Testa o croce

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- La gabbia è pronta- disse Sebastian entrando soddisfatto nella sala centrale della stazione radio. Helene e Javier alzarono gli occhi verso di lui, invece Michele era concentrato ad evidenziare le ultime stime per le città europee mancanti.

-È proprio necessario chiamarla gabbia? Dà l'idea di un posto da dove non si possa uscire- fece Helene sbuffando.

-Il suo nome è quello- alzò le spalle Sebastian.

-È il posto più sicuro su questa base e anche sulla terra probabilmente. - disse Michele.

-Allora perché tu sei escluso dal tiro a sorte? - fece Javier polemico.

-Perché devo guardare l'onda in diretta e trascrivere i dati per Rachel - sospirò Michele.

-Potresti farlo dentro la gabbia! - scherzò Helene.

-La strumentazione è qui e non può essere spostata- fece Michele alzando gli occhi al cielo.

-In realtà è tutta una presa in giro. Di là o di qua è uguale. L'intera base è studiata per deviare a terra i fulmini. Sappiamo già che funziona altrimenti qui dentro sarebbe tutto fritto. - le ricordò Sebastian.

- Quindi dobbiamo fare testa o croce, io e Javier? Non mi sembra molto giusto. - sbuffò Helene.

-Se vuoi vado io, tu sei più utile qualora dovessero avere problemi con le analisi- si offrì Javier.

-E che problemi dovremmo avere? Sphere ha sempre funzionato. Tu o lei è uguale. - alzò le spalle Michele.

- Qualcuno dei due che lanci le analisi ce lo abbiamo- aggiunse Sebastian ridendo.

-Facciamo testa o croce? - propose allora Javier. Helene lo guardò un attimo stupita. Poi fece un respiro profondo ed accettò.

- Ho un paio di monetine per il caffè sempre in tasca - arrossì Javier estraendole. Helene rise. Se non altro aveva stemperato un po' la tensione.

-Io testa- disse decisa Helene.

-D'accordo- fece Javier preparandosi a lanciare la moneta. Anche Sebastian e Michele si avvicinarono curiosi. Javier prese sicuro la moneta e poi mostrò il risultato. - Testa, mi dispiace- annunciò. Helene prese la monetina e la gettò a terra e poi prese verso l'uscita senza dire una parola.

-Che esagerazione! - fece Michele stupito.

-Taci, Michele, tu non saresti entrato là dentro nemmeno con una pistola alla tempia- gli ricordò Sebastian. Michele rise annuendo. Javier raccolse la moneta da terra e seguì Helene.

La trovò all'ingresso seduta sul selciato con le gambe rannicchiate e lo sguardo perso nella pioggia battente. Si sedette fianco a lei. -Posso sempre andare io- aggiunse dopo un minuto di silenzio assoluto.

-Perché? Perché sono una ragazza? Perché sono una debole? Perché ho paura? - Helene scattò come se l'avesse punta sul vivo.

-Hai ragione, io non sono nessuno, non ti conosco, non so nulla di te o della tua storia, per cui ... era solo un "testa o croce". Per molte persone che ho visto è già stato un "testa o croce". Una sopravvive e una no... Ti capisco, non è molto giusto. Non si sa mai chi vince. Forse sopravvivi tu nella gabbia, forse noi fuori, forse nessuno...- aggiunse l'ultima parola come un soffio che si perse nel vento.

Helene tirò su col naso, ma non aveva ancora la forza di replicare. Nella sua testa la tempesta era già iniziata. Avrebbe voluto essere adulta e professionale e invece era spaventata a morte e sapeva già che avrebbe deluso Federica nell'esperimento più importante. Lei non era abituata a stare al centro dell'attenzione. L'idea di avere tutte quelle telecamere puntate addosso, l'idea che se fosse andato bene, il filmato avrebbe fatto il giro del mondo la terrorizzava. Lei sarebbe stata per sempre "la ragazza della gabbia". La scimmia dell'esperimento che aveva mostrato al mondo come salvarsi. Aveva piena fiducia in Federica, non era quello il suo timore maggiore.

-Non avevo mai visto un morto prima di ... tutto questo- le parole di Javier la riportarono alla realtà. Helene lo guardò stupita. - Era la mia prima pattuglia... pensa- confessò Javier. Non sapeva se mettersi a ridere o a piangere. Helene invece scoppiò a ridere.

-Scusa, io non volevo ... ecco mancarti di rispetto è che ... cavolo ... forse tu mi batti in sfiga! - confessò Helene. - Insomma, quante probabilità c'erano? - si chiese Helene ad alta voce. Javier sorrise.

- La matematica sei tu- allargò le braccia Javier.

-Sai cosa mi piace della matematica? Che non rischi di morire... La fisica ... è infida. Finisce che ti ritrovi dentro ad un esperimento in scala mondiale. - aggiunse Helene. Javier annuì.

