Zona gialla

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È strano pensare di vivere immobili, bloccati in un paio di stanze senza mai mettere il naso fuori. Solo starsene lì ad aspettare, alla luce sempre più incerta di una torcia, guardando i viveri sempre più scarsi, trattenendo il fiato nella noia più totale. Dopo il terzo giorno Helene aveva preso uno dei server, l'aveva tolto lentamente dalla scalinata e l'aveva trascinato in un angolo. Aveva preso la cassetta degli attrezzi finché non aveva trovato un chiavistello abbastanza piccolo per svitare quelle viti ad una ad una. Aveva aperto il server, quindi l'aveva ripulito piano piano dalla terra e dalla polvere e aveva smontato ogni sua parte, finché tre giorni dopo si era ritrovata con quel disco in mano. Il disco pulsante di una macchina spenta e inutile. Era come tenere in mano il cuore di una persona. Era così strano pensare che era stato vivo, che era stato funzionante, che aveva girato e aveva significato così tanto per il mondo intero. Perché quel cuore pulsante, quell'ammasso di circuiti e semiconduttore aveva contenuto Sphere. L'unico software al mondo che si era accorto dell'arrivo delle tempeste e dell'inversione del campo magnetico, molto prima di tutti loro in quella stanza. Quanto avevano dubitato? Quanto tempo sprecato a cercare di trovare una falla davanti a ciò che invece avrebbero dovuto ringraziare? Quando finalmente estrasse la memoria flash di quel SSD tutti tacquero nella stanza. La loro speranza era morta. Non potevano più eseguire quel software, non potevano più sapere cosa sarebbe successo. Non avevano elettricità o altri mezzi per farlo partire. Erano rimasti lì con quell'unico scopo, illudendosi che quella sala, quei server potessero sopravvivere alla tempesta. Purtroppo, non era stato così. L'umanità era al buio, chiusa nelle sue grotte del ventunesimo secolo ad aspettare e sperare. Ogni giorno trattenevano il fiato quando Michele usciva a prendere il conteggio delle radiazioni. Ogni giorno tornava indietro a spalle basse sospirando. Si abbassava certo, ma molto lentamente. E se avessero finito le scorte di acqua o di cibo? Nessuno osava fare quella domanda ad alta voce, ma tutti bene o male ci pensavano. Era così inquietante il silenzio in cui la valle era precipitata. Non si sentivano più versi di animali nel bosco la notte. Era come se il mondo si fosse svuotato. Solo il vento era rimasto a coprire di nebbia e sabbia la valle.

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Il quaderno di Rachel non di meno si era riempito di almeno venti righe quando un giorno guardò stupita il macchinario tra le sue mani. Il direttore del CERN la osservava in silenzio con poche speranze. Rachel rimise il macchinario all'esterno, incerta e ripeté la misura. Tre volte. C'era il sole quel giorno e la valle attorno a loro stava morendo. L'erba aveva preso un colorito marrone. Le piante scolorivano ogni giorno di più per la mancanza d'acqua. La terra assorbiva quelle radiazioni malate provenienti dal sole. Era come vedere un televisore di molti anni fa. I colori si stavano perdendo: il mondo stava precipitando in una profonda carestia. Nessun'altra tempesta aveva seguito quella finale. Nemmeno un breve temporale. Ora dovevano aspettare che l'atmosfera si ricreasse e poi vedere cosa sarebbe successo al clima del mondo. Non c'era stato alcun contatto con la stazione meteorologica. Vuoto assoluto. Solo scariche che si perdevano nel silenzio. Erano riusciti a contattare la stazione di polizia di Robert a Ginevra la sera prima, per la prima volta e le notizie non erano affatto incoraggianti. L'esplosione che anche loro avevano sentito era stata una vera catastrofe in città. Una parte della città era stata praticamente rasa al suolo. Non sapevano definire l'epicentro, ma Rachel sapeva di non poter nutrire troppe speranze e questo la torturava. Aveva riportato laggiù Federica e ora non sapeva più cosa pensare.

-È sottosoglia, zona gialla- aggiunse portando il contatore al direttore perché potesse vedere lui stesso.

-Con la tuta si potrebbe provare una prima esplorazione. Tempo massimo di tre ore di esposizione- aggiunse il direttore controllando una tabella.

- E se provassimo schermati dall'auto? - chiese Rachel incerta. Il direttore annuì lentamente.

- Come si sente il suo poliziotto? - chiese poi lui. Rachel sospirò indecisa.

-Non lo so, ma temo che tenerlo qui sarebbe impossibile. Non vorrei esporre la bambina finché la soglia non è più bassa- aggiunse poi.

-Mi sembra... giusto- disse il direttore alzandosi lentamente.

