In hotel

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Helene aveva gli occhi spalancati e studiava nel buio il soffitto della sua stanza. Non riusciva a togliersi di dosso quello che era successo poco prima che lasciassero il campus. Erano davanti agli uffici con Rachel, un po' più possibilista dopo il pomeriggio di analisi e le assicurazioni di Federica. Michele si stava allontanando in bicicletta ed Helene stava pensando "quanto sa essere noioso quell'uomo?". Non si lasciava mai sfuggire un solo sorriso, era sempre così concentrato nella sua parte da "studioso" superiore ai vezzi dei suoi compagni di studi. Aveva appena archiviato nella sua testa l'argomento quando aveva visto un uomo attraversare il corridoio coperto che collegava il loro edificio a quello di fianco e poi puntare dritto verso di loro. Ciò che colpì Helene di quell'uomo furono il passo deciso, quasi arrogante, la camicia aperta, il petto abbronzato. Era strano vedere uno scienziato così abbronzato ad aprile ed in svizzera per giunta. Vestiva in modo molto informale, quasi etnico. Portava dei mocassini che sarebbero andati bene in una località balneare in primavera, non tra le alpi. Federica si era interrotta e aveva seguito il suo sguardo. Poi la sua mascella si era serrata, rigida come fosse fatta di pietra. Era come se la scena andasse al rallentatore nella sua testa. Sebastian aveva svoltato nel piazzale col pulmino. Federica l'aveva guardata dritta negli occhi e le aveva detto: –Carica la mia valigia, per favore, Helene, io torno subito-. Helene aveva annuito concentrandosi per un attimo sul pulmino, ma anche mentre saliva non aveva potuto trattenersi da guardare Federica che entrava nel corridoio vetrato e si fermava immobile davanti a quell'uomo.

Rachel era salita dietro di lei e quasi intercettando il suo sguardo aveva sospirato. – Brutta storia-

-Chi è? - aveva chiesto Helene curiosa.

– Jerome Montreux, studioso della dinamica delle particelle subatomiche, grande testa, spaventoso ego e per finire l'equazione... mi fa ancora senso pensare al tempo in cui Federica voleva che la chiamassimo Signora Montreux- ricordò sussurrando all'orecchio di Helene.

-Cosa? Quello è l'ex marito di Federica? - fece stupita Helene.

-Già, però non mi risulta che abbiano divorziato ancora- alzò le spalle Rachel. Helene deglutì.

–Credo che non sarà questione di molto, ormai, Federica aspettava i documenti dall'avvocato- aggiunse sottovoce. Rachel la guardò stupita. –Ecco perché ha il coraggio di presentarsi qui- sospirò Rachel.

Federica si sentiva un peso sul petto, era più di un anno che non vedeva il marito. Un anno sono molti giorni e lui di giorni ne aveva mancati davvero troppi. Si sforzò di rimanere impassibile, di non farsi prendere dall'emozione e dalla rabbia. Respirò profondamente. Odiava come stava invecchiando, odiava quelle rughe soddisfatte che gli dipingevano il sorriso e che gli donavano quell'allure di uomo vissuto. Odiava che gli sbattesse in faccia i suoi viaggi ai tropici. Odiava pensare quanti anni aveva quella sgualdrina che vi aveva portato, mentre quando loro stavano insieme, non si era mai fermato mai più di una settimana in montagna coi bambini. "È sempre tempo per la scienza". Che se ne andasse al diavolo! Federica gli faceva i suoi più cari auguri. Federica alzò un cenno della mano e Jerome si fermò ad un passo da lei.

-Ciao Federica, ti trovo davvero bene. Ti ho cercato spesso questa settimana, perché non hai risposto, tesoro? - aggiunse l'uomo. Federica sussultò, si morse il labbro e rispose: - Ero molto occupata-

-E in mensa prima? - aggiunse con un sorriso beffardo.

–Jerome cosa vuoi? Devo andare, sono già in ritardo- tagliò Federica.

