Fine giugno 1676 pt. 2

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Una mosca si ostinava a ronzare attorno alle pagine umide stese ad asciugare; Ottavio aveva desistito dal proposito di ucciderla, sopportando con rassegnazione il solletico delle sei zampette sulla pelle delle spalle, del torace e della schiena; si lavorava a torso nudo nella tipografia, perché le temperature erano andate crescendo di giorno in giorno.

Bastiano aveva pettorali da fare impressione, soprattutto quando erano sudati; le sue braccia non erano da meno, nere di peli quanto, se non più del petto. Ottavio, che aveva la pelle rosea e poco pelosa per natura, aveva già fatto i conti con le frecciatine dei colleghi e si era guadagnato l'epiteto di signorino. Non se ne stupiva, dato che tutti quelli che incontrava erano di certo più abbronzati di lui, ma non sarebbe durata: anche Galatea, una sera, aveva notato una sensibile differenza nel suo incarnato. Gli scocciava prendere colore, perché la nobiltà si contrassegna dal blu vivo delle vene dei polsi, visibile solo su chi ha la pelle pallida; tuttavia, non era certo la questione più importante al momento.

Tirata forte la barra per la seconda volta sul foglio da stampa, fece scorrere il carrello e sollevò il timpano, librando la pagina per gli angoli, si avviò allo stenditoio e ve l'appese; non fece in tempo a voltarsi che Bastiano, con un'agilità che la stazza del suo corpo non faceva minimamente sospettare, acchiappò la mosca tra le mani. L'insetto, per nulla contento, ronzò con ostinazione contro le dita del suo carceriere, invano.

«Ditemi voi, che avete studiato», esordì il battitore e Ottavio pensò che volesse porgli una domanda seria. Si avvicinò e gli si mostrò condiscendente, ma Bastiano, con un sorrisetto che prometteva guai, gli offrì un'alternativa: «La soffoco pian piano o le strappo le ali?»

«Cosa?!» sbigottì. «Non direte sul serio! Piuttosto un colpo secco e la si faccia finita; anche una mosca è una creatura di Nostro Signore!»

«Nostro Signore non sa che seccatura siano, evidentemente», mugugnò insoddisfatto, poi riprese: «Sapete, quand'ero ragazzino e prendevo una mosca al volo ero sempre indeciso. La soffoco o le strappo le ali?»

Nel dubbio, scosse energicamente le mani e, quando si fermò, il ronzio si era sopito.

«È viva, non vi preoccupate, signore mio. Ma ditemi cosa avete scelto; niente morte rapida.»

«Mi rifiuto di decidere e mi meraviglio di te, Bastiano! Grande e grosso, te la prendi con un esserino minuscolo come quella mosca.»

Ottavio, davvero seccato dalla situazione, si diresse al tavolo e afferrò uno dei fogli inumiditi per posizionarlo sul timpano. Bastiano non dava a vedere di voler riprendere il lavoro ed era una fortuna che Robertone non fosse in officina, perché non avrebbe sopportato una tale perdita di tempo.

«Aspetto l'inchiostro», ingiunse il torcoliere, ma l'altro non lo ascoltò affatto; si rivolse invece a Nicolò che, con la sua solita flemma, si apprestava a completare la seconda forma della giornata.

«Ragazzo, tu te ne intendi quanto me, immagino. Allora: la soffoco o le strappo le ali?»

«Per me puoi strapparle le ali, così la pianta di volarmi in faccia», ribatté il ragazzo con indifferenza. Bastiano non vedeva l'ora di procedere con le operazioni: confuse l'insetto scuotendo ancora forte le mani, poi lo abbandonò sul palmo e lo afferrò tra pollice e indice; quindi, per togliersi la soddisfazione di dare una lezione a un uomo istruito, tornò da Ottavio con la lingua tra i denti. Ottavio lo guardava con sufficienza, il volto duro e lo sguardo arrabbiato; Bastiano non se ne curò e, mettendogli la mosca davanti agli occhi, ne afferrò con perizia l'ala sinistra. Sentendosi tirare per l'ala, la bestiola inerme cominciò a dibattersi, ad aggrapparsi con tutte e sei le zampe alle ditacce che le stringevano l'addome, a scuotere l'ala libera. Bastiano, insensibile, tirò, e le pene della mosca esplosero nel modo in cui ruotò la testa, quasi che gridasse senza avere voce. Ottavio corrugò la fronte, turbato, e provò un'istintiva ripulsa per quell'uomo. In meno di cinque secondi, la mosca era ormai mutilata di entrambe le ali; Bastiano se la fece scorrazzare per un po' sul palmo della mano, ridendo della sua disperazione, mentre Ottavio ne era commosso fin quasi alle lacrime. Quando ne ebbe abbastanza, Bastiano pose fine a tutte le sofferenze dell'animale lasciandoselo cadere tra i piedi e calpestandolo con inutile furia sotto la suola.

