1835 mSv

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Quando Robert riaprì gli occhi tossendo sentiva ancora quell'insopportabile fischio nelle orecchie. Era come avere un trapano in testa. Si sedette guardandosi attorno. Sentì il polso alla bambina prima e poi a Rachel. Non aveva idea di quanto tempo fosse passato. Minuti, giorni, ore? Tentò di alzarsi in piedi. Il mondo girava, come se si trovasse su una giostra. Gli sopraggiunse un conato di vomito. Si avvicinò ad un cestino in un angolo e cedette ai conati. Diversi minuti dopo, esausto e senza fiato si lasciò andare a terra e sprofondò di nuovo nell'incoscienza. Quando si risvegliò Rachel era sopra di lui. Lo aiutò a mettersi a sedere. Sentiva lo stomaco rivoltarsi ogni volta che girava lo sguardo. Era veramente a pezzi. Si toccò le orecchie sentiva un dolore continuo provenire da dentro. L'orecchio era completamente ricoperto da sangue rappreso.

-Come stai? - gli chiese Rachel. Robert sentì solo un'onda distorta. Chiese a Rachel di ripetere. Questa volta lesse le labbra. Si chiese per un attimo se potesse parlare. Scosse solo la testa.

-Non ti alzare, credo tu abbia il timpano perforato. Stai seduto e appoggia la testa al muro- ripeté lentamente Rachel. Robert le accarezzò il viso. Guardò la sua spalla: aveva smesso di sanguinare. Rachel si teneva il braccio inerme. Si chiese quanto dolore provasse.

-Jasmine? - chiese lui con sforzo. La nausea era ancora molto forte, ma appoggiato al muro si sentiva meglio.

-Sta dormendo. L'orecchio le fa un po' male, le fischia, come a me. Non credo abbia qualcosa di grave. - aggiunse Rachel. Si sedette di fianco a lui.

-Non avevo previsto questo, mi dispiace- aggiunse Rachel guardandolo. Robert sospirò. Rachel era sempre stata chiara con lui: non si poteva fermare quello che era successo.

-Non ti muovere, vado su a valutare la situazione. - aggiunse Rachel. Robert annuì. Prese la scala lentamente. Anche a lei girava un po' la testa, ma non aveva nausea. Il braccio invece le lanciava delle fitte preoccupanti. Voleva vedere se era finita. Al piano di sopra trovò il direttore del Cern. Aveva un orecchio sanguinante, era seduto ad un tavolo con la testa tra le mani.

-Non dovrebbe andare in giro. - gli disse Rachel avvicinandosi e mettendogli una mano sulla spalla. L'uomo inspirò a fondo.

-Dovevo vedere- gli disse tossendo. Questo Rachel lo capiva molto bene.

-C'è molto caldo- aggiunse Rachel passandosi una mano sulla fronte sudata.

-43 gradi- aggiunse l'uomo indicando un termometro appoggiato al tavolo. Rachel lo guardò stranita. Questa era emersa come eventualità durante i gruppi di studio, ma le faceva comunque specie. Era giorno e c'era un sole battente all'esterno. Prese gli occhiali e si avvicinò ad una finestra.

-Aspetti, tenga questo- aggiunse il direttore. Le passò il contatore Geiger. Rachel annuì. Si era quasi dimenticata delle radiazioni. Sperò che l'avvertimento di Federica fosse bastato e che le persone si ricordassero di non uscire. Un forte vento carico di polvere copriva quasi la visuale. La luce era accecante. I prati verdi attorno al CERN erano ancora madidi d'acqua.

-Ora e giorno? - chiese Rachel prima di aprire la finestra.

- 10:15 del mattino del 24 aprile- rispose l'uomo massaggiandosi le tempie.

Rachel indossò i guanti e mise fuori dalla finestra il rilevatore, quindi accostò la finestra e rimase a guardare la colonnina oscillare. Le particelle entrarono nel rilevatore. Ogni atomo radioattivo che si rompeva, abbattendo elettroni vicini, accumulava abbastanza carica per creare un impulso sul filo conduttore che si propagava fino al rilevatore causando un "clic". Rachel lesse la scala e sospirò a fondo: 1835 mSv. Non era distruttivo, non era una bomba atomica, ma era alto: aveva sperato sarebbe stato più vicino a 1000. Chiuse la finestra dietro di sè. Ripose il contatore sul tavolo e si sedette accanto al direttore. Era appoggiato al tavolo con la testa fra le mani. Almeno la sentiva. Robert invece sembrava aver perso l'udito. Rachel non aveva idea di quanto ci avrebbe messo a recuperare. Sempre se avesse mai recuperato. Le ci sarebbe voluto un parere di Sebastian. Pensò a loro lassù sul monte e sperò che stessero bene. Prese un quaderno a quadri appoggiato sul tavolo e scrisse la data, l'ora e il valore delle radiazioni incolonnati. Quando richiuse alcuni fogli scritti a mano attirarono la sua attenzione. Lesse alcune parole dal foglio perplessa, poi lo infilò in tasca e si ripromise di guardarlo meglio più tardi.

