Nella Gabbia

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Helene prese in mano quella minuscola piantina di basilico ed entrò nella gabbia da una botola lasciata aperta sulla base in legno. Poi, come da istruzioni, la chiuse con un lucchetto e passò le chiavi a Javier. Vederlo al di là dalla grata le fece impressione. Era come se una parte di lei avesse paura che quella decisione avesse diviso per sempre il loro destino e non sapeva perché, ma questo la spaventava molto. Guardò il cielo scuro sopra di lei. La pioggia ticchettava sempre più forte sui vetri. Si mise al centro della gabbia tra due grossi macchinari ed individuò un punto coperto dove lasciare la piantina. Quindi si sedette a fianco di quella piantina e inspirò profondamente per calmarsi. Javier le fece il segno del pollice alzato e poi rientrò zuppo di pioggia nella stazione radio. Andò dritto in sala video e richiamò le telecamere che puntavano su Helene. Aggiustò l'angolazione come Helene gli aveva mostrato. Prese una delle telecamere e allargò lo zoom al massimo per vedere il volto teso di Helene, quindi sospirò preoccupato. Mancava poco meno di 30 minuti all'arrivo del temporale. Sebastian comparve all'improvviso dietro di lui, gli mise una mano sulla spalla e poi disse: - Ce la farà-. Javier annuì e poi lo seguì nella sala centrale.

- Appena finita questa tempesta dovremo lanciare le analisi per l'altra- gli ricordò Michele.

- Vado giù a vedere in sala server se è tutto pronto- annuì Javier. Il lavoro di Helene gli sembrava veramente interessante, anche se non la invidiava del tutto: era anche molto complicato a prima vista. Una parte di lui si sentiva di averne usurpato il posto. Era solo per qualche ora e poi Helene sarebbe tornata tra i suoi server. Gli piaceva vederla girovagare tra quei computer, sembrava essere nel suo ambiente naturale, si muoveva sicura, pigiando sulla tastiera con quelle sue manine delicate ad una velocità che lui non avrebbe raggiunto nemmeno in un milione di anni.

Helene si torceva le dita e guardava le nubi montare sopra la sua testa. Divennero man mano più scure. Viola quasi. La pioggia si tramutò in grandine e lei iniziò a tremare. I vetri sopra di lei cominciarono a scheggiarsi. Sentiva il respiro morire in gola ad ogni colpo. Non aveva idea di quanto tempo fosse passato e di quanto mancasse. Tenere quella piantina vicina a lei la faceva sentire stupida. Quando vide volare un albero sopra la sua testa cominciò a temere che Federica si fosse sbagliata, che quello non fosse affatto il posto più sicuro al mondo dove stare. Deglutì a fatica. Respirò a fondo cercando di calmarsi. Un respiro, un altro. Poi un botto le fece drizzare i peli di paura. Una cascata di vetri le piovve addosso. Urlò. Il vento comincio ad infuriare anche all'interno della gabbia. L'acqua cadeva abbondantemente attorno a lei. Si alzò lasciando la piantina nel rifugio. Individuò diversi rami appoggiati sulla struttura che per ora però sembrava aver retto. Helene senti il pavimento mancarle sotto i piedi. Scivolò a terra e diede un colpo forte con la testa. Sentiva il sangue in gola. Era confusa. Cos'era successo? Alzò gli occhi e capì di essere scivolata in fondo alla gabbia. La piattaforma in legno si era piegata di una decina di gradi schiacciandola sul fondo. Tentò di liberarsi. Non doveva stare vicino alla grata! Sentì le parole di Federica nella testa. Il respiro le si fece più convulso. Quanto mancava all'onda? Sentì le lacrime salate scenderle fino alla gola. La caviglia le faceva malissimo e non riusciva quasi a muovere il piede. Non aveva nessuna speranza. Sarebbe morta. In quella gabbia. E sarebbero morti tutti. Dopo di lei.

Erano corsi tutti e tre in sala video quando avevano sentito il botto. Sebastian era pallido come un lenzuolo. Stavano guardando tutti e tre i disperati tentativi di Helene di liberare il piede.

-Non ce la farà- osò dire Michele.

-No, no, no. Deve farcela!- Javier strinse i pugni.

-Mancano solo dieci minuti all'onda...- riportò Sebastian mestamente.

-Devo aiutarla. Devo tirarla fuori da lì prima che sia tardi. Io ho la chiave! - ricordò Javier.

- La chiave non ti servirà a molto se Helene non riesce a spostarsi. - aggiunse Michele che sembrava ipnotizzato a guardare quelle immagini.

Sebastian annuì e spiegò: - Da quella posizione Helene non arriverà mai al lucchetto e nemmeno tu da fuori-. Sebastian inspirò a fondo. Doveva rimanere lucido e pensare una soluzione. Cercò di concentrarsi. C'è sempre più di una soluzione per un problema, basta saper vedere quella giusta.

-Ok, vieni con me- Sebastian trascinò Javier verso l'uscita. All'ingresso aveva lasciato una cassetta degli attrezzi, tirò fuori le cose una dopo l'altra. Le gettò a terra. Javier lo guardava terrorizzato.

-Ok, questo. - gli passò un piede di porco. Javier lo prese tra le mani tremanti. -Passi sotto alla struttura in legno. Sarà stretto, ci sarà terra e acqua, sarà un inferno. Raggiungi la botola strisciando a terra e poi devi fare perno per aprire il lucchetto. - descrisse Sebastian.

-Se riuscirai ad entrare, ricordati che il punto più sicuro è al centro e che dovete ricompattare la base in legno perché l'isolamento tenga. Buttatici sopra di peso. - suggerì Sebastian.

