Pieno giugno 1676

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Galatea non aveva mai cucinato in vita propria, ma nessuno le fece pesare i fallimenti dei suoi ripetuti tentativi; Ottavio mandava giù cucchiaiate di zuppa senza muovere critiche, né che fosse sciapa né che fosse salata, e Ludovica, che a volte assisteva la mamma attorno alla pentola, sapeva quanto impegno e quanta fatica le fosse costata quella brodaglia vagamente tinta di colori indefinibili, con qualche pezzo di verdura galleggiante. Piatti, cucchiai e mestoli erano tutti di legno; di legno erano i pochi mobili della casa, che consistevano in una credenza, una madia e un tavolo con quattro seggiole. Il pavimento, ripulito nel giro di due giornate, era tornato di un bel colore rosso vivo, eccetto per due grosse macchie d'olio vicino al camino. E il camino, con la cappa nera di fumo, aveva richiesto il lavoro di due ragazzini per essere sturato; ora funzionava in modo accettabile.

Più i giorni passavano, più Ottavio rincasava stanco e sudato; non essendo capace di stendere l'inchiostro sulla forma, il maestro lo aveva confinato al ruolo di torcoliere e le sue spalle ne avevano risentito. E se da un lato la cena non era abbastanza sostanziosa e ricca da dargli un po' di energia, dall'altro nemmeno il riposo notturno era ristoratore: il pagliericcio nuovo con cui avevano sostituito quello muffito non era molto comodo e doverlo dividere in tre complicava ulteriormente la situazione. Ludovica dormiva al centro, con suo grande piacere, cinta dalle braccia di mamma e papà; per loro, però, non era altrettanto piacevole, abituati com'erano a materassi più spaziosi e meno affollati.

Le prime settimane furono il periodo di assestamento, un periodo nel quale ciascuno provò a farsi alleati e amici in ogni ambito cittadino: a Ottavio toccavano gli uomini lavoratori, i colleghi e i loro compagni di bevute nella pausa del pranzo, i fornitori di carta, i fornitori di inchiostro; a Galatea, invece, si apriva il panorama delle donne di borgo, i cui ritrovi principali erano il forno del pane, il lavatoio e il mercato; Ludovica, inconsapevolmente, faceva da tramite tra la propria famiglia e quelle vicine, facendosi accettare nei giochi dei coetanei e accattivandosi la simpatia delle loro madri.

Poi, verso la metà di giugno, Ferraris li raggiunse: la sua visita era stata concordata prima della partenza, tuttavia li colse quasi di sorpresa, infranse, per così dire, i ritmi della nuova vita. Quando arrivò, vestito in abiti meno sfarzosi del solito, ma comunque di un certo gusto, era un pomeriggio caldo e affollato per via del mercato del martedì; Galatea era a casa da sola e stava sistemando gli acquisti nella credenza. Udì la campanella suonare e si affacciò alla finestra, riconoscendo in un attimo l'ospite. Scese di corsa ad aprirgli e gli fece strada al piano di sopra senza smettere un momento di parlare: gli parlò delle condizioni della casa, gli parlò delle difficoltà in cucina, del lavoro di Ottavio, della spensieratezza di Ludovica. In cambio, una volta al sicuro delle mura domestiche, volle sapere come stessero i gemelli, se fossero arrivati sani e salvi al monastero e se qualcun altro sapesse dove si trovassero. Ferraris la rassicurò in ogni cosa e, a ulteriore riprova, le consegnò una lettera che l'abate della Vergine stellata gli aveva affidato di persona. Galatea la divorò e poi, dando le spalle al gentiluomo, la ripose sotto il corsetto perché anche Ottavio, più tardi, potesse leggerla.

«E Giovannino?» domandò Galatea, volgendosi nuovamente all'ospite che, sorridendole, le rispose: «Quel goloso ha voluto star giù, al mercato, a fare incetta di dolci. Quando sarà soddisfatto della razzia verrà su».

«L'avete portato, dunque! Non vedo l'ora di farlo salire!»

«Gliel'avevo promesso, che l'avrei portato a vedere il ducato insieme a me. Ormai è un ometto; non dico un uomo fatto, ma tra qualche anno sarà alto come me.»

Detto ciò, Ferraris tacque guardandola fissa. Galatea non abbassò gli occhi, nonostante un leggero tremito dietro la nuca.

«Lui lavora tutto il giorno?» domandò a propria volta, piano. Lei non riuscì a interpretare il suo tono di voce e, di conseguenza, il senso recondito della domanda; si morse il labbro e: «Sì, fin quasi al tramonto», disse a bassa voce. Non aveva nulla da nascondere, ma la gola le si era come chiusa. Ferraris non distolse lo sguardo, anche se le sue labbra si tesero impercettibilmente, abbozzando un sorriso che scomparve in meno di un secondo e di cui Galatea quasi non si accorse.