-Quanto? - chiese il direttore senza alzare la testa. Rachel riportò il valore.

-Bene, nessuno esce, tutti al piano interrato- aggiunse l'uomo. Rachel annuì e si offrì di dargli una mano. Lentamente l'uomo si alzò e gradino dopo gradino tornarono verso il basso. Jasmine si era svegliata e aveva raggiunto Robert vicino al muro. Stava giocando col suo portachiavi. Rachel sorrise nel vederli. Certamente a Robert non poteva che fare bene averla vicina. Era l'unico raggio di sole di una situazione molto fosca.

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Helene si sentì strattonare. Il primo respiro fu il più doloroso. -Helene- il sussurrò che uscì dalla bocca di Javier rivelava uno sforzo profondo.

-Helene ti prego, non ce la faccio da solo. - aggiunse. Sentì quelle parole rimbombare in testa come un eco. Il sangue in bocca. A fatica si ricordava dove si trovavano. Non vedeva nulla. Le mancò il respiro. Javier la strattonò di nuovo.

-Cosa.... Cosa vuoi che faccia? - aggiunse lei soltanto deglutendo a fatica.

- Devi aiutarmi a sollevare questi server - chiarì Javier. Helene si puntò sulle braccia: le cedettero all'istante. Fissò le sue stesse mani tutte sporche di polvere e sangue. Le sembrava che non le appartenessero. Le sentiva a mala pena: tutte addormentate.

-Non vedo dove sono- aggiunse lei con terrore.

-Sopra di noi! Aspetta, forse c'era una torcia qui... Non ci arrivo! Prova a prenderla tu, la vedi? - rispose Javier.

-Io non vedo proprio nulla- protestò Helene.

-Tasta in giro! - brontolò Javier. Dopo alcuni minuti di ricerca totalmente casuale le mani di Helene cominciarono a sentire qualcosa. Nella sua testa si ricordò dove aveva messo le tute e dove cercare rispetto ad esse. Certo la torcia poteva essere scivolata via. Nel caso dove sarebbe stata? Perché non c'era mai un fisico quando serviva? Sbuffò e si concentrò sull'oscurità. Con sua somma sorpresa, nonostante il buio distingueva delle ombre. Come se piccole particelle di luce riuscissero in qualche modo ad arrivare a loro. Quando le sue mani si strinsero attorno ad un tubo metallico, il suo cuore esultò. Sorrise e cercò a tentoni il pulsante di accensione. Seguì il raggio di luce fino alla finestra. La torcia illuminò una massa informe di fango al di là della finestra. Si sentì soffocare. Erano in trappola! Non sarebbero mai riusciti ad uscire. Si ritrasse agitata spostando la gamba.

-No, no, Helene, tranquilla, respira, andrà tutto bene, se ti agiti sarà molto peggio. Dobbiamo stare calmi per consumare meno aria. E dobbiamo liberarci dai server. - le ricordò Javier.

-Come fai a non avere paura? - gli chiese Helene stupefatta.

Javier tastò nel buio, le prese la mano libera e la mise sul suo cuore. Quella mossa inaspettatamente calmò Helene. Lei tirò alcuni respiri profondi tentando di calmarsi. Helene incastrò la torcia nel limite inferiore del materasso così rischiarava l'intera stanza, o ciò che ne era rimasta. La scala era sparita, sepolta sotto un cumolo di detriti, i server erano franati su di loro insieme a parte della parete retrostante. L'unica parete indenne sembrava proprio quella della finestra. Avevano messo il materasso nel posto giusto. Non che questo in realtà garantisse loro una salvezza certa.

-Una cosa alla volta, Helene, ok? - le ricordò Javier. Helene si strofinò le mani tra loro, poi col materasso e piano piano riacquistò la sensibilità.