-Cosa voglio? - Jerome la guardò stupito. –Mi ha chiamato il tuo avvocato la settimana scorsa, vuole che firmo le carte del divorzio e tu mi chiedi cosa voglio? - fece stupito.

-Esatto, cosa ti stupisce in tutto questo, è solo un atto formale, sappiamo entrambi che ormai non siamo più sposati da molto tempo- lo rimproverò Federica.

-Si, ma un divorzio? Dovevi dirmelo almeno di persona, mi sembrava il minimo- Jerome si avvicinò. Improvvisamente aveva perso la sua calma serafica e tutta la sua allure da figlio dei fiori. Improvvisamente Federica pensò che mostrava tutta la sua età e la sua debolezza. Ne fu soddisfatta.

–Cosa volevi che facessi? Che organizzassi una cenetta romantica? Che chiamassi l'orchestra, ti guardassi dritto in quei tuoi begli occhioni verdi e facendo gli occhi tristi ti chiedessi: "Tesoro, amore mio, vuoi che divorziamo?" – sbottò Federica.

–Una cena non si rifiuta mai! - tentò di scherzare lui e cercò di accarezzarle la spalla, ma Federica si ritrasse. Quel gesto con sua stessa meraviglia lo ferì molto più di mille parole.

-Non abbiamo più nulla da dirci, quindi non avrai altro da me, firma quei documenti e sparisci. Vai pure alle Seychelles con chi ti pare, non è più affare mio- aggiunse piccata Federica.

-Andiamo Federica, non puoi far finta che non ci siamo amati per vent'anni, non puoi liquidare la nostra storia come una scartoffia qualsiasi, io non sono l'autorizzazione ad una conferenza di un tuo sottoposto! – aggiunse irritato Jerome.

-Vent'anni? Ti sei sopravvalutato: non sono stata io a "liquidare" la nostra storia. Da tempo per te non ero che un fantasma, quindi non fingerti contrito ora, non sei un bravo attore e comunque non sei credibile- rispose Federica puntandogli il dito contro.

-Ognuno ha fatto i suoi errori, ma prima di fare qualcosa di così irreversibile non potremmo parlarne un attimo? - aggiunse Jerome improvvisamente in ansia.

-Ci dovevi pensare prima di scoparti una che ha sì e no l'età di nostra figlia! - urlò Federica senza più trattenersi.

-È stato un errore, Federica, te l'ho già detto, un milione di volte! - la supplicò Jerome.

-E vediamo il tuo errore dove si trova adesso, alla spa o dall'estetista? - lo accusò Federica.

-È andata a Monaco a trovare sua madre, poi lo sai che non riesco a dormire da solo- tentò imbarazzato Jerome. Federica scoppiò a ridere, gli puntò il dito contro, contrasse le labbra.

– Ti auguro tanto di morire da solo! - gli urlò contro, gli stampò uno schiaffo sulla faccia e si girò sui suoi tacchi. Jerome era rimasto senza parole, immobile.

–Firma quella carte e non farti domande, per il bene di tutti- aggiunse Federica prima di sparire oltre l'angolo verso il pulmino.

-Federica, aspetta! - la chiamò Jerome. Ma Federica non si voltò e camminò dritta davanti a sé senza voltarsi indietro.

Helene non riusciva a togliersi dalla mente quello schiaffo in pieno viso e gli occhi devastati di quell'uomo. Federica era una donna forte. Non aveva bisogno di un uomo così. C'era stato uno strano silenzio imbarazzato in macchina.

Helene si ridestò, guardò l'orario e si alzò dal letto. Avevano deciso di cenare in hotel perché il mattino dopo Sebastian sarebbe passato di buon'ora per portarle alla stazione radio. Helene non sapeva cosa dire, così quando scese per la cena semplicemente si avvicinò a Federica e le sorrise imbarazzata. Era sempre così quando non sapeva come comportarsi: sorrideva. Aveva tentennato molto sul fatto di scrivere a William dell'accaduto, ma le sembrava un po' pericoloso: il giorno dopo probabilmente avrebbe dovuto mostrare dati e configurazioni da confrontare sul suo portatile, doveva far sparire ogni mail sospetta. Federica era ferma al bar con un bicchiere di Whisky in mano. Non l'aveva mai vista bere.

