Capitolo 4: Occhi spenti e vino rosso

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Le corsie del quartier generale dell'Alleanza si allungavano come i rami contorti di un albero secolare spingendosi fin dove l'occhio riusciva ad arrivare.

Nei piani più alti dell'edificio principale – la cosiddetta base – , dove risiedeva il tenente Xandem, le pareti, lisce e specchianti, erano nere come il piumaggio di un corvo. L'illuminazione chiara presente arrivava dal soffitto perlaceo. L'assenza di finestre che si affacciavano sull'esterno mi impediva di comprendere esattamente quanto in alto mi trovassi: cento, centocinquanta metri?

Bastian si avanzava tacitamente, camminando di fronte a me senza fiatare. I muscoli rigidi delle gambe lunghe guizzavano ad ogni suo passo. Il suono emesso dalle suole in cuoio scandiva lo scorrere dei secondi.

Gli ambienti dell'edificio erano disabitati e in alcune stanze l'illuminazione era assente. Doveva essere sera, probabilmente il turno lavorativo era terminato e i soldati si erano dileguati nella sala mensa.

Velocizzai il passo per portarmi al fianco del ragazzo. Mentre scendevamo per l'ennesima scalinata di vetro smerigliato. Per essere un luogo tanto tecnologico la quasi assenza di ascensori si faceva sentire.

– Grazie per avermi difesa. – dissi semplicemente, incrociando le dita dietro la schiena.

Con uno scatto s'immobilizzò e mi lanciò un'occhiata di fuoco per poi riprendere a muoversi in silenzio superandomi un'altra volta.

– Dico davvero! – ripresi arrancando per raggiungerlo. Non sopportavo dovermi sentire in debito con una persona simile.

Le gambe fini e longilinee gli conferivano un'andatura piuttosto veloce alla quale non ero più abituata da quando presi il diploma all'Accademia.

– Senti. – iniziò lui all'improvviso, guardandomi in tralice. – Non sono un tuo amico, e benché meno un alleato, perciò non trattarmi come se lo fossi. Non l'ho fatto per te. L'ho fatto perché sono una testa calda. Ed ora per questo irriverente atteggiamento verrò mandato su Callisto! Non ti sembra una punizione sufficiente, devo pure ascoltare la tua voce? 

Mi fermai guardandolo di sottecchi. Le sue parole mi avevano offesa, non mi conosceva, non sapeva chi fossi e allora perché si comportata in quella maniera tanto scontrosa? La rabbia fu soppiantata dal dispiacere. Dispiacere perché credevo che avrei trovato nel ragazzo un amico.

– Da qui dovresti riuscire a trovarla da sola. – disse mettendomi in mano il badge che apriva la mia stanza prima di infilarsi in un corridoio buio al terzo piano; probabilmente lì alloggiava lui.

Avrei voluto augurargli la buonanotte ma le parole mi morirono in gola.

La mattina successiva fui svegliata da una fastidiosa sirena nel primo mattino. Dopo aver maledetto quel suono che non accennava di fermarsi, scostai le coperte dal mio corpo e mi alzai controvoglia. Quel luogo era come una gabbia personale. Sarebbe potuta andare molto peggio, comunque; questo dovevo ammetterlo. Brian poteva aver centrato il colpo ed io avrei passato il resto della mia vita a crogiolarmi nel dolore e nella povertà. Sì, nella sfortuna ero stata fortunata. Continuare con il mio comportamento "poco accondiscendente" non avrebbe giovato a nessuno. La fuga non era e non doveva neanche saltarmi per la mente. Xandem mi desiderava lì per qualche motivo, io l'avrei compreso e distorto a mio vantaggio.

Dopo una veloce doccia aprii l'armadio e, come mi aspettavo, piegata dietro il vestito rosso, c'era una divisa bianca dell'alleanza che, come ogni altro capo lì dentro, mi calzava a pennello. Sul petto risplendeva la piastrina indicante il mio rango: "soldato semplice"; dove un tempo doveva esserci ricamato il nome del proprietario figurava solamente un groviglio di fili che mi impediva di leggere il cognome della persona a cui apparteneva tale divisa.

Per un attimo mi chiesi che fine avesse fatto questo individuo: se fosse andato via, se avesse cambiato mestiere, se fosse morto. Scacciai immediatamente il pensiero e dopo aver raccolto i capelli in una crocchia disordinata, con tutta la buona volontà racimolabile, uscii dalla stanza.

Gli spazi non erano illuminati dalla luce del giorno.