-Guiderò io. Sempre se l'auto ha abbastanza carburante - disse decisa Rachel prendendo un paio di tute da un mucchio, due paia di stivali, occhiali e dirigendosi verso il basso. Robert capì appena la vide con la tuta. Le fece segno di aspettarlo e parlò con Jasmine per spiegarle. La bambina protestò un po', poi accettò e li salutò. Rachel lo attese sulle scale. Aspettò di essere a distanza per chiedergli: - cosa le hai promesso? - .

-Una bambola nuova- confessò Robert. Rachel lo guardò male.

-Rilassati, ci inventeremo qualcosa, c'erano diversi pupazzi nello scantinato della centrale di polizia. - aggiunse.

-È lì che vuoi andare? - fece Rachel non troppo stupita.

-Devo, Rachel... È comunque il nostro ultimo contatto- le ricordò mentre entravano nel garage sotterraneo. Salirono entrambi e si guardarono negli occhi. Rachel prese posto alla guida e lo guardò esitante.

-Funzionerà- aggiunse Robert mettendo la sua mano sulla sua, come per darle la forza. Rachel chiuse gli occhi e tentò. Nulla.

-È un diesel, dagli un attimo- disse Robert. Rachel insistette e finalmente al terzo tentivo l'auto si avviò. Robert guardò la lancetta del serbatoio. Per ora non destava preoccupazione. Non erano troppo lontani da Ginevra. Robert scese dall'auto in tuta. Si sentiva soffocare, ma non aveva alternative. Spalancò il portone del garage e rimontò in auto. Lasciarono il loro rifugio e si inoltrarono per strade deserte del CERN.

Rachel guardava fissa la strada cercando di respingere le lacrime che sentiva ai lati degli occhi. Cos'era rimasto del loro mondo? Della loro splendida valle? Stava tutto morendo. Tutto. E anche gli uomini come potevano sopravvivere? Quando avvitò il lago si fermò ad un incrocio e rimase allibita a guardare. Le mani le tremavano. La sponda est del lago era stata davvero rasa al suolo. Non c'era tracci alcuna dell'ospedale. Girò in quella direzione, nonostante la stazione di polizia fosse da tutt'altra parte. Il lago stesso si era ritirato di diversi metri e sembrava più una palude al momento. Era agghiacciante. Sentiva Robert che le diceva di cambiare strada, ma per lei era un'eco lontano. Alla fine, Robert schiacciò sul frenò pigiando la sua gamba con forza. L'auto borbottò e si spense inchiodando.

-Rachel ti prego, non possiamo, è pericoloso, ricordi quello che hanno detto alla stazione di polizia via radio? Ci sono sostanze tossiche probabilmente! - aggiunse Robert. Rachel saeva che aveva ragione, ma era come se sentisse il bisogno di vedere. Non gli rispose. Era come incantata, persa nel terrore, nell'incapacità di credere a quello che stava vedendo. Michael la strattonò. Lei lo guardò sconvolta. Robert la prese tra le braccia. Non riuscivano nemmeno a sentire le braccia l'uno dell'altra stretti in quelle tute. Rachel si staccò da lui. Senza preavviso scese dall'auto ed iniziò a correre verso il lago. Si sentiva il respiro corto morirle in gola. C'era davvero molto caldo sotto il sole del mattin con quella tuta addosso. Alla fine a pochi passi dalla riva inciampò e cadde a terra. Guardava i suoi guanti in mezzo a quell'erba gialla e secca. Alzò lentamente lo sguardo verso il lago. I frammenti del satellite si ergevano dall'acqua come iceberg. Robert la raggiunse con calma. Lentamente la aiutò a sollevarsi da terra e la riprese tra le braccia.

-Federica non tornerà- singhiozzò lei.

-Mi dispiace tanto, Rachel- sospirò Robert. Proprio ora che Rachel aveva così terribilmente bisogno di lei, proprio ora che potevano provare ad usare il materiale nuovo. Era sola. Sola? Forse non del tutto.

-Devo andare alla stazione metereologica- disse all'improvviso.

-Lassù? No, non mi sembra una buona idea, ci potrebbero essere state delle frane, potresti incontrare degli impedimenti lungo la strada, potresti trovare... non so...- aggiunse Robert agitato.

-Tu hai detto che devi andare alla stazione di polizia, bene, ti ci porto, ma anche io ho un dovere, anche io ho un lavoro. Il mondo ha bisogno di noi. Adesso- tuonò Rachel.

-Non ho mai visto il CERN nell'elenco dei servizi essenziali alla popolazione. - rispose Robert alzando gli occhi al cielo.

- Ci sono troppe domande senza risposta e non puoi dirmi che non sono urgenti- disse Rachel arrabbiata.