–Helene, oh sei qui, possiamo cenare allora- aggiunse Federica indifferente. Si sedettero al tavolo.

–La tua camera è adeguata? - chiese Federica. Helene si chiese chi mai poteva definire una camera "adeguata", ma si affrettò ad annuire. Federica girava tra le dita il bicchiere facendo cozzare tra di loro i cubetti di ghiaccio.

–Mi dispiace per la scena di oggi, è un pessimo esempio da parte mia nei tuoi confronti- disse Federica senza guardarla negli occhi.

-Non c'è problema, non fa niente. - rispose imbarazzata Helene.

-Sembri più piccola con questo taglio di capelli – sospirò Federica mentre studiava il menù. Helene non sapeva se interpretarlo con un complimento o meno. –Però non ti sta affatto male- aggiunse facendo segno al cameriere che venisse per prendere l'ordinazione. Helene rimase colpita: era l'alcool a farla parlare così? Il cameriere si allontanò con una deferenza.

–Pronta per domani? - disse poi Federica strofinandosi le mani.

-Sì, credo- fece incerta Helene.

– Bene, sono ottimista, sai, ma forse è solo perché è il terzo – rise Federica indicando il bicchiere. Helene strabuzzò gli occhi. Federica in realtà le sembrava solo un po' sopra le righe, non propriamente ubriaca.

–Il whisky è migliore rispetto all'altro albergo- sentenziò poi Federica all'improvviso.

-Non ho visto molti universitari- soggiunse Helene cercando di portare il discorso su un terreno più agevole.

-Sembra che molti siano ancora a casa per le vacanze pasquali- alzò le spalle Federica mentre il cameriere porgeva lei il piatto che aveva ordinato. Helene studiò le sue cosce di pollo arrosto sentendosi affamata all'improvviso. Erano squisite.

-Anche il cibo non è male, forse ero prevenuta su questo albergo- sorrise Federica. Helene la guardò trattenendo lo stupore. Chi era davvero quella donna che aveva davanti? Non aveva mia sentito Federica ammettere di essere stata troppo severa in una valutazione. Che stava succedendo? Poteva l'alcool farle talmente tanto effetto? – San Trip Advisor- ironizzò Helene.

Un'ora e mezza dopo, nella sua stanza Helene si sedette sul letto e si chiese cosa stava succedendo al di là della parete. Non riusciva a provare ad immaginare quello che passava nella mente di Federica. Quella situazione era troppo lontana da lei. Si sdraiò e guardò il soffitto e sentì come di aver passato il limite, di aver visto ciò che non avrebbe mai dovuto vedere. C'era sempre stata una barriera tra il lavoro e la vita. Ma ora tutto si mischiava e lei sentiva di non poter restare indifferente. Eppure cosa poteva fare per aiutare Federica? Era il suo capo. Era giusto che ognuno poi si ritirasse in quelle stanze fingendo che nulla fosse cambiato, fingendo che tutto fosse come era sempre stato? Sospirò e prese il telecomando della televisione desiderando di trovare un film o qualsiasi cosa che la facesse scappare lontano da lì, con la mente.

In fondo pensò, Federica era una donna forte, avrebbe preso la questione per le corna, come faceva sempre e il giorno dopo si sarebbe presentata davanti a lei come una roccia: insondabile, inattaccabile. Non aveva mai pensato al suo capo come una donna, come un essere fragile o distrutto o disperato o infelice. Non aveva mai pensato che dietro alla maschera che lei si poneva davanti agli occhi, al personaggio che William disegnava ogni giorno come un fumetto, dietro al trucco e alla permanente perfetta, Federica nascondesse un'altra persona, una persona che era stata, che aveva smesso forse di essere, ma che a volte, a frammenti riusciva anche solo a trasparire. Quanto avrebbe pagato Helene per poter vedere oltre quella parete e capire chi era davvero il suo capo! Eppure piantò gli occhi sulla televisione tirandosi su le maniche del pigiama coi cuccioli e sistemando il cuscino dietro la testa.