«Capisco», mormorò. «Avevo urgenza di parlare a tutti e due, ma già che ci siamo parlerò con voi.»

«Avete notizie? Prego, sedetevi...»

Ferraris si scelse una delle quattro sedie e Galatea prese posto di fronte a lui; nei gesti di lei era tornata un'ansia negativa, una fretta fastidiosa. Le premeva sapere se fossero stati trovati indizi.

«Non ho scoperto nulla di certo, per ora. Mi sono solo informato sulla circolazione della carta ed escludo che qualche forestiero ne abbia acquistata; ho indagato sugli stampatori dei nostri tre paesi e non ho scoperto granché, solo che tutti hanno avuto guai, in passato, con la censura. Niente che non si potesse prevedere, visto che le piccole stamperie sopravvivono con il mercato clandestino. Non credo che ci sia la vendetta dietro il rapimento del marchesino.»

«Ora che siete qui, cosa avete intenzione di fare?»

«Ora, per prima cosa, voglio approfondire la conoscenza di qualche impiegato di tipografia; escludo i maestri perché avrebbero troppo da perdere e, benché siano abituati al rischio, di certo non sfiderebbero in questo modo l'autorità di vostro marito. Insomma, se le stamperie sono in qualche modo coinvolte in questo affare, è più probabile che siano i dipendenti ad essere collusi...»

«Perché non posso vedere la lettera che ha ricevuto mio marito?» lo interruppe, ricordandosi all'improvviso della questione in sospeso.

«Bruciata. L'abbiamo bruciata affinché nessuno potesse trovarla per caso», mentì Ferraris, e riprese: «In ogni caso, questi dipendenti sono gente che si sposta facilmente, non hanno legami duraturi al di fuori della rete del loro mestiere. Mettete che due o tre di questi, caduti in disgrazia, siano giunti nella vostra marca e abbiano deciso di rapire uno dei bambini per ricattare vostro marito...»

La campanella suonò energicamente, troncando di netto il discorso. I due sobbalzarono e non risposero prontamente alla chiamata, per cui la scrollata alla campana si ripeté con più insistenza. Galatea fece in tempo a sporgersi dal davanzale che una vicina di casa si affacciò a gridare: «Son modi, questi?! Piccolo villano!»

Mentre Galatea si precipitava al portone, le risate di Ferraris la inseguivano giù per la rampa delle scale in un rimbombo lontano. E la faccia di Giovannino, strigliato per bene, la distolse per un momento dalle sue preoccupazioni.

*

Quando Ottavio rincasò e trovò i due ospiti seduti al tavolo in attesa della cena, si immobilizzò sulla soglia. Galatea armeggiava con un mestolo presso la pignatta e Ludovica si divertiva ad attizzare il fuoco sotto la pentola; Ferraris e Giovannino, invece, si volsero a lui e lo salutarono con cenni della mano. Il ragazzino, tredicenne, aveva una bella zazzera di capelli biondi e gli stessi occhi verdi di quand'era bambino, il viso un po' più allungato.

«Buonasera», li salutò di rimando Ottavio, prima di lasciarsi cadere di spalle contro l'uscio chiuso. Non aveva motivo di chiedere perché fossero lì e non lo fece; decise di non sollevare polemiche sullo stato della casa al loro arrivo, così come evitò di parlare delle condizioni di lavoro. La sola vista della faccia linda e soddisfatta di Ferraris gli dava i crampi allo stomaco.

«Venite, sedetevi con noi!» lo invitò questi, scostando una sedia. Lui si avvicinò scrollando le braccia intorpidite dal movimento ripetitivo al torchio e, prendendo posto, si scusò: «Chiedo perdono se non profumo esattamente di mughetto, ma qui non si ha tanto tempo da dedicare alla toeletta».

«Non avete davvero di che scusarvi di fronte a uno che ha fatto la guerra e che ne ha viste e sentite di peggiori di voi», lo canzonò Ferraris, sapendo di pungolarlo nell'orgoglio. Ottavio, infatti, si irrigidì e picchiettò due dita sul tavolo. Galatea trasse due mestoli dalla pentola e li versò in una scodella che passò a Ludovica, indicandole di portarla al padre. La bambina ubbidì e, svolta la mansione, si protese e baciò Ottavio sulla guancia.

«Papà, voi pizzicate!» si lamentò divertita strofinando la mano sulle labbra.

«Lo so, Vivì,» fu la replica desolata, «stamattina non ho avuto tempo di farmi la barba.»