Javier annuì, prese un profondo respiro ed uscì. Forse era pazzo! Sapeva quanto fosse maledettamente pericoloso stare lì fuori, ma non aveva scelta. Non perse tempo. Corse verso la gabbia. Il vento quasi lo spostava di peso. Gridò il nome di Helene un paio di volte, ma a fatica sentiva sé stesso, tanto forte era la tempesta. Scavò una buca di fianco alla grata, con le mani nella terra friabile e bagnata. Quindi scivolò sotto.

La piattaforma in legno inclinata aveva trasformato quel pertugio in una trappola mortale. Respinse le lacrime in gola. Prese un profondo respiro. Incastrò il piede di porco nei pantaloni e si fece scivolare sotto la grata nell'acqua putrida. Quando riemerse al di là era completamente sporco di fango. Il piede di porco si era incastrato nella grata. Tirò uno strattone, ma non si mosse. Finì di nuovo sott'acqua. Strattonò con tutta la forza che aveva. Non vedeva nulla. Sentiva il respiro mancargli. Il metallo scivolò sulla gamba. Lo graffiò. Per il dolore una bolla d'acqua gli entrò in gola. Si gettò verso l'alto come per riflesso e riemerse. Sputò l'acqua sporca di fango che aveva in gola. Vomitò. Si impose di respirare lentamente. Ignorò le fitte di dolore alla gamba e cercò di rimanere concentrato. Aveva poco tempo. Non doveva fermarsi se voleva salvare Helene. Afferrò di nuovo il piede di porco. Chiuse gli occhi. Pensò ad Helene bloccata e a quell'onda elettrica che scendeva dalla montagna. Strinse i denti, urlò e strisciò più velocemente possibile sotto la piattaforma verso la botola.

Guardò quel pezzo di legno bagnato davanti a lui. Infilò il piede di porco ed iniziò a tirare. L'acqua lo faceva tossire a più riprese e ad ondate si rovesciava su di lui. La gamba gli bruciava da impazzire. Tirava con tutta la sua forza. Nel legno comparve una fessura, ma era terribilmente piccola. Si sentì scorato. Si chiese se non avesse preteso troppo da sé stesso. Se si fosse solo illuso di poterla salvare. Rivide Helene con le gambe conserte all'ingresso della stazione radio che tremava di paura. Si chiese se non avesse sbagliato a lasciarla andare. Ora sarebbero morti entrambi.

Poi rivide il sorriso di Helene quando le aveva detto che era stata la sua prima pattuglia. Si asciugò le lacrime. Non poteva permettere a quel sorriso di spegnersi. Non così. Strinse i pugni. Si raggomitolò puntando i piedi nel fango e usò tutto il suo peso per fare perno su quel maledetto piede di porco. Gridò. Si ricordò dell'addestramento. Quanti istruttori gli avevano riso in faccia? Invece di abbattersi non aveva ceduto: metro dopo metro, peso dopo peso, tempo dopo tempo, prova dopo prova si era allenato duramente finché non era rientrato esattamente in ognuno dei canoni richiesti. Forse non era il migliore del corso, ma aveva carattere e tenacia da vendere. Sentì un crack. Si fermò incerto. Tirò un calciò alla botola e questa si aprì.

Si infilò dentro senza aspettare oltre. Quando mise i piedi sulla piattaforma scivolosa e cosparsa di vetri si accucciò un attimo a terra per riprendere fiato. Quando riuscì di nuovo a respirare guardò il monte di fronte a lui preoccupato. Recuperò in fretta il piede di porco e si lanciò verso la gabbia. Helene si aggrappò terrorizzata al suo braccio. Era una maschera di terrore, ma era viva. Doveva solo sbrigarsi a liberarla. Le si avvicinò all'orecchio. Sentiva i suoi capelli corti bagnati.

-Helene, cerco di usare il piede di porco per fare perno e inclinare di più la piattaforma. Devi essere veloce a togliere il piede!- urlò con tutto il fiato che aveva, lei annuì.

Javier mise un piede sulla griglia e incastrò il piede di porco nella fessura. Fu facile. Il piede di Helene faceva da spessore. Ora doveva fare forza sulla piattaforma: tentò ma non si mosse nulla. Provò a spostare il piede di porco e si rimise in piedi cercando di non scivolare. Un sfrigolare sulla cima del monte gli fece mancare il respiro. Non c'era più tempo. Non ne perse a guardare verso l'alto. Ormai erano in ballo. O la liberava o sarebbero entrambi morti. Saltò sul piede di porco. Per lo spostamento di peso la piattaforma scattò verso il basso. Helene era pronta. Si diede una spinta con la gamba libera sulla griglia. La piattaforma si riassestò e Javier vi cadde sopra malamente. Helene lo aiutò ad alzarsi. Lui la trascinò verso il centro della piattaforma. Dovevano chiudere la botola. Si sdraiarono entrambi sopra la botola a pancia sotto, senza fiato e terrorizzati. Javier la cinse con un braccio. Lo sfrigolare elettrico ormai era insopportabile. Non sentivano nemmeno i loro respiri. Lui vide riflessa negli occhi di Helene la piattaforma che mutava di colore. Quasi esplose di luce. Lampi di colore viola e blu si scaricavano a terra lungo le pareti. Era lo spettacolo più bello e terrorizzante che avessero mai visto e loro erano lì in mezzo, vivi. Helene si voltò verso di lui e gli sorrise. Era così bella coi capelli bagnati e gli occhi lucenti di lacrime. Javier la tirò a sé e la baciò.






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