno mi guardi così a lungo, non da così vicino.

Sembra voglia scusarsi, ma invece mi dà le spalle e se ne va. Mi volto e torno da mia sorella.

Una vocina dentro di me dice che mi sono solo immaginata tutto, che niente di quello che ho appena vissuto è reale. Un'altra vocina invece è eccitata dall'idea che lo rivedrò domani. E un'altra ancora mi dice che sono stata una stupida a parlare con un uomo come quello.

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