«Vi siete svegliato tardi, mmh?» insinuò malizioso Ferraris con l'unica intenzione di imbarazzarlo.

«Non è come credete, signore. Ma dopotutto voi avete solo quello per la mente; qui si ragiona di altri problemi», brontolò il marchese, assaggiando il brodo. «Tea, è diverso dal solito... è più saporito», aggiunse, gustando per la prima volta un piatto decente.

«Merito della signora Ada, che mi ha detto di mettere più sedano. In ogni caso, signore,» proseguì rivolta a Ferraris, «mio marito voleva dire che è difficile riposare in tre in un letto. Spero che voi abbiate affittato un alloggio più comodo in qualche ostello.»

«In verità,» ammise Ferraris, abbassando la testa, «non ho affittato nulla. Pensavo non fosse un problema dormire qui, nella vostra ospitalità.»

Ottavio stava giusto inghiottendo un sorso di minestra che, a causa della sorpresa, gli andò di traverso; ma ogni rimostranza, dalla più cortese alla più secca, si rivelò inservibile. Ferraris non era il tipo di persona che agisce senza pianificazione e la sorpresa, l'audacia e la testardaggine furono le armi che gli guadagnarono la vittoria.

Così, sistemati i bambini nella cucina su giacigli improvvisati, fatti di paglia racimolata dal materasso e da vestiti ammassati, i tre adulti si ritrovarono insieme nella camera da letto. Imbarazzo e gelosia erano palpabili, gli sguardi carichi di messaggi che la lingua non osava articolare in parole. I due uomini si scrutavano mentre, pian piano, si toglievano i vestiti: cravatte, giacche, camicie, scarpe e calze. Tennero addosso solo i calzoni senza cintura e, a torso nudo e mani sui fianchi, rimasero a guardarsi in cagnesco dai due lati del letto. Galatea, da parte sua, non sapeva come comportarsi: solitamente dormiva in sottoveste, ma la presenza di un ospite ambiguo come Ferraris e il fastidio manifesto di Ottavio la spingevano ad essere prudente.

«Io...» le sfuggì timidamente dalle labbra mentre si apprestava a slacciare il grembiule intrecciato sul petto; entrambi spostarono l'attenzione su di lei e impietrì. Suo marito le venne incontro, comprese da un solo sguardo quale fosse il suo dubbio e, voltatosi indietro, ordinò a Ferraris: «Giratevi e non provate a sbirciare, o parola mia che...» lasciando in sospeso la minaccia; l'altro, alzando le braccia in segno di resa, fece come gli era detto. Ottavio, allora, sfilò il grembiule di Galatea, poi la invitò a dargli le spalle, cosicché potesse slacciarle il corpetto e la gonna.

«Ma se...» sussurrò lei, non del tutto convinta che fosse una buona idea. Lui la rassicurò e, per parlarle all'orecchio, le sfiorò la testa con la guancia mentre le sue mani le abbassavano il vestito con una naturalezza che la colse impreparata. Era da tanto tempo che Ottavio non osava toccarla e il fatto che lo facesse allora, con l'intruso in camera, le donò una bella sensazione di sicurezza e premura. Allo stesso tempo, però, sentì sorgere un'eco di paura dal cuore, come se un incubo tornasse ad appesantirle il respiro dopo che la memoria l'aveva quasi rimosso; per questo motivo l'istinto di accarezzargli le braccia morì repentinamente com'era nato, e un brivido la scosse.

Ottavio, una volta che lei fu pronta, si volse al letto: Ferraris, di spalle, reggeva ancora la candela, unica fonte di luce.

«Restate lì, non guardate», lo ammonì il marchese, facendo un cenno alla moglie perché si coricasse sulla sua parte di materasso, quella di sinistra. Obbedì, nascondendosi sotto il lenzuolo con il cuore che batteva all'impazzata.

«Ora potete girarvi, signore», proseguì Ottavio, salendo ginocchioni sul pagliericcio dopo aver scavalcato la pediera. Ferraris, dunque, si voltò, un sorrisetto furbo già abbozzato sul viso, un sorrisetto che, però, si cancellò subito.

«Cosa...?» borbottò contrariato.

Il sorrisetto era rimbalzato sul volto di Ottavio, ormai arrivato al centro del letto: «Davvero credevate», lo prese in giro con sarcasmo, «che avrei lasciato che mia moglie dormisse nel mezzo?»


***********************************

Angolo Autrice

Ciao a tutti! 

Cosa ne pensate? L'aria comincia a scaldarsi un po'?

Ma soprattutto...


Galatea dormirà mai in mezzo?

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro