Fine maggio 1676 pt. 5

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«Come?»

«Il marchese?»

«Me?»

Ottavio, dei tre ascoltatori, era stato l'ultimo a manifestare il proprio sconcerto: d'improvviso era diventato pallido e gli occhi spalancati davano al suo viso un'espressione di spaesamento totale. Ferraris fece cenno di sì e si accinse a spiegarsi meglio: «Io sono già stato laggiù, in tutti e tre i paesi; il mio volto è riconoscibile, non passo certo inosservato con questa benda. Il signor marchese, invece, sarà nuovo del posto e, anche qualora fossi io ad accompagnarlo, non darebbe nell'occhio. Io, volente o no, non potrei fermarmi a lungo: sarei costretto a fare avanti e indietro per seguire varie piste e questo sarebbe ancora più sospetto. I più potrebbero semplicemente spettegolare di me, ma, se tra loro ci fosse il nostro rapitore, state pur certi che verrei scoperto in meno di una settimana».

Gli altri tre abbassarono pian piano lo sguardo; per un momento tutto rimase tranquillo e i cinguettii dei passerotti al di là delle finestre sembrarono prendere ancora più vigore.

«Ha ragione», constatò Ottavio a un tratto. «Sono l'unico che potrebbe indagare dall'interno. Se è per la sicurezza dei miei bambini, non esiterò a farlo.»

Galatea scosse la testa, si morse la lingua e alla fine disse balbettando: «No, Ottavio, non puoi farlo. Mi lasceresti qui da sola, di nuovo? Con tre bambini piccoli e un uomo, o forse di più, che cerca di portarmeli via? Reverendo,» singhiozzò, rivolgendosi all'abate, che le stava accanto, «ditegli anche voi che è troppo pericoloso!»

L'abate era combattuto e la sua faccia era troppo espressiva per nasconderlo: Galatea capì immediatamente che il progetto suggerito da Ferraris lo affascinava non poco, ma scorgeva nei suoi occhi un'ombra di paura. «Sei il fratello del duca, Ottavio», disse con fatica. «Se ti accadesse qualcosa, il ducato ricadrebbe nella confusione.»

La marchesa gli diede ragione, ostinandosi a fissare il marito per strappargli parole più assennate. Ottavio non era un avventuroso, non amava il rischio e nemmeno il disordine: era stato un giovane tranquillo e ora era un uomo prudente.

«Ferraris non può farlo, Tea; e Matteo evidentemente no; vuoi che qualcun altro venga a conoscenza di questa storia?»

«Ma il duca...»

«Il duca sa; e provvederà, qualora fosse necessario. Per il momento non dobbiamo attirare l'attenzione. Nessuno mi ha mai visto a Vallebruna, né a Trestalli e neanche a San Giulio...»

Qualcosa balenò nella pupilla di Ferraris e la sua mascella si irrigidì di colpo; solo Galatea se ne avvide, poiché si trovavano faccia a faccia, ai due lati della scrivania. Lesse subito il suo broncio alla luce della nuova piega presa dalla discussione: non le parve altro che un segno di insofferenza per il suo intervento; ci vide un dubbio, un fastidio per la sua intromissione e così, interrompendo il marito che stava ancora parlando, constatò mestamente: «Non è mia intenzione essere d'intralcio...»

Il lamento colse Ferraris impreparato; Ottavio, zittito bruscamente, non comprese cosa avesse provocato quella reazione nella moglie; l'abate, che non aveva intenzione di dar peso ai capricci di nessuno, trasse un profondo respiro e si intromise a sedare il malumore.

«Quanto durerà la permanenza del marchese?» domandò pacato; Galatea, per nulla rasserenata, distolse lo sguardo da Ferraris che ribatté: «Difficile dirlo, reverendo padre. Qualche mese, al minimo». E subito la sua attenzione tornò alla giovane donna a capo chino dalla parte opposta del tavolo. Anche l'abate e Ottavio la guardarono, ma lei non fece cenno di interessarsi più della discussione. Sospirarono all'unisono tutti e tre, considerando un grave errore l'averla coinvolta: era evidente che il suo stato malinconico non le permetteva di valutare oggettivamente la situazione che stavano vivendo. Ripresero a parlare tra loro a voce più bassa; così, pensavano, non l'avrebbero disturbata. Galatea, invece, ancora più tradita e amareggiata, avvertì più dolorosa la frustrazione: era vero, dunque, che l'avevano inclusa perché faceva loro pietà.

Un riverbero argenteo catturò all'improvviso la sua attenzione: girò la testa tutt'attorno, a scatti rapidi, alla ricerca della fonte di quel bagliore. Subito dopo, una risata cristallina rimbombò alle sue spalle; si volse, vigile come una cerbiatta, i nervi tesi.

«Madama?» la richiamò l'abate, sfiorandole la mano; il suo sobbalzo, con lo squittio strozzato della voce, fece sì che, di nuovo, il discorso si arenasse a causa sua.

«Sto bene... Mi era sembrato... Nulla...» si scusò. Ferraris ammiccò non visto e riprese il filo, indicando ancora la carta. Galatea, ad occhi bassi, smise di prestargli ascolto.

Un visino conosciuto si affacciò al suo fianco; capelli d'oro in una cascata di boccoli, un nasino diritto e all'insù e, per finire, occhi lunghi e labbra adolescenziali. Fortuna le sorrideva eccitata, sbirciando di quando in quando la scrivania.

