9 luglio 1676 pt. 4

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Ciò che in verità Galatea desiderava in quel momento era affrontare la figura misteriosa che ancora si permetteva di dettarle legge. Perciò si sedette e chiuse forte gli occhi, non potendo andare in camera a distendersi sul letto: Ludovica stava riposando e aveva bisogno di non essere disturbata.

Ad occhi chiusi, Galatea sentì emergere la voce dalle profondità del proprio essere; le diceva che doveva vergognarsi, che avrebbe perso tutto, affetti, sicurezze, appoggi, tutto a causa della sua infedeltà. E per quanto si sforzasse di distinguere i contorni della nemica nell'oscurità, stavolta non ci riusciva. A un tratto, oppressa dall'insistenza dei suoi moniti terribili, sbottò: «Perché non mi hai fermata, mmh? Perché non hai fatto come fai con Ottavio, perché non ti sei messa in mezzo tra noi?»

La figura ghignò emettendo un suono stridente, quindi rispose: «Ho assecondato le tue voglie, cara mia. È ovvio che non ti terrò lontana da tuo marito finché il tuo corpo non avrà saziato i suoi istinti; mi serve qualcuno a questo scopo e quel bellimbusto fa al caso mio».

Non era mai stata tanto schietta e sincera con lei: Galatea si scosse in preda al panico.

«Quindi tu mi spingi all'adulterio e poi me lo rinfacci?»

«Se non lo facessi, tu ti dimenticheresti di quanto sei debole e indifesa e di quanto invece tuo marito sia pericoloso.»

Il discorso stava prendendo una piega assurda e questo autorizzò Galatea a ergersi a paladina della propria libertà contro la tiranna che la angariava. «Ottavio non è pericoloso; anzi, Ferraris, dei due, è il rischio peggiore.»

«Sbagli prospettiva, cara: che cosa vuole tuo marito da te?»

«Vuole che io lo ami; e io lo amo.»

«Stupida! Lui vuole figli da te; li vuole perché sei sua moglie, te l'ho già spiegato! Qualsiasi donna si trovasse al tuo posto, per lui sarebbe la stessa cosa. Ma tu sai di non potergli dare quei figli che desidera tanto: al prossimo fallimento potresti rimetterci la vita.»

Istintivamente, Galatea si accarezzò il ventre e le sovvennero le parole che Ottavio aveva avuto per lei: "Non è dipeso da te... Si tratta di una brutta congiuntura, qualcosa che prima o poi tutte le famiglie devono sperimentare".

«Non sono l'unica!» esclamò allora di rimando. «Altre donne hanno vissuto la stessa cosa; hanno avuto altri bambini dopo...»

«Quante di loro erano mercantine come te? Sposate per un caso fortunato a un marchese di nobilissimo lignaggio?» insinuò la voce, provenendo da un punto più preciso. Galatea guardò in quella direzione e scorse, anche se con fatica, la figura armata di artigli acuminati. Ricordò di aver sofferto dei suoi attacchi e d'un tratto si preoccupò di guardarsi, ma no, non era ferita, neanche un graffio. Rimase interdetta perché il dolore era stato troppo reale per essere frutto dell'immaginazione; mentre ci rifletteva su, udì un singhiozzo, come se qualcuno stesse piangendo.

«Che cosa ti prende ora?» inveì contro la figura. «Torni a fare quella lamentosa, adesso?»

«In realtà,» rispose l'altra malignamente, «sei tu quella che senti lamentarsi.»

I gemiti echeggiarono tutt'intorno, sempre più forti e ravvicinati, finché, d'un tratto, Galatea non si sentì chiamare da una voce diversa: «Figlia di mercante!»

Aprì gli occhi, ritornando nell'atmosfera calma e rassicurante della cucina deserta. Guardò in ogni angolo con il fiato mozzo, poi, rimettendosi seduta composta sulla seggiola, rispose piano: «Sei tu, Prudenza?»

Fu tentata di chiudere gli occhi di nuovo, ma l'altra la fermò: «Non farlo! Se lo farai, il mostro prenderà il sopravvento su di te e non potrò più aiutarti».

"Va bene", si limitò a pensare, tirando un sospiro di sollievo. "Non c'è modo affinché io possa annientarlo?"

«Non da sola, ma l'hai già inteso da te. Affidati a chi ti vuole bene senza starla a sentire.»

"Ma a chi? Ottavio o Alessandro? Chi dei due mi aiuterà?"

«Chissà che non debbano aiutarti insieme: ciò che può darti uno, non può dartelo l'altro. Ricordi quando ti ho consigliato di evitare le emozioni estreme? Allo stesso modo evita i sogni e vivi ogni momento con tutta la tua consapevolezza: in questo modo non avrai rimpianti, solo esperienze da cui trarre un insegnamento.»

"Ti riferisci ad Alessandro ora, o sbaglio?"

«Giorni fa avevi paura di sentirti felice con lui. Ma ora che lo sei stata, che cosa ne puoi trarre per te? Che cosa hai imparato?»

"Ho imparato che Alessandro non sostituirà mai Ottavio, ma..."

«Ma?»

"In questo momento ho bisogno di lui."