«Pietà per la mosca, signore, come desiderate», sghignazzò recandosi alle vasche di inchiostro.

Una volta a casa, Ottavio girò con un certo sollievo la chiave nella serratura; Ludovica dormiva già e Galatea, che gli aveva aperto, lo aspettava seduta a tavola con due scodelle piene di minestra. Guardò il marito ciondolare sfinito fino alla sedia, lasciarsi cadere contro lo schienale e afferrare il cucchiaio.

«Oggi c'è anche la focaccia e un po' di formaggio», disse, per farlo sentire meglio. Trepidava in attesa di sentire il suo giudizio sulla pietanza principale poiché, fattasi prendere dall'estro creativo, aveva sciolto un po' del formaggio nel brodo e sperava che l'avrebbe apprezzato. Difatti, al primo sorso, il viso di lui si illuminò per una piacevole sorpresa.

«Tea,» esclamò, «stai diventando una cuoca!»

«Qualche briciola di formaggio e il gusto è stravolto. Ludovica ha voluto due piatti, pensa!» e, seguendo il suo esempio, cominciò a suggere il brodo, lasciando le verdure per dopo.

«Mi ci voleva, oggi... Ho un'idea che mi frulla in testa: da un lato spero sia come penso, dall'altra spero di no.»

Il modo in cui aveva parlato aveva incuriosito Galatea; masticando un pezzo di carota, inclinò la testa sulla spalla e storse le labbra. «Ha a che fare con il rapimento?»

«Potrebbe...» ammise, quindi, schiaritosi la voce, continuò: «Ti ho già parlato di Bastiano, il battitore; è un tipo strano, non mi convince. Non so cosa credere, ma... Cosa ne dici se domani portassi Vivì con me in stamperia, solo per la mattina? La riporterò a casa durante la pausa del pranzo.»

Lei deglutì, lasciò da parte il cucchiaio e rispose piano: «Se quest'uomo è strano, preferirei che non la vedesse. Non so, se si insospettisse anche lui? Considera cosa succederebbe se Vivì lo riconoscesse e dicesse qualche cosa di troppo...»

«Lo so, non è la migliore delle idee, ma per il momento non possiamo fare altro: lei è l'unica che abbia visto il rapitore.»

Galatea chinò la testa e chiuse i pugni, guardò il fuoco morire nelle ceneri e sospirò: «Io non vorrei che lo facessi, però hai ragione. Non posso venire anch'io, così lo vedrà giusto un attimo e poi la porterò via?»

Ora fu Ottavio a distogliere lo sguardo; sollevò la scodella, la portò alle labbra, bevve il brodo fino all'ultima goccia. Solo quando la scodella fu vuota la abbassò e, nel farlo, rispose: «Questa volta sono io a dire di no: preferirei che lui non ti vedesse. Non chiedermi perché, ma ti vieto di mettere piede nella tipografia. Capisci, Tea?»

«Io non posso venire, dunque? Porti Vivì, che è piccola e fragile, e non me? È proprio vero,» concluse alzandosi e sparecchiando, «tu non mi vuoi avere intorno. E pensa che le nostre vicine favoleggiano su di noi! Povere illuse, si vede che non ti conoscono.»

Incurante delle lamentele di sua moglie, o forse semplicemente persuaso della bontà del proprio agire, Ottavio si avviò la mattina dopo alla tipografia con Ludovica in braccio: erano le cinque del mattino e la piccola dormiva ancora; era rimasta sveglia giusto il tempo di indossare un vestitino masticando una foglia di menta e non appena il suo papà l'aveva stretta al petto si era riaddormentata. La mamma le aveva stampato un bacio sulla fronte e aveva chiuso il portone.