Mi ritrovai sommersa da una fiumana di donne e uomini vestiti di bianco. Ognuno di loro, a passo spedito, raggiungeva la propria postazione di lavoro come bambole prive di vita.

Mi era stato spiegato che la mia compito sarebbe consistito perlopiù nella riparazione di vecchi motori e miglioramento dei nuovi, presso l'hangar poco fuori dallo stabilimento principale. Perlomeno era qualcosa che sapevo fare e che da un certo punto di vista mi appassionava, forse sarei riuscita a resistere per un po' nella tana dei lupi.

Con non poca fatica, dopo aver vagato per decine di minuti, riuscii a trovare l'uscita della base principale. L'entrata all'edificio era spoglia, solo un grande schermo recitava le parole "Alleanza del Sole." Le persone mi superavano velocemente senza alzare gli sguardi da terra. Gli occhi puntati verso un pavimento così scarno, così monotono mentre di fronte avevano la più calda luce che il sole potesse offrirci, una luce che sembrava splendere solo per me. Vidi dinanzi la tanto agognata libertà, la possibilità di correre e non fermarmi mai più.

Feci un passo verso l'esterno, il mio piede destro superò il cancello principale. Ero fuori. Il calore mi picchiava la pelle, molto più forte di quello a cui ero abituata sulla Terra. Pur sempre sopportabile grazie all'ATM umane, veli di un materiale ormai sconosciuto creati centinaia di anni fa dagli umani capaci di chiudere città intere come una notte eterna e fresca. È  grazie a una simile invenzione che pianeti come Marte e Venere e i più importanti satelliti gioviani: Callisto, Ganimede, Io ed Europa ora sono vivibili da tutti noi.

Un dolore non tanto forte quanto improvviso alla caviglia mi costrinse a piegare il ginocchio e raggomitolarmi su me stessa con un gemito.

Una risata sprezzante mi fece voltare. Alto e ben piazzato come un muro di mattoni, Brian mi guardava dall'alto verso il basso con in mano il piccolo telecomando che credevo fosse ancora fra le mani di Bastian. Aveva i capelli brizzolati pettinati all'indietro e gli occhi piccoli e grigi mi guardavano con un'espressione crudelmente divertita.

– Lena Landon. – disse tirandomi su con la forza. – La nuova meccanica eh? Mi chiedo se di fatto tu sia in grado di fare qualcosa o se siano solo vaneggi di quel viziato venusiano. – Bastian.

– Lo guardai male cercando di mandare via dalla mia testa l'immagine della sua mano che punta la pistola alla fronte di mia madre. Dovevo mantenere la calma. Non sarebbe stato l'ideale, per i miei scopi, spaccare il brutto muso di un mio superiore.

– Dove devo lavorare. – dissi senza cedere alle sue provocazioni.

Divenne serio – probabilmente attendeva una reazione di rabbia – e mi scortò fuori dallo stabilimento.

L'aria salmastra mi sommerse come un'onda. Non mi trovavo proprio al centro di una città ma all'orizzonte riuscivo a scorgere le cime di grattacieli che sembravano scalfire il cielo di un azzurro che non avevo mai visto. Faceva caldo, ma era un caldo piacevole contro le mie membra, contro il freddo che mi bucava le ossa, che mi ricordava il gelo della Terra.

– Non stare lì impalata. Muoviti! 

Senza ribattere seguii Brian che in silenzio mi fece strada verso una struttura dalle dimensioni gigantesche completamente in vetro e acciaio dalla forma curva quasi come se fosse una sorta di maestoso e scintillante arco.

Al suo interno decine di navi da combattimento erano ferme, insieme al loro equipaggio.

Mi stupii per la mole di armi che vidi là dentro. Il sistema solare, no, l'intera galassia era in pace da anni, quell'equipaggiamento poteva significare una cosa soltanto: guerra; ma contro chi?

Brian mi prese per il braccio e mi scosse con forza risvegliandomi dalla trance. Avvicinò le sue labbra fini al mio orecchio per fare il modo che lo sentissi solo io.

– Hai due ore di tempo per riparare il propulsore di quella FG887 che vedi lì in fondo, quella donna con i capelli verdi è la proprietaria. Non parla ancora bene la lingua comune, tu cerca comunque di fare quello che dice. 

Guardai la piccola nave da combattimento che rispondeva al modello. Il propulsore era completamente andato, il serbatoio era rotto – ai piedi della donna del carburante nero colava –, con una buona dose di fortuna e di aiuto ci avrei messo almeno tre giorni.