-Sei sconvolto? - chiese poi Helene. -Per il tuo primo morto, intendo...- si spiegò meglio.

-Chi non lo sarebbe? È una parte del lavoro che non ti posso insegnare in accademia- sospirò Javier. - Sì, ci fanno vedere le autopsie, ma è diverso ... e comunque io ho vomitato tre autopsie su quattro- confessò Javier. - Sai qual è la cosa più triste secondo me. È quando invece non ti fanno più senso. Quando diventa normale...- aggiunse. Helene annuì.

-Non c'è niente di normale in questa situazione- sospirò Helene.

-Terra chiama stazione radio, terra chiama stazione radio! - si sentì Sebastian urlare da dentro. Helene fece un profondo respiro. -È Federica andiamo- aggiunse alzandosi.

-Sei sicura di volerlo fare? - la fermò Javier.

-Sono abbastanza sicura che se non lo faccio, me ne pentirò per sempre. - disse Helene rientrando nella struttura. Lui rimase un attimo lì fuori per assimilare il tutto. Un fulmine lo soprese trafiggendo a metà la vallata e scaricandosi nella foresta. Ormai non mancava molto. Il tempo era scaduto.

Quando entrò nella sala centrale gli altri erano attorno al tavolo. Il telefono appoggiato sopra. Il vivavoce attivato. Stava parlando una voce di donna che Javier non aveva mai sentito prima.

- Quindi va Helene? - chiese la voce. Helene confermò. Era piuttosto pallida in volto, notò Javier.

- Stai a favore di telecamera, ma al riparo dietro uno dei macchinari. Qualsiasi cosa succeda non uscire dalla gabbia finchè non vengono a confermarti che le scariche a terra sono finite: è l'unica cosa che può esserti fatale. La scarica sul bordo sarà fortissima. Mi raccomando, per qualsiasi cosa, dentro è il posto migliore al mondo. Ricordatelo! - diceva decisa Federica dall'altra parte della cornetta. Era sdraiata sul suo letto d'ospedale. In realtà stava tramando dal dolore e dalla febbre. Aveva resistito a farsi imbottire di farmaci fino a quella chiamata per essere il più lucida possibile nel controllare i calcoli: non voleva sbagliare nulla, soprattutto visto che non aveva una seconda possibilità per quell'esperimento.

-Ok, avete preferenze sulla pianta da portare? - disse Helene per stemperare la tensione.

-Portane una leggera... e tieni ben stretto il vaso- aggiunse Federica ridendo.

- Ci aggiorniamo quando sarà passata la tempesta. In ospedale ci porteranno tra poco tutti nello scantinato. Noi non saremo temo esuli dalla scarica completamente. Quindi se nessuno vi risponde per alcune ore non vi preoccupate. Tenete carico il satellitare, chiameremo noi appena svegli- disse Federica infine.

- Ci vediamo dall'altra parte, ragazzi. Sono molto fiera di tutti voi- disse Rachel prima di chiudere.

Federica si stese tremante sul letto e chiese a Rachel se ora potesse chiamare il medico per farsi dare questo benedetto cocktail salva vita che aveva rifiutato per tre volte. Rachel scattò come un corridore sui blocchi. Federica si concentrò sulla finestra per non pensare al dolore. Guardava quel cielo diventare sempre più scuro. In cuor suo sperava davvero che i calcoli sulle tempistiche di arrivo dell'onda fossero corretti. Sphere poteva indicare loro il quando, ma non poteva salvarli. La gabbia era la loro unica possibilità per l'onda successiva.

Jerome le aveva detto che avrebbe funzionato. Non sapeva nemmeno se potersi fidare di lui ancora come fisico. Sapeva dalla figlia che il medico aveva richiesto una serie di esami che lui si rifiutava da mesi di fare. Incredibilmente il sospetto che Jerome non stesse bene le aveva dato la spinta finale per il divorzio. Voleva chiarire con lui finché era in sé. Voleva chiudere questa loro parentesi in maniera pacifica e civile per tutti loro, per tutta la loro famiglia, prima che fosse troppo tardi. Quello che le aveva raccontato sul bosone di Higgs la preoccupava ancora di più. Jerome non sbagliava un calcolo nemmeno su quindici lavagne consecutive di differenziali. Non era da lui. Quella carta del divorzio in realtà cambiava poco. Non intendeva affatto disinteressarsi di lui. Per prendersi cura di lui senza litigare e con la dovuta decisione avrebbe dovuto smettere di essere la signora Montreux e rimanere solo Federica. L'amica che discuteva con lui sotto le stelle, quella a cui raccontava tutte le sue storie finite male. Quella che ora poteva scegliere la migliore persona per prendersi cura di lui quando lei era fuori per lavoro o all'estero e chiamarlo per controllare che prendesse le medicine invece che per urlarsi addosso.

