13 luglio 1676

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Ottavio non fece in tempo a serrare l'uscio, che già tutti quanti nella stamperia lo guardavano fisso. Non voleva guastarsi l'umore, essendosi svegliato bene la mattina; Galatea si era alzata prestissimo per preparargli una buona colazione e, per quanto questo fosse un indizio lampante, lui l'aveva preso come un dono gradito: il pomeriggio del giorno prima era stato in qualche modo rigenerante, il mare li aveva accolti malinconici e li aveva restituiti spensierati. Avevano parlato di tante cose, cose da innamorati e da sognatori, avevano guardato il cielo mentre i vestiti asciugavano loro addosso, avevano respirato l'aria limpida e pulita, lontano dalle maleodoranti strade cittadine.

Ecco, di fronte a quegli sguardi fissi, il mondo di Ottavio tornò quello cupo e maleodorante di Vallebruna; tornarono i sospetti, i segreti, i rancori. Perciò, inevitabilmente, gli occhi del marchese caddero su Bastiano, che indossava un ghigno di scherno del tutto fuori luogo. Poi toccò a Robertone, che lo guardava piuttosto con commiserazione che non con derisione; infine, Nicolò appariva a disagio in sua presenza, come se avesse preferito rimanere a casa, quel giorno.

Ignorandoli, Ottavio si tolse la giacca e si sbottonò la camicia con spavalderia inconsueta; Bastiano fece un'espressione ammiccante agli altri due, ma il capo gli intimò con un'occhiata di non dire nulla. Poi, facendosi avanti, esordì: «Vi porterò il materiale domani mattina, potrete lavorarci da subito; per quanto riguarda l'altra revisione, avete fatto davvero un ottimo lavoro e conto di cominciare la stampa subito dopo la festa».

«Ne sono contento», rispose Ottavio, sistemando il primo foglio sul timpano del torchio. Bastiano rise sotto i baffi esagerando la mimica facciale, un espediente studiato apposta per non dire nulla e allo stesso tempo sbeffeggiare il collega. Questi, però, non aveva alcuna voglia di attaccar briga per una risata e continuò ciò che stava facendo senza nemmeno mostrarsi interessato.

Il lavoro si avviò velocemente, assumendo nel giro di mezz'ora il ritmo serrato che lo contraddistingueva. Ottavio tirava la mazza con precisione, mentre Bastiano si permetteva modi più sbrigativi; Robertone, che puntava più alla quantità che alla qualità, smise di rimproverarlo dopo che rimase per due volte inascoltato. Nicolò, silenzioso come al solito, di tanto in tanto lanciava occhiate al torchio, guardandolo come avrebbe guardato una bombarda con la miccia accesa.

La sosta del pranzo fu salutata con favore da tutti, escluso Bastiano; ma, tornati un'ora più tardi, bastò poco a scatenare la tempesta. Più precisamente, bastò un'assenza del padrone: Robertone, chiamato in libreria, uscì dalla bottega lasciando un ambiente teso ma tutto sommato vivibile. Non appena fu scomparso dietro la porta, Bastiano mollò le mazze e si preparò a buttar fuori tutto ciò che fermentava dentro la sua mente pervertita. Nicolò, prima ancora che l'altro cominciasse a parlare, aveva già contratto il viso, pronto a sentire esplodere la bombarda.

«Com'è che sta la vostra mogliettina, mmh?» fece, piantando le mani sui fianchi e inclinando la testa. Ottavio lo guardò con sufficienza: «Ricominci con questa storia? Sta bene, ma poi, che te ne importa?»

«Be', signore, certe fatiche a volte le sfiancano, queste donne.»

Ottavio iniziò a percepire un fuoco rampante dentro di sé, ma cercò di tenerlo a bada. I suoi occhi, tuttavia, esprimevano già chiaramente quale fosse il suo stato d'animo.

«Il tuo interessamento è fuori luogo», disse, per troncare la questione.

«Avete ragione, non sono della famiglia. Vostro fratello può preoccuparsene, invece.»

Ottavio lasciò andare la barra e si trasse dal macchinario, fronteggiando l'avversario. «Piantala, Bastiano. Sono discorsi che non si fanno.»

Quello, invece che desistere, si animò di più; il suo volto prese una piega beffarda, i suoi occhi strabuzzarono e le labbra si aprirono a un grande e brutto sorriso: «Signore, sembra quasi che non lo sappiate!»

«Sapere cosa?» Gli occhi di Ottavio, in confronto a quelli di Bastiano, erano piccoli e colmi di astio; i denti, digrignati, a malapena si aprivano mentre parlava, e i pugni chiusi minacciavano una reazione violenta. Bastiano non si spaventò: «Che vostro fratello monta vostra moglie come uno stallone!»

Ed ecco, la bombarda esplose: «Rimangiati quello che hai detto, lurido!» sbottò Ottavio, slanciandosi verso di lui. Bastiano lo schivò e gli diede un colpo sui reni tale da mandarlo per terra. Mentre lui si rialzava furioso, continuava: «E lei ci sta, signore, eccome se ci sta!»

Ottavio afferrò la prima cosa che gli passò per le mani, un libro appena rilegato, e lo scaraventò contro Bastiano che, per ripararsi, dovette tacere per un attimo; subito dopo, riprese: «Era là, sdraiata sulla pancia, che strillava come un maiale, mi hanno detto!»