«Ciò che importa è che tu sia consapevole di quel che fai: tu sai di compiere un adulterio con lui; tu sai che tuo marito si adirerà con voi quando lo scoprirà...»

"So pure che se non avessi fatto l'amore con lui, adesso non desidererei così ardentemente di fare lo stesso con mio marito."

Prudenza tacque un istante, come per far decantare quelle parole. Galatea inalò ed espirò due volte prima di udire la sua risposta: «Purché tu riconosca le tue responsabilità, se credi di poter governare gli eventi e di trarne beneficio, io non ti distoglierò dal farlo».

Più tardi, conclusa la cena, Galatea si recò al rosario nel cortile interno: le donne sedevano a terra da un canto, riparate sotto il balconato del primo piano. Quei raduni, che, lungi dall'essere raduni religiosi, fungevano piuttosto da ritrovo informale di vicine di casa, avevano lo scopo di cicalecciare tra una decina e l'altra di tutti gli argomenti disponibili, senza risparmiare nessuno se non le presenti. E, come nel caso del lavatoio, la cortesia di non sparlare delle presenti non significava che non ci fosse materiale su di loro; semplicemente, per quieto vivere, si faceva finta di rispettare una sorta di patto non scritto per onorare le comari più fedeli.

Galatea, che aveva intuito la natura di questi rapporti fin dai primi ritrovi, da un lato biasimava in segreto tale comportamento villano, non prendendovi mai parte attiva, dall'altro, invece, era curiosa di sapere cosa mai potessero dire di lei quando si assentava. Se fino a due giorni prima sorrideva della possibilità che parlassero di una sua relazione con il cognato Alessandro Ferrarini, ora non ne rideva più; ciò che le dava coraggio era la certezza che non avessero prove, come per molti altri fatti che invece riferivano come certissimi. Solo di un avvenimento erano troppo restie a discutere, ossia l'omicidio della fanciulla forestiera. Per quanto si ingegnasse di trovare ogni volta il modo di intavolare il discorso, quelle non lo coglievano mai e, quando lo facevano, lo facevano con riluttanza manifesta. Un omicidio, forse, era troppo per un paesino di poche anime in cui tutti sono più o meno imparentati e costretti dalle circostanze a entrare in contatto con personaggi di passaggio, spesso strani e pericolosi. Aleggiava nell'aria il sospetto che le radici di quel delitto fossero più profonde di quanto si volesse dare a vedere in superficie e che, quindi, il responsabile non fosse stato un uomo di passaggio, bensì un individuo ben integrato, persino nativo di lì; ciascuno aveva i propri segreti da custodire e di questi era geloso, non trattandosi di nulla di pruriginoso e di allettante. D'altronde, se si fosse chiesto in giro per le strade, tutti avrebbero assicurato della bontà degli abitanti di Vallebruna, buoni e probi dal primo all'ultimo. Le scappatelle, i tradimenti, le ricchezze erano motivo di pettegolezzo, ma non si spingevano più in là. Quando accadevano fatti di sangue tra gli abitanti, il colpevole veniva in genere riconosciuto e isolato e condannato lui solo; così era stato per il marito che aveva ridotto in fin di vita la moglie a furia di pugni; così era stato per qualche violento irascibile; così, però, non era stato per la fanciulla forestiera. Doveva trattarsi, perciò, di qualcosa di più.

Anche quella sera rincasò senza novità; a Ferraris e Ottavio riportò solo di una ragazza supposta vergine trovata incinta prima del matrimonio, di un bottegaio che intratteneva strani rapporti con il proprio garzone, di una vecchia che aveva tentato di adescare un giovanotto con la promessa di una ricompensa in denaro.

«Hanno anche avuto da dire di noi», riferì infine. «Di noi come marchesi: hanno saputo dell'assassinio della povera Giulietta e sospettano che il signor marchese abbia fatto sparire un'amante scomoda.»

«Si facciano gli affari loro, che io bado ai miei!» esclamò Ottavio, battendo una mano sul tavolo. Galatea, guardandolo con aria di superiorità, domandò: «C'è del vero, per caso?»

Suo marito inclinò la testa e socchiuse gli occhi, ripetendo: «Del vero?»

«Non era la tua amante?»

«Ma come ti salta in mente, Tea? Un'amante, io?» disse, innervosendosi.

«Magari non lei; un'altra donna, forse?»

«Che cosa ti prende?»

«Perché non mi rispondi?»

Ottavio si alzò, le venne di fronte, ricacciò l'impulso istintivo di afferrarla per le spalle e scuoterla, come a farla svegliare dal sonno, e scandì con tono duro: «Io non ho amanti; ho solo una moglie».

Detto questo, si diresse in camera, dove si chiuse sbattendo la porta. Ludovica e Giovannino, che si erano già coricati sui rispettivi giacigli, si misero seduti, lui imbarazzato, lei spaventata. Ferraris, alzandosi a propria volta, raggiunse Galatea e le domandò sottovoce: «Perché l'hai fatto? Sai che non potrebbe mai... E poi davanti ai bambini...», il tutto accompagnato da un'espressione critica.

«Ho sentito di doverlo fare... Scusami, sono stanca...» sussurrò mesta prima di avviarsi sui passi di Ottavio, temendo il modo in cui l'avrebbe accolta.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro