2 luglio 1676

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La campanella squillò e Galatea, che stava attizzando il fuoco nel camino per preparare il pranzo, corse alla finestra; dalla piazza la raggiunsero un saluto cortese e un cenno e una risata. Ferraris e Giovannino erano tornati dopo una settimana passata nella capitale, che distava da lì poco più di un giorno di carrozza. Come la marchesa aveva previsto, portavano, oltre a cibo, una lettera dell'abate Matteo. I gemellini stavano bene, chiedevano dei genitori e di tanto in tanto facevano i capricci; soprattutto Costanza faticava ad adattarsi ai ritmi della vita in monastero, riempiendolo di strilli acuti che nuocevano non poco alla preghiera. C'erano altre notizie, però, che premevano a Ferraris: le disse, seduto al tavolo con un bicchiere di vino in mano, che la loro misteriosa sparizione era ormai un fatto noto a tutti, ma di questo Galatea non si stupì. Anche al lavatoio, una volta, era capitato che qualcuna ne parlasse, ma i contorni di quella vicenda erano troppo poco chiari e i luoghi erano troppo lontani per attirare l'attenzione; era preferibile discorrere della gente del posto, di cui si conoscevano la faccia e la reputazione, e snocciolare una dopo l'altra le dicerie più succose e oscene; le voci erano state in qualche modo smentite dal duca, che aveva informato la corte di un viaggio diplomatico del fratello oltreconfine. Ciò che a Vallebruna non era arrivato era un dettaglio piuttosto importante: il ritrovamento di una serva del palazzo Malancisi, morta, appena dopo la sparizione dei marchesi.

Galatea rabbrividì all'udire la parola omicidio dalle labbra di Ferraris e domandò se si conoscesse il nome della vittima: era Giulietta, la fanciulla bionda di recente assunzione.

«Dietro la sua morte c'è il rapitore, è chiaro. Forse erano in combutta», ipotizzò il gentiluomo lisciandosi il risvolto della giacca.

La marchesa negò con la testa: «Impossibile, no! Era una ragazza buona e veniva dalle campagne, non conosceva sicuramente...»

«Forse non lo conosceva...» ammise lui, interrompendola per seguire il filo dei propri ragionamenti. «Può darsi che lui la usasse per avere informazioni. Forse erano amanti, forse lui l'ha adescata con le buone per poi minacciarla e infine, quando voi siete spariti, ha fatto sparire anche lei affinché non lo denunciasse.»

Galatea sospirò, sentendo il cuore pesante. «Questo mi pare più credibile. Era giovane, ingenua...»

«E non è detto che quell'uomo fosse di qui, anzi! Sono sempre più convinto che fosse stato assoldato per portare a termine quel compito preciso. Un professionista, un criminale, un avanzo di galera... Ma non ne avremo la certezza finché non sapremo chi è a capo di tutto il piano.»

Ludovica sbucò dalla porta della camera, rientrata dal balconato con il fiatone; vide Giovannino in cucina e gli andò incontro con le braccia spalancate, pronta a giocare fino allo sfinimento.

«Mio marito ha dei sospetti su una persona della sua stamperia. Ve ne parlerà appena sarà tornato, credo», disse Galatea, riempiendogli nuovamente il bicchiere. Ferraris si mostrò molto attratto dalla prospettiva di una pista e, per passare il tempo, decise che sarebbe uscito a fare una passeggiata.

Ottavio, di ritorno, non lasciò nemmeno il tempo di una domanda: sedette al proprio posto, affondò il cucchiaio nella polenta e, prima di sollevarlo, si spiegò: «Bastiano è strano; fa discorsi inusuali, ride da solo di tanto in tanto, come se si raccontasse qualche barzelletta; e inoltre mi sembra che nasconda qualcosa».

Ferraris si prese il mento tra le dita e rimuginò tra sé e sé. Galatea, attratta dal discorso, ripose l'ultima scodella ad asciugare e si prese una sedia, poi, voltandosi verso l'angolo dove i bambini giocavano, disse loro: «Andate in camera a giocare; senza far rumore, che è tardi».

Nel frattempo, Ferraris aveva trovato il bandolo: «Secondo me,» esordì, «Bastiano non è implicato nel rapimento: il maestro ha detto chiaramente che non lascia mai il paese, che lavora tutti i giorni da mattina a sera e che vive poco lontano da casa sua e non si è mai assentato, nemmeno di notte. Nicolò, invece, mi fa sospettare qualcosa e vi dico perché: è di Trestalli, figlio dello stampatore Marco Raspante e della sua prima moglie, quindi orfano per metà, quindi esposto a maggiori rischi da quando il padre si è risposato e ha avuto altri bambini. Ha dovuto lasciare la casa dopo l'apprendistato e per un certo periodo è stato via, senza che nessuno sapesse dove fosse; quando è tornato, Robertone l'ha assunto per la buona memoria della sorella morta».

«Come sapete tutto questo?» domandò Galatea, guardando alternativamente lui e il marito.