Nicolò, pronto al peggio, schizzò in libreria a chiamare lo zio; nel frattempo, Ottavio aveva raccolto un altro volume e si era avventato contro il provocatore, intenzionato a farlo stare zitto a qualsiasi costo. Menò un primo colpo, che impattò contro la spalla destra di Bastiano; quindi affondò il taglio superiore del libro nel suo addome e, in ultimo, gli rigirò la faccia con uno dei due piatti manovrato di rovescio. Bastiano fece un passo indietro, disorientato dalla violenza inaspettata. I suoi muscoli, però, lo mettevano nelle condizioni di reagire in modo ancora più pericoloso, perciò, proprio nel momento in cui Robertone e Diodato, guidati da Nicolò, si affacciavano in stamperia, piantò una gomitata nello stomaco di Ottavio, costringendolo a ripiegarsi su se stesso, tossendo a più non posso. Dopodiché, con un calcio dato di suola, lo spinse a terra. Prima che l'altro potesse rialzarsi e contrattaccare, gli calcò un piede sul petto e lo inchiodò sul pavimento.

«Vostra moglie è una sgualdrina e voi siete uno stupido cornuto!» esclamò Bastiano. «E ora ve lo racconto, così non potrete fare a meno di vederveli davanti. Voglio godermi la vostra faccia da damerino almeno la metà di quanto vostro fratello si è goduto sua cognata!»

Ottavio fece per divincolarsi, ma non ottenne altro che un aumento del peso e dell'umiliazione. Bastiano, dall'alto abbassandosi a poggiare il gomito sul ginocchio piegato, lo guardò negli occhi e scandì: «Prima lei gli stava sopra, andava su e giù, su e giù, e lui se ne stava ad occhi chiusi ad ansimare... Oh, doveva essere bello... Poi la frittata si è rigirata, lei sotto e lui sopra, ma lei era sdraiata sulla pancia. Non ci ha messo nulla ad aprire le gambe per lui... Immaginate che spasso, eh?»

Robertone si precipitò a dividerli e, per prima cosa, spinse di lato Bastiano; tese poi il braccio a Ottavio per aiutarlo a rialzarsi, ma questi non lo degnò della minima attenzione, balzò in piedi per conto suo e si gettò a capofitto contro l'altro. Quello lo aspettò, bloccò il suo attacco e, pur faticando a contenere la forza del dottore all'apparenza così mingherlino, trovò modo di deriderlo di nuovo: «Fatemela vedere, una buona volta, la vostra mogliettina, così valutiamo se valga o meno la pena di menarla tanto», disse ambiguamente, sciogliendosi in grasse risate subito dopo. Ottavio, fuori di sé, gli sferrò una ginocchiata nello stomaco, una ginocchiata del tutto inaspettata. Bastiano rantolò come un animale, crollò a terra, ma, non appena poté, ricominciò a ridere. La sua risata riempiva la stanza, riempiva la testa di Ottavio, lo faceva impazzire. Tante immagini presero a vorticargli davanti agli occhi: Galatea, nuda, e Ferraris, nudo; e il loro letto, e il letto del palazzo, e ogni luogo in cui avevano fatto l'amore insieme... Ogni cosa era macchiata dal tradimento ormai certo, innegabile, pubblico. Il racconto era troppo preciso per essere inventato: conoscendo le abitudini della propria moglie, Ottavio non stentava affatto a figurarsela in determinate situazioni. Pensieri del genere, in un altro contesto, gli avrebbero cagionato un calore improvviso, un avvampare del viso, un battere più forte del cuore, oltre che sintomi inequivocabili dell'appetito sessuale; ora, però, tutto sfumava nell'idea che Ferraris l'avesse defraudato di ogni diritto, di ogni confidenza sponsale; per quanto l'avesse messo in guardia dall'osare un simile espediente, nulla era servito a salvaguardare il suo letto coniugale.

La risata di Bastiano rimbombava contro il soffitto della stamperia e lo sferzava, quasi fossero frustate; si sentiva umiliato, abbattuto, deriso. L'unica cosa che desiderava, per il momento, era non udirla più, quella risata. L'avrebbe volentieri picchiato ancora, ma sarebbe stato inutile: avrebbe taciuto solo da morto, e l'omicidio non era contemplato.

No, sarebbe tornato a casa. Non sapeva con quali intenzioni avrebbe superato la soglia, non prevedeva quali sentimenti l'avrebbero agitato allora. Pure, si decise a prendere la strada; si volse, afferrò la giacca e uscì, rosso di collera. Un passo ne valeva due della sua normale andatura e in un batter d'occhio fu di fronte al portone sulla piazza, per nulla esitante. Per un caso fortuito, tra l'altro, il portone era socchiuso e gli risparmiò l'amaro compito di suonare la campanella, dandogli al contempo l'impressione che fosse stato il destino a condurlo lì, proprio nell'istante giusto. Era il fato a chiamarlo in cima alla rampa delle scale con la promessa che anche quella porta sarebbe stata aperta; spesso, di giorno, dimenticavano di serrare il chiavistello, dato che c'erano sempre persone in movimento.

Salì gli scalini a due a due, reggendosi alla corda fissata alla parete di sinistra. Una volta giunto sul pianerottolo, riprese fiato e, forse, tra un'imprecazione e l'altra, sussurrò un'invocazione alla Vergine, e fu la cosa più sinceramente sentita che disse in quei frangenti di follia.

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