-Che tipo di domande Rachel? - fece Robert irritato.

-Questa erba, vedi... questa- ne strappò un po' e gliela lanciò in faccia. - Tu la mangeresti, la daresti alle tue mucche? - aggiunse Rachel.

-Io non ho mucche, Rachel, comunque pioverà e vedrai che ricrescerà della nuova- disse Robert allibito.

-Vedi ecco perché ho un lavoro da fare, perché sono tutti dei caproni ignoranti come te! - aggiunse Rachel tornando alla macchina arrabbiata. Robert la seguì cercando invano di farla ragionare. Rachel rientrò sbattendo la porta.

- Non sto dicendo che devono dargli questa erba da mangiare, lo so che ci sono le radiazioni, non sono stupido- disse infine Robert montando in auto.

-Non è questa la domanda fondamentale- fece Rachel.

-E quale è la domanda fondamentale? - fece lui seccato allora.

-Hai idea di quanto tempo impiegherà l'atmosfera per ricrearsi completamente? Hai idea di quanto tempo le radiazioni saranno visibili nelle colture? Tu hai una vaga idea di quando pioverà? Sai se la pioggia che cadrà sarà ancora essa stessa tossica o carica di radiazioni? Tu sai come cambierà il clima della nostra regione? Quando le scorte finiranno il tuo comandante prenderà un telefono e chiamerà su al CERN e chiederà: possiamo coltivare qualcosa? Come? E io che non sono un servizio essenziale come pensi che possa rispondergli se nel frattempo non ho fatto il mio lavoro? - aggiunse Rachel ingranando la marcia e accelerando.

-Ok, ok, calmati, non intendevo dire che non puoi fare il tuo lavoro- aggiunse Robert.

-Allora devi lasciarmi andare alla stazione radio- aggiunse Rachel. Robert inspirò a fondo per calmarsi. Era preoccupato e tremava. Ma come poteva fare a fermarla? Era giusto fermarla?

-È pericoloso- disse soltanto quando si fermarono davanti alla stazione di polizia diversi minuti dopo.

- Pierre Curie si è legato al braccio un cristallo di sale di radio per qualche ora. Quello era pericoloso.  Nessuno credeva che la radioattività avesse dei danni sul corpo umano. Quasi due mesi dopo ha mostrato la ferita alla Royal Accademy. Io vado solo a prendere la mia squadra... Non mi sto legando un razzo dietro la schiena o assaggiando una sostanza altamente tossica- disse Rachel ancora arrabbiata.

- Un cristallo di sale può fare questo? - sbarrò gli occhi Robert. Rachel lo spinse giù dall'auto, ma non poté che sorridergli. Robert girò attorno all'auto e poi le fece segno di tirare giù il finestrino.

-Vado a prendere il regalino per Jasmine, aspetta almeno che te lo porti- aggiunse invitandola a spegnere l'auto. Rachel sospirò e alla fine cedette.

Quando Robert tornò pochi minuti dopo non era solo. C'era il suo capitano con lui.

-Ho una domanda, signorina, sa per caso quante tempo ci vuole per bonificare un'area come quella del disastro -chiese il comandante pressato.

-Mesi - tagliò Rachel lanciando un'occhiataccia a Robert che intanto le passò il pupazzo.

-Quindi secondo lei dovremmo recintare l'area? - aggiunse il comandante.

-Stando almeno a 500 metri da dove è partita l'esplosione, forse più. Chieda via radio una stima più esatta a qualche mio collega, le farà sapere in giornata. Per il momento mi faccia un piacere e non mandi là i suoi uomini a controllare. È una pessima idea...- ammise Rachel.

- Senz'altro li terrò a debita distanza- promise il comandante. Rachel prese il contatore Geiger e lo appoggiò vicino al pupazzo. La radiazione era presente anche se bassa. Robert la guardò stupito.

-Jasmine avrà il pupazzo tra quarantotto ore. E ricordati che in famiglia il fisico sono e sarò sempre io- aggiunse infine Rachel prima di chiudere il finestrino. Robert si mise a ridere e la salutò. Rachel tornò indietro verso il CERN. Si fermò di nuovo un attimo prima di lasciarsi il lago alle spalle. Era come se stesse cercando in sé stessa la forza. Si chiese cosa avrebbe fatto Federica. La risposta la stupì: recuperato la squadra, possibilmente coi server, cercato di lanciare analisi e fare esperimenti per rispondere a più domande possibili, dopo aver ripreso il documento che avevano già fatto e controllato quali ipotesi si erano verificate e quali no. D'altronde era quello il loro lavoro. Tirò su col naso e ripartì concentrandosi sulla strada.

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