«Si prepara una spedizione militare, qui?» bisbigliò eccitata. Galatea, al sentire la sua voce, sospirò rassegnata. Era una Fortuna benigna quella che le stava al fianco, ma le sensazioni che provava non erano per nulla positive; un cambiamento repentino era in atto e lei, giovane marchesa inerme, non avrebbe potuto evitarlo, né stornare le intenzioni degli uomini al tavolo. Perché, dunque, l'avevano tanto voluta presente? Affinché potesse assistere all'ennesima beffa del destino, ora che era stanca e affaticata e sentiva gravare su di sé un numero di anni ben maggiore di quanti ne avesse vissuti? Si incurvò, come se il peso la comprimesse; chiuse gli occhi, serrò le labbra.

«Non vorrai mica star qui a guardare queste tre astute testoline senza far nulla, vero?» domandò Fortuna, quasi canzonandola. «Capisco che ti trovi in soggezione, ma non ne hai davvero motivo: qui ci sono non tre, ma quattro testoline che funzionano ottimamente.»

La marchesa fece spallucce proprio nel momento in cui Ottavio ribadiva la propria volontà di partire e Ferraris, notando il movimento, credette che si fosse arresa alle circostanze. Si impettì, gonfiò il petto, cercò in silenzio le parole giuste per farle animo. Non poteva sapere che qualcun altro stava già attizzando la fiammella.

«Cosa sono quegli occhi bassi, mmh? E quella faccia? Vuoi dire che non sei più una figlia di mercante, ora che sei sposa di marchese? Come dovrò chiamarti ora, figliola mia?» le diceva Fortuna. «Non vedi che occasione hai davanti?»

Galatea alzò lo sguardo e incontrò il volto di Ferraris: piano, giovanile e animato da una luce tutta particolare. Aveva le labbra socchiuse come uno che sta per parlare di cose difficili.

«Madama...» disse. La sua voce era profonda, cavernosa. Galatea avvertì un brivido ambiguo lungo le braccia; Ottavio si volse a guardarla, la guardò intensamente, la fece fremere. Fortuna, da parte sua, la stuzzicò ancora, senza arrendersi: «Non ricordi come ti piaceva dar loro del filo da torcere? Ti sei rammollita, bambina, e non ti accorgi che ti stanno or ora offrendo il modo di scappare da una vita che ti sta uccidendo!»

Gli occhi di Galatea brillarono a quella considerazione; tremò di piacere, un piacere che aveva cercato di dimenticare, ed ergendosi ritta li sfidò entrambi con un rapido scambio di occhiate.

«Guardali, come smaniano!» rise Fortuna. «Tira fuori gli artigli, figliola! Da' una bella lezione a tutti quanti!»

Allungò una mano verso la carta, si reclinò leggermente avanti e, poggiando la mano sulla scrivania, scandì: «Io andrò con mio marito».

I tre rimasero interdetti più dalla sua risolutezza che dalle sue parole; fino a un attimo prima era parsa del tutto priva di spirito e non avevano osato rinfrancarla per timore di suscitarle altra malinconia. Ora il suo tono non dava adito a dubbi circa il tenore delle sue decisioni; ma erano decisioni che piovevano improvvise quando un progetto era già stato abbozzato e che mal si adattava ai ruoli predisposti.

«Madama,» ripeté Ferraris con atteggiamento più freddo, «voi resterete qui con i vostri bambini.»

«Uh! Il signorino si è offeso, adesso!» ghignò Fortuna accalorandosi. «Com'è bello quando si offende, non trovi?»

Galatea esitò un momento, percepì uno strano brivido tra le spalle, quindi strinse i pugni e: «Non osate darmi ordini, signore», ribatté, «o dovrò pensare che vi siate dimenticato chi io sia».

Il nobiluomo ristette, attonito di fronte alle minacce; Ottavio batté velocemente le palpebre, quindi intervenne a sostegno dell'altro: «Piano, Tea. Non è possibile che tu lasci il palazzo».

«Tu puoi, invece», constatò dura. «Se non bastano le preghiere, allora mi farò sentire in altri modi: non voglio separarmi da te di nuovo. Non per un caso così pericoloso.»

«Madama,» fu il turno dell'abate, «i vostri figli saranno più al sicuro con voi.»

«Quale luogo è più sicuro di un monastero benedettino?» insinuò Fortuna e Galatea usò le stesse parole per mettere in difficoltà i propri avversari, aggiungendo: «I bambini sono anche miei e anch'io voglio partecipare alle ricerche».

I tre uomini ammutolirono, osservandosi a vicenda per concordare una posizione e mantenerla. La marchesa non li perse di vista un solo istante, tremando impercettibilmente. Ora che il suo sangue si stava raffreddando, le venivano innanzi tutti i rischi, tutte le sofferenze che l'aspettavano: separarsi dai bambini, perdere la stabilità, cambiare luoghi e smarrire amicizie e appoggi. All'improvviso si pentì di aver alzato la voce; ma subito si pentì del pentimento e si risolvette a impuntarsi ancora di più, qualora fosse stato necessario. Era inebriata, si sentiva energica e cocciuta come quand'era ragazzina, come prima che...

«Tea, sei davvero convinta di voler rifugiare i bambini al monastero?» domandò Ottavio. Era una domanda crudele e terribilmente sottile: la colpiva nell'intimo, in ciò che le era più caro e che le avrebbe dato più dispiacere. Per questo Galatea lo odiò, perché non ebbe scrupoli a ferirla; d'altro canto, era una domanda più che naturale, una domanda che qualsiasi padre avrebbe rivolto; soprattutto in quelle particolari circostanze.

«Lo sonopiù di quanto non lo sia tu», replicò, senza temere di fargli male. Questo nonfece che intimidire gli altri due e farli propendere per una soluzione piùaccomodante. Ottavio si incupì, guardandola storto; Ferraris, invece, annuìpiano con la testa e le riconobbe la libertà di scegliere per sé; quindi chieseall'abate se fosse disponibile ad occuparsi dei bambini ed egli rispose di sì.Da quel momento in poi tutto venne più facile.

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