-Eccomi. Sono felice che ora possiamo aiutarla. - Senza ulteriore indugio il medico le iniettò gli antidolorifici, l'antibiotico e l'antipiretico. Poi rimase lì a visitarla. Federica cominciava già a sentirsi decisamente meglio quando il medico si sedette al suo fianco.

- Signora Montreux devo dirle una cosa ...- aggiunse il medico. Federica lo guardò preoccupata.

- Si tratta di suo marito. Non so quanto le abbia detto, ma credo che abbia una grave disfunzione cardiaca. Non sono sicuro nemmeno se sia operabile, certamente non in un ospedale come questo e non con la metà della strumentazione fuori uso. - il medico respirò a fondo e la guardò dritta negli occhi.

-Cosa sta cercando di dirmi? - chiese Federica.

-Suo marito potrebbe non sopravvivere se riceve un'altra scarica elettrica. La sua collega mi ha detto che il seminterrato potrebbe non garantire un isolamento sufficente- aggiunse il medico. -In qualità di medico io vorrei davvero poter avere una soluzione alternativa, ma non ce l'ho- ammise. -Terremo le piastre vicino a lui, ma se i medici e gli infermieri dovessero ecco... svenire per la scarica... non so quanto tempo passerà prima che noi possiamo.... tentare la rianimazione. Mi dispiace molto darle questa notizia ora, Signora Montreux. - aggiunse il medico.

Federica respinse le lacrime in gola. Non era così che se l'era immaginato. Non era così che era disposta a salutarlo. - Jerome lo sa? - chiese lei soltanto.

-Non posso dire ad un malato di cuore che tra 57 minuti morirà- sospirò il dottore.

-E allora perché lo viene a dire a me ora? Se l'avessi saputo prima, avrei potuto pensare ad una soluzione- tuonò Federica arrabbiata

-Non c'è nessuna soluzione, signora, mi dispiace tanto- disse il medico.

-Al diavolo, del suo dispiacere non me ne faccio nulla. Potevo trovare un'altra cazzo di gabbia di Faraday con 30 ore, lo potevo fare! - gli urlò contro Federica.

-Signora non credo che la sua "gabbia" possa salvarlo- aggiunse il medico.

-E lo dice dall'alto di quale laurea? Quale dottorato in fisica, sentiamo! Quali pubblicazioni può portare a mio sfavore...- rispose Federica piccata.

-Come medico e come primario di questo ospedale le posso assicurare che anche una scossa molto inferiore farebbe su di lui danni irreparabili- aggiunse deciso il medico.

- Facciamo una scommessa, le va? - fece Federica guardandolo dritto negli occhi. -Mi lasci portare via mio marito da qui per un paio di ore. E poi torneremo e potrà vedere coi suoi occhi cosa farà quella "gabbia" - propose Federica.

-Non posso permetterglielo. - tuonò il medico.

-Ottimo, allora ci fermi- disse Federica alzandosi in piedi. La testa le girò vistosamente per un attimo, ma poi riuscì a mettersi dritta. Afferrò la stampella che le avevano messo a disposizione per muoversi.

Quando la mente le tornò lucida vide la sua gabbia di Faraday e iniziò a ridere. Spostò il medico di peso e si sporse dalla porta.

-Rachel, abbiamo un altro esperimento da fare, ci serve anche Robert e la macchina- disse poi decisa. Rachel che aveva udito parte della conversazione da dietro alla porta saltò quasi sul posto.

-Federica, ma sei sicura? - le chiese rincorrendola per il corridoio.

-Non me ne starò qui a veder morire mio marito per l'incompetenza di un medico- tuonò Federica verso di lei. Rachel scattò sull'attenti e partì alla ricerca di Robert. Il medico nel frattempo seguì Federica fino alla stanza di Jerome.

-Jerome, dov'è la tua sedia a rotelle? Ce ne andiamo a fare un giro- disse Federica decisa.

-Ottimo, adoro le passeggiate sotto la pioggia. - sorrise l'uomo contento.

- Signor Montreux, la prego, cerchi di far ragionare sua moglie, per entrambi è più sicuro rimanere qui. - disse il medico per convincerlo.

- Io voglio un divorzio, non un funerale- grugnì Federica puntando il dito a pochi centimetri dalla faccia del medico.

Il viso di Jerome si allargò in un amplio sorriso. - Quando parla con questa passione, la seguirei fino all'inferno, mi deve perdonare...- fece Jerome.

-Aspetti, Signora, forse possiamo trovare una soluzione intermedia- disse il medico ponendosi davanti alla sedia a rotelle di Jerome per ostruire loro il passaggio.

- Ci vediamo tra due ore, guarderemo quanti pazienti ha perso lei qui e quanti io nella "gabbia". Buona tempesta anche a lei! - aggiunse Federica forzandolo a spostarsi e liberando il passaggio per il corridoio.

- È mia moglie! - sussurrò felice Jerome e spinse la sedia seguendola fino all'ascensore.










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