– Due ore sono quantomeno poche. – mi lamentai scuotendo la testa.

– Ho detto due ore, forse non sono stato abbastanza chiaro? – replicò guardandomi in tralice, sporgendo il manico di un'arma da fuoco. Folle. – Xandem mi ha detto che avrei potuto punirti se fosse stato necessario. Non ha specificato come, mi ha lasciato completamente carta bianca. – Strinsi i pugni.

– Questo non è esattamente vero! 

Una voce squillante ci fece girare entrambi, Brian lasciò la presa sul mio braccio e si rimise dritto.

– Che ci fai qui, Rian. – tuonò l'uomo tarchiato all' "intruso".

– Non mi va che tu racconti simili fandonie alla nostra novellina! – sorrise strizzandomi l'occhio.

Aveva i capelli blu elettrico scompigliati. Non dimostrava più di venti anni, i suoi occhi avevano lo stesso colore dei capelli il che gli conferiva un'aura aliena a cui non ero troppo abituata. Era più basso e più minuto di Brian, eppure riuscì lo stesso ad incutergli timore. Avevano entrambi la targhetta di "luogotenente". Riconobbi il ragazzo solo quando notai il suo sorriso ornato da fossette. Ogni volta che parlava, il gioiello dorato sul labbro inferiore schioccava.

Fui trasportata con la mente a quella notte terribile, rendendomi contro che fra i tre, Rian era quello che sembrava il meno incline alla violenza.

– Mi sorrise affabile. – Mi dispiace che tu sia stata affidata proprio a questo energumeno, non credere a quello che dice. Probabilmente trascorse le due ore ti avrebbe portato nella sua stanza per punirti, se capisci quello che intendo! – scherzò tirando una leggera gomitata al collega che ribolliva di rabbia ma senza rispondere. Non potei fare a meno di sopprimere una piccola risata.

– Fai come vuoi scherzo della natura! – urlò Brian al ragazzo. – Tanto sono io ad essere pagato per questo. Vado a farmi un caffè. 

Una volta che l'uomo si allontanò il ragazzo si lasciò andare ad un sospiro fino a buttarsi in terra.

– Pensavo proprio che mi avrebbe colpito! – disse imitando un pugno arrivare sulla sua guancia.

– Lo credevo anche io! – ammisi aiutandolo ad alzarsi. – Come mai se n'è andato? – chiesi curiosa per poi aggiungere un "Signore!" ricordandomi della disparità fra i nostri ranghi.

Quello rise – Rian è sufficiente. – disse. – Rian Blade. – mi porse la mano che strinsi con entusiasmo. Dai suoi movimenti riuscii a scorgere l'elsa di una spada legata ai pantaloni, sembrava antica. Non ne avevo mai vista una dal vivo, sembrava che all'Alleanza tutti amassero l'antiquariato.

– Oh, questa? – disse sfoderandola accortosi delle mie occhiate. L'elsa era lunga e caratterizzata da tessuti incrociati, la lama lunga, fine e ricurva. – Si chiama katana, – riprese. – è molto antica, saperla maneggiare fa parte della tradizione di famiglia. Vuoi provarla? 

Feci un passo indietro – Magari la prossima volta. – sorrisi a mia volta.

– D'accordo. – Rinfoderò. – Scommetto che vuoi sapere perché Brian sia scappato via con la coda fra le gambe vero? È  molto semplice, è perché ha un po' paura di me. Non ridere Lena, è la verità! – disse mettendosi una mano sul cuore in segno di giuramento. – Ha davvero paura. Forse non ti sembrerà vero, ma qui dentro sono io ad insegnare le tecniche di combattimento ai novellini. Probabilmente fra qualche tempo sarò anche tuo maestro! Sai, Brian è un gigante, ma il suo modo di agire è rozzo, disordinato. Può essere messo facilmente al tappetto da uno che sa applicare la tecnica! – affermò mettendosi le mani sui fianchi.

Battei le mani incerta, stupita non solo da ciò che mi aveva appena detto ma anche dal suo atteggiamento in generale. Era la prima volta da quando avevo messo piede in quella gabbia di matti e violenti che qualcuno si mostrava gentile nei miei confronti. Genuinamente gentile.

– Mi dispiace infinitamente per quello che è accaduto l'altro giorno. Quell'idiota non avrebbe mai dovuto. Gli ho tirato un pugno fortissimo dopo essere entrati sulla nave che ti ha portato qua. Se ti può consolare. – Abbassò la testa.

