Primi di maggio 1676

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Ciò che né Ottavio né Ferraris avrebbero mai potuto immaginare, però, era che Galatea li avesse anticipati nel mettere in atto la medesima strategia: dopo l'invio della lettera per il marito, dettato da un istinto ai limiti della ragionevolezza, la marchesa aveva riflettuto attentamente, giungendo alla conclusione che avrebbe dovuto attendere ancora troppo prima di vederlo tornare. Il viaggio dalla capitale alla marca, infatti, con bagagli e carrozze pompose, sarebbe durato di per sé quasi una settimana, senza contare il tempo che il messaggero avrebbe impiegato a recapitare la missiva. Aveva deciso, quindi, di rivolgersi all'appoggio più sicuro e più vicino: l'abate della Vergine stellata.

Negli anni, il contatto epistolare con il monastero non si era mai interrotto: talvolta, la pausa tra una lettera e l'altra durava un po' di più, ma l'attesa di risposta non restava mai insoddisfatta. Per questa confidenza e per il ricordo del periodo passato sotto l'ala dell'abate, Galatea non aveva avuto timore di ricevere un esito negativo. Aveva scritto, velando il vero motivo della lettera sotto parole vaghe e piuttosto scontate, e chiudendo con la richiesta singolare e immotivata di una visita urgente, urgentissima. Padre Matteo doveva aver intuito la sua agitazione e non si era preoccupato di rispondere per iscritto: dopo due giorni da che aveva ricevuto la lettera, eccolo varcare l'ingresso principale del palazzo, accolto dal trio di marchesini emozionati. Accarezzò con gesto paterno le loro guance paffute e rosee, quindi chiese dove si trovasse la loro nobile madre e si sentì rispondere da una delle balie: «Vi attende nella cappella per confessarsi».

«Saggia decisione», osservò l'abate, lasciandosi baciare l'anello. «Fatemi strada, signora».

Era Marianna a guidarlo, il passo rapido e concitato delle donne abituate ad avere tante cose a cui badare. Matteo aveva visto, nei suoi occhietti cristallini, aleggiare il pettegolezzo che si ripeteva come un ritornello ormai da anni: "L'abate ammogliato, l'abate concubinario..." eccetera. Sospirò, giungendo le mani sul cuore, continuando a camminare.

Intravide in fondo al corridoio un atrio di forma circolare e capì di essere quasi giunto a destinazione: la balia, poco più avanti, gli accennò di proseguire da solo, perché la marchesa aveva richiesto che così si facesse. L'abate, però, volle che i due monaci che lo accompagnavano avanzassero ancora di qualche passo al suo fianco e che si fermassero sulla soglia del luogo sacro. Era infatti buona norma che ci fossero testimoni durante la confessione di donne, specie se giovani: restando all'esterno, i due avrebbero potuto vedere senza ascoltare, così che il segreto venisse tutelato.

Giunto al portone socchiuso, l'abate lo sospinse con il dorso della mano e sbirciò dentro: l'architettura interna era piuttosto sobria, in linea con l'idea di spiritualità maturata dal marchese nel corso della sua formazione religiosa. Gli stucchi d'oro erano concentrati sul baldacchino e nella piccola cupola soprastante. Tutt'attorno gli affreschi simulavano quadri marmorei di colori diversi con una maestria tale da confondere anche un occhio esperto; le raffigurazioni di santi erano ieratiche e solenni, circonfuse di un'aura paradisiaca.

La marchesa pregava inginocchiata nella prima panca della navata a sinistra. Vestita di un abito scuro e castigato, con un velo sulla testa e sulle spalle, sembrava quasi una vedova in lutto. Inquietato da quella vista inaspettata, l'abate si genuflesse e si segnò, quindi avanzò con passo tanto leggero da risultare molto discreto. Giunto accanto alla nobildonna, ne osservò il viso impenetrabile: poggiava la fronte alle dita intrecciate, respirava fioca e muoveva di quando in quando le labbra, bisbigliando le parole dell'Ave Maria; aveva gli occhi chiusi e così non si avvide dell'arrivo silenzioso dell'ospite. Questi, allora, sedette accanto a lei e la chiamò in un sussurro: «Madama», facendola sobbalzare di sorpresa.

«Reverendissimo padre!» esclamò Galatea, prendendogli la destra per baciare l'anello. «Vi ringrazio per essere stato così pronto ad esaudirmi.»

L'abate le pose la mano sulla testa e le segnò la fronte con il pollice, benedicendola amorevolmente. Le sorrideva, ma lei, intimidita, non osava alzare gli occhi sul suo viso. Dovette insistere affinché lo facesse e, quando le loro pupille si incontrarono, balzò subito all'attenzione del monaco un'aria di paura nella profondità dello sguardo di lei.

«Ditemi tutto, madama; vi ascolterò.»

Galatea riabbassò per un attimo gli occhi, esitando, ora che c'era, a rivelare i propri sospetti: una volta che la prima parola fu sgorgata dalle sue labbra, tutto divenne facile e necessario come lo scorrere di un ruscello dalla sorgente. L'abate, fedele alla promessa, ascoltò con attenzione, senza osare interrompere il resoconto degli eventi che la marchesa, lucidamente, ricostruiva mentre raccontava. Solo quando la marchesa tacque nuovamente si permise di interrogarla sottovoce: «Capisco che il vostro animo sia molto turbato, madama; ciononostante, avete altre prove che qualcuno volesse effettivamente rapire vostro figlio?»

«Dubitate della mia Ludovica? Pensate che mi abbia mentito?» ribatté, infastidita. In effetti, però, non aveva nulla di più sicuro della testimonianza della bambina, dato che le ricerche e le perquisizioni erano risultate inutili a fare chiarezza.

L'abate inclinò la testa da un lato con un'espressione imbarazzata, quindi avanzò una stentata difesa: «Non offendetevi, ma posso dirvi per esperienza che i bambini sono molto impressionabili».

«Non Ludovica, lei no!» insistette Galatea. «Ha visto l'uomo, ha udito i suoi passi e le sue parole. Se la balia fosse semplicemente scivolata, che motivo avrebbe avuto la mia bambina di spaventarsi così tanto?»

«Forse,» azzardò l'abate, «sente la mancanza di suo padre. Vi risparmio di sentire le cose che mi raccontò Luca in seguito a...»

La sua voce si arrochì di colpo e il respiro gli si mozzò mentre chinava repentinamente il viso e portava una mano sugli occhi, quasi volesse nascondersi. Galatea provò un'innata compassione per lui e gli mise delicatamente una mano sulla spalla, ma, dopo un rapido sguardo ai due monaci sulla soglia, ritrasse subito il braccio. L'abate si volse verso l'altare, le labbra tese e i denti stretti. Un sospiro sciolse lentamente la tensione dei suoi muscoli e la rassegnazione compose il suo volto in un'espressione piana e rispettosa.

«Mi dispiace...» sussurrò la marchesa, stringendo le mani giunte.

«Colui che cerca didecifrare il disegno di Dio si fa solo del male, madama», osservò lui, tornandoa guardarla. «Bisogna rimettersi alla sua misericordia e pentirsi dei propri peccati.»



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Chiedo scusa per il ritardo, ma purtroppo è un periodo molto strano per me XD

Farò il possibile per aggiornare al più presto, anche se sono sicura che mi capirete e avrete pazienza! 

Grazie a tutti,

Lucille

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