Continuò a dormire per qualche ora, almeno finché il torchio non entrò in funzione. A quel punto, tra lo stridere della struttura di legno e lo schianto della platina, si svegliò di soprassalto e con il respiro grosso. Si guardò attorno senza riuscire a capire dove si trovasse, si mise seduta e capì di essere rimasta distesa su un rude tavolo da bottega sparso di fogli di grande formato.

«Papà?» chiamò titubante, ma il rumore del macchinario si mangiò la sua tremula voce. «Papà? Papà?» ripeté con frenesia, come un pulcino che pigola per chiamare la chioccia. E, nell'intervallo tra un colpo di barra e l'altro, Bastiano la udì e fece segno a Ottavio di andare a controllare.

«Viv-!» esclamò Ottavio per poi mordersi la lingua. «Caterina! Ti sei svegliata, eh? Vieni, ti faccio vedere il torchio.»

La aiutò a scendere dal tavolo e la prese per mano, conducendola dietro di sé.

«Guarda, Caterina,» le disse, passando la mano sul legno della macchina come se stesse accarezzando il muso di un cavallo, «questa è una delle più belle invenzioni del mondo! Con questa si fanno le pagine del libro, ti faccio vedere.»

Ludovica, con gli occhi lucidi di sonno e paura, era comunque incuriosita dall'eccitazione insita nel tono di suo padre. Lo vide prendere posto, puntare il piede contro il cuneo e tirare forte la barra; il rumore improvviso la spinse a tappare le orecchie e la boccuccia socchiusa lasciava intendere un certo timore infantile di fronte ai prodigi della tecnica. Suo padre, intanto, traeva fuori il foglio e glielo porgeva. «Guarda, vedi che belle lettere ne vengono fuori? Chiare e tonde.»

«Come i vostri libri, papà», osservò con aria attenta. Allungò un dito per toccare l'inchiostro, ma lui la fermò, dicendole che così la scrittura si sarebbe rovinata. Bisognava aspettare, appendere la pagina e farla asciugare. Sottrattole il foglio, ora penzolante dal filo dello stenditoio, gli occhi grandi di Ludovica caddero su Bastiano, che la guardava di rimando atteggiandosi a gigante burbero.

«Questo è Bastiano, Caterina,» scandì Ottavio, tornando verso il torchio con un foglio pulito, «presentati bene.»

«Buon giorno, signor Bastiano. Io sono Caterina Ma-» obbedì, ma nel bel mezzo del nome suo padre la interruppe, forzandola a girarsi verso destra. «E lui è Nicolò», disse, accarezzandole la testa.

«Buon giorno, signor Nicolò.»

«Il maestro non sarà contento di trovare una marmocchia in stamperia, e se invece la trova Diodato potrebbe andarvi anche peggio», bisbigliò Bastiano, schermandosi il viso con la mano. Ottavio lo guardò fisso e poi lo sfidò: «Potrebbe non passare nemmeno oggi; non c'è fretta di riportarla a casa, tantopiù che mia moglie non sta bene. Mi occuperò di lei per tutta la mattina, così abbiamo deciso. Durante la pausa la riporterò a casa; per ora non c'è nessuna fretta».

Il volto di Bastiano assunse un aspetto scocciato, elemento molto eloquente agli occhi di Ottavio, che lo tenne in conto. La bambina si comportò in modo giudizioso per tutto il tempo in cui rimase in bottega: non si avvicinò al torchio né alla porta della libreria, non fece rumore e non si macchiò il vestito con l'inchiostro. Quando si fu ambientata, nulla parve più disturbarla, nemmeno la presenza di due persone estranee; colmati tutti gli spunti curiosi, Ludovica si rincantucciò in un angolo, o sotto il tavolo, a giocare con l'immaginazione mangiando una focaccia dolce come colazione; stancatasi dei giochi, raggiunse la postazione di Nicolò e osservò con attenzione il suo lavoro, domandando qualche chiarimento di tanto in tanto. Allo scoccare del mezzogiorno, Ottavio si rimise la camicia e la prese di nuovo per mano per riportarla dalla cara mamma senza la compagnia di nessuna notizia cattiva. Ciononostante, i dubbi su Bastiano non erano affatto messi da parte.

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Angolo Autrice

Ciao a tutti!
Come procede la lettura? 😍

Lasciatemi un commento per farmi sapere cosa pensate... Galatea? Ottavio?... Bastiano? Che impressione vi fanno?

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