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Quanto a Federica lei era invece molto contenta di essere entro quattro mura, al sicuro da sguardi indiscreti e lasciava che l'acqua le scorresse addosso per lavare via quell'orrenda giornata. Riviveva quell'attimo nel corridoio. Così era finito il suo matrimonio? Non era così che si era immaginata la sua storia. Jerome aveva passato il segno e anche lei stessa. Non avevano scuse. Nessuno dei due. Si facevano solo del male a vicenda. Era così tanto tempo che non sentiva più quella scossa, quella spinta, quel brivido che sapeva che la vita poteva dare.

Aveva passato tutta la cena a studiare quella ragazzina che aveva davanti, quel suo sorriso e si era chiesta se era mai stata così, se c'era stato un tempo in cui la sua innocenza era ancora completa. Un attimo in cui la sua storia era ancora solo un insieme di possibilità. Adesso ne aveva talmente poche di possibilità. Jerome, comunque per ora non era solo, lei invece sì. A cosa era valso tutto quello? Non credeva quello che aveva detto a Jerome. Non augurava a nessuno di morire solo: era solo quello che lei temeva di più per sé stessa. Arriva sempre un momento della vita in cui l'orizzonte non è più il domani, in cui gli obiettivi diventano traguardi, ad uno ad uno e poi? Poi rimane solo l'ultimo traguardo, quello che nessuno può rimandare più di tanto.

I suoi figli erano lontani e felici nelle loro frenetiche vite. E lei? Era felice lei? Le era rimasto solo il suo lavoro, tutto il resto Jerome l'aveva portato via, distrutto, spezzato. Non era giusto forse, ma che senso aveva lamentarsi. Voleva quel foglio firmato e non per rifarsi una vita, non lo credeva possibile, il suo tagliando era già scaduto da tempo. Il suo biglietto per l'amore l'aveva staccato una volta e probabilmente l'aveva fatto con la persona sbagliata, forse per fretta, forse per timore. Ora era finita. Era come chiudere quella pratica dolorosa, come estirpare un tumore, erano anni che lo sentiva crescere, che le faceva del male, era ora di toglierlo e guardare avanti a quello che rimaneva. Poco forse.

Sentiva la televisione dalla camera di Helene. Si mise sul letto e controllò le mail svogliatamente. Tanto sapeva benissimo che suo marito o ex marito non aveva ancora firmato i documenti. Sarebbe tornato all'attacco almeno un'altra volta prima che lei se ne andasse. Eppure era certa del fatto che non era perché ancora provava qualcosa per lei. Era solo che detestava perdere. Non centravano i soldi e nemmeno i figli ormai grandi ed autonomi. Equivaleva ad accettare di aver fallito, equivaleva a fermarsi davanti alle sue lavagne di equazioni guardando incredulo quel risultato finale, senza capacitarsi di essere arrivato lì sapendo benissimo che nella sua catena logica, nella sua equazione c'era stato almeno un errore in un momento qualsiasi, solo che ormai non sapeva più dove guardare. Aveva sbagliato.

Entrambi avevano sbagliato. Non una, non due, molte volte, molti giorni. E qualsiasi bionda ragazza tedesca o francese lui trovasse, ormai l'equazione non poteva più tornare, anche lui aveva già giocato il suo biglietto. Rilesse un paio di documenti e li spedì a Bruxelles. Nella sua vestaglia rosa cipria si sentiva ridicola quella sera. Si sentiva vecchia, nella sua faccia stanca, struccata, con l'alone della matita sotto gli occhi non si riconosceva più. Avrebbe voluto bere ancora, ma aveva già un mal di testa martellante e il giorno dopo non poteva presentarsi in quello stato. Si sforzò di chiudere la luce, ripose il portatile nella borsa e si distese chiudendo gli occhi.

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