«Sono stato a Trestalli e ho fatto qualche domanda a quelli del Fiordaliso, che sono concorrenti di quelli della Palla; la Palla è di Marco Raspante. Il Fiordaliso è una realtà ben avviata, mentre la Palla ha vissuto qualche difficoltà ultimamente. Potrebbe essere una vostra vittima, signore», ipotizzò, puntando l'indice contro Ottavio, «perché i vostri consigli in politica potrebbero aver danneggiato le sue finanze; avreste generato voi il suo attuale stato di difficoltà.»

La prospettiva raggelò il marchese, che spalancò gli occhi e impallidì. Ripresosi dallo sbigottimento, corrugata la fronte, si schiarì la voce e rispose: «Mi sembra improbabile che sia io il responsabile dei suoi guai. Correggetemi se sbaglio, ma le mie manovre economiche non hanno mai sfiorato l'ambito degli stampatori».

«Non sono manovre economiche, quanto piuttosto la vostra tenacia contro i libri proibiti a farlo navigare in cattive acque. Tempo fa, credo tre o quattro anni, avete fatto disporre una perquisizione nelle stamperie di confine e il Raspante è stato trovato con parecchi titoli proibiti in corso di stampa. La multa è stata così pesante che ha rischiato di dover cessare l'attività, se non fosse stato per un locandiere di Trestalli, tale Cecco Stracci, che era diventato suo socio poco prima dandogli in moglie la figlia. Il tempo di risollevarsi, e Raspante potrebbe aver assoldato qualcuno per...»

Ottavio lo zittì con un gesto minimo della mano, un gesto imperioso e autorevole; anche Galatea, che, rapita dal racconto di Ferraris, si era chinata in avanti per ascoltare meglio, si rimise seduta composta. Il marchese, dopo una pausa, parlò schietto: «Le vostre indagini sono meticolose, signore, e apprezzo molto il fatto che voi abbiate preso tanto a cuore la nostra causa. Tuttavia, le vostre teorie mi sembrano in difetto quanto a realismo: con quali mezzi uno stampatore di confine, per di più in crisi, potrebbe assoldare qualcuno? E come potrebbe un misero stampatore pensare soltanto di attentare alla sicurezza della mia famiglia? Mia, che sono il fratello del duca? Stiamo sbagliando tattica; forse sbagliamo del tutto luogo, intento e colpevole; d'altronde la carta circola involontariamente. Chiunque si avvicini a un libro stampato di recente può sfilarne una facciata bianca e usarla per scrivere una lettera. Temo che la nostra ricerca sia destinata a impaludarsi qui».

«Una passeggiata gli farà bene».

Galatea volse il viso a destra e trovò Fortuna seduta per terra a gambe incrociate, lo sguardo vispo di una bambina, una ciocca arrotolata svogliatamente attorno al dito.

«Una passeggiata gli farà rinfrescare le idee. Le rinfrescherà a tutti e due. E l'aria è viziata, qui. Non verranno mai a capo di niente in questo stupido paesino di mare.»

Galatea si alzò, si girò verso il camino e fece finta di voler controllare che tutti i tizzoni si fossero spenti. Approfittando del rumore metallico dell'attizzatoio, bisbigliò a Fortuna: «Dici che dovrei mandarli fuori?»

«Per ora non è una cattiva idea. Tu intanto ti riposi e loro si distraggono un po'; ma non intendo questo: cercano nel posto sbagliato. Se pensano di poter risolvere il problema standosene qui a elucubrare seduti a un tavolo, fanno solo un buco nell'acqua. Se sapessero invece quanto sono avvantaggiati, quanto sono vicini! Ma i loro occhi sono offuscati, non hanno capito niente!»

Galatea sbuffò e una nuvola di polvere grigia si sollevò davanti a lei; Ferraris, intanto, vuotava un altro bicchiere di vino, mentre Ottavio la osservava sovrappensiero con la testa abbandonata nella mano e il gomito appoggiato al tavolo.

«Dove dovrebbero andare?» bisbigliò ancora.

«Non lontano...»

La risposta risultò ancora più enigmatica per via della piega delle sue labbra; immediatamente, Fortuna si sollevò dal pavimento e saltellò fino a raggiungere Ferraris, lo prese per la cravatta e lo strattonò delicatamente, quindi: «Li faccio uscire io o ci pensi tu?»

Galatea fece spallucce e Fortuna riprese: «Farò loro compagnia lungo la strada, così magari riuscirò ad appianare le divergenze».

La marchesa abbassò il capo, sentendosi una volta di più l'esclusa, ma la vocina acuta la rimproverò: «Non prenderla così male. Se non ti invito è per il tuo bene, affinché tu possa goderne dopo. Non ti preoccupare, non parleranno più di queste cose».

Non appena ebbe finito, Ferraris si alzò da tavola, espresse il desiderio di prendere una boccata d'aria e Ottavio, chiedendo il permesso alla moglie, lo seguì fuori. Galatea se ne andò in camera, si svestì e si mise a letto.

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