-Anche tu hai le mani addormentate? - chiese Helene.

- Fossero solo quelle, non mi sento nemmeno il sedere! - aggiunse Javier. Helene scoppiò a ridere. Forse erano pazzi entrambi a ridere in una situazione del genere.

-La gabbia di Faraday non ha funzionato allora- aggiunse Helene pensando ad alta voce.

-La gabbia ci è crollata in testa! Anche tu senti tutto strano? - chiese Javier sospirando. Helene annuì, poi ricordò i tuoni. Un brivido le corse lungo la schiena.

-Strofina sul materasso le mani- suggerì poi Javier. Lui obbedì. Poi si guardò le mani stupito.

- Vedi ecco perché tu sei laureata ed io no! - fece convinto. Helene sorrise.

- Non è questo che insegnano all'università. Non dirmi che non ti è mai capitato di svegliarti un mattino con un braccio addormentato? - chiese Helene stupita.

-In realtà non che mi ricordi- confessò lui.

-A me capitava fin da piccola, è stata mia nonna ad insegnarmi questo trucco e aveva la terza elementare- sospirò Helene. Il ricordo della nonna la tranquillizzò.

-Ringrazia tua nonna da parte mia- aggiunse Javier cercando di sollevare uno dei server.

-Credo presto la potremo ringraziare entrambi... È morta tre anni fa - ricordò Helene. In un certo senso era contenta che sua nonna non avesse dovuto sopportare una situazione del genere. Il non sapere che fine aveva fatto in tutto quello che era successo la sua famiglia, i suoi genitori era come un tarlo, che la torturava.

-Mi dispiace- aggiunse Javier. Quelle parole risultarono strane ad entrambi. Non dissero altro, ma chissà quanti morti c'erano stati nel mondo. E loro non erano affatto certi di non rientrare nella schiera molto presto. Javier si impose di non pensarci, si concentrò su un case alla sua destra. Lentamente riuscì a sollevarlo e poi lo spinse altrove. Helene fece altrettanto, ma erano davvero molto pesanti per lei.

-Aspetta, proviamo insieme. - si offrì Javier. Helene annuì, prese fiato e poi spinse con tutta la forza che aveva. Molto lentamente la catasta si mosse lasciando loro un po' più di respiro. Javier riuscì a scivolare di lato e cambiare posizione, quindi si aiutò con le gambe per spingere altri server al di fuori del materasso. Dopo quasi venti minuti di lavoro riuscì a liberare Helene. La aiutò a sedersi. Helene si toccò il fianco, sentiva come un ago infilato nella costola che le tagliava il fiato.

-Tutto bene? - chiese Javier preoccupato. Helene trattenne le lacrime e recuperò la torcia.

-Dove sono gli altri? - chiese quindi.

-Stavano scendendo le scale- ricordò Javier. Helene inquadrò in quella direzione con la torcia. Meno male che stare in quel rifugio doveva essere sicuro. Poi un pensiero la attraversò: chissà cos'era successo a valle?

-Stai qui- aggiunse Javier alzandosi. Helen annuì soltanto. Non sapeva proprio dove andare in realtà. Quindi si mise soltanto a sistemare le provviste facendo mente locale su cosa non era finito sotto quelle macerie. Javier dovette spostare diversi server per raggiungere la parete di rocce, quindi si fermò davanti a quel cumolo perplesso. Non sapeva davvero che fare. Una parte di lui temeva che quella valanga di rocce appena avesse toccato un singolo sasso gli franasse addosso. C'era davvero una possibilità di uscire dalle scale? Gli sembrava molto remota, ma non sapeva come altro fare. La finestra era chiaramente bloccata. Si mise ad impilare i server in maniera da avere lo spazio più amplio possibile e poi studiò la parete immobile. Era come se ci fosse un suono ripetitivo al di là, ma non si figurava quale fosse o cosa potesse produrlo. Poi il rumore cessò. Forse era solo nella sua testa? Si guardò attorno. Vide la cassa degli attrezzi in un angolo, quella da cui aveva preso il piede di porco per liberare Helene dalla grata. La aprì ed iniziò a studiare il contenuto. Prese una pesante chiave di metallo e poi iniziò a battere su uno dei server poco distanti.

Helene si coprì le orecchie stupita e gli gridò: - che fai? -. Lui le fece cenno di aspettare e ricominciò a battere. Quindi si fermò e attese in silenzio.



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