– Non è colpa tua...–dissi incerta appoggiandogli una mano sulla spalla. – Grazie per aver cercato di evitare la tragedia.

– Scommetto che si riprenderà. – disse rialzando il volto, i suoi occhi brillavano di una luce chiara. – Chiederò un permesso per portarti da lei un giorno, se ti va.

– Davvero? – urlai prendendogli le mani fra le mie in una reazione così spontanea che perfino lui indietreggiò un istante per poi restituirmi un sorriso a trentadue denti.

Finalmente le cose sembravano andare un minimo per il verso giusto.

– Vieni, ti faccio fare un giro dei luoghi comuni più interessanti. Poi torneremo qua.

Rian camminava spensierato, con l'andatura di un bambino divertito. Lo seguii in silenzio. Salutava chiunque vedesse senza che nessuno gli rivolgesse la parola, non sapevo se per rispetto o per paura. Era così diverso, così fuoriposto rispetto tutti gli altri.

– Questa è la doccia. – disse indicando una grande stanza da cui fuoriusciva del vapore, qualcuno forse la stava usando. - Generalmente viene usata più dagli inservienti che dai membri dell'alleanza, come avrai visto ogni stanza ha al suo interno un bagno personale.

– Inservienti?

– Beh certo, credevi fossero i soldati a fare qualunque cosa qui?

– Questa invece è la mensa. – disse puntando un vasto spazio che racchiudeva decine e decine di lunghi tavoli. – Recati ogni giorno qui per il pranzo, dalle 12:00 alle 14:00, e per la cena che verrà servita dalle 19:00 alle 21:30. Ti avverto, non vedrai mai nessun componente della sfere alte; loro hanno i propri appartamenti privati. Ti accompagnerò in uno di essi quando stasera dovrai cenare insieme al tenente.
Ti consiglierei di usare il vestito rosso questa volta, io non lo farei arrabbiare. 

– E tu come fai a saperlo? 

– Sono amico di Bastian. 

Una volta tornati all'hangar, luogo dove avrei passato la maggior parte del mio tempo, mi avvicinai a quel modello semidistrutto. La proprietaria, seduta su uno sgabello vicino alla nave iniziò a sillabare velocemente frasi di cui non comprendevo il significato non appena mi vide avvicinarmi.

Aveva la pelle verde e le sclera degli occhi di un viola acceso. Rian al mio fianco, mi precedette e iniziò a snocciolare parole in risposta fino a che la l'aliena non alzò le braccia al cielo e si allontanò.

– Cosa le hai detto? – chiesi alzandomi la manica e allungandomi per prendere una chiave inglese. Qui c'è molto lavoro da fare.

– Ah, niente. Solo di lasciarti fare perché sapevi il fatto tuo. Qui non siamo tutti molto inclini alla diversità, soprattutto nei confronti delle nuove reclute umane. – disse roteando gli occhi.

– Grazie. Ora mi dirai che conosci anche le lingue e che le insegni alle nuove reclute? 

Lui rise. – Oh no, assolutamente no! – replicò scuotendo le mani mentre mi osservava lavorare con la testa china sul propulsore. – Quello era marziano, anche io sono nato su Marte, per questo lo conosco. Dovresti impararlo anche tu. Non tutti parlano ancora la lingua comune. –

– D'accordo. 

Allentai un bullone e poi un altro ancora.

Rian mi guardava ancora, curioso e come se avesse qualcosa da dire senza però riuscire a formulare la frase adatta. Feci finta di niente e continuai pulendo con uno straccetto gli ingranaggi sporchi di olio.

– So che stai lavorando, e che dovresti ancora lavorare; ma vorrei assolutamente mostrarti una cosa. Mi concederesti un po' del tuo tempo? – proruppe improvvisamente.

Cosa sarebbe potuto andare storto?

Acconsentii. Lui allora mi prese per il polso e mi trascinò in un'aerea retrostante dove c'erano le navi che stavano per partire in missione.

Spiccante per il suo rosso contro la monotonia del grigio delle navi dell'Alleanza, ammaccata, sporca di fuliggine ma pur sempre bellissima, c'era la mia Starlana.

– Oh mio dio! – urlai quasi con le lacrime agli occhi. – Ma come, ma cosa, io... Grazie! – urlai abbracciando il ragazzo che dopo alcuni secondi, incerto, ricambiò la stretta. Non fare quello sguardo confuso Rian, sono io in primis ad essere stupita per la mia infantile reazione. Ma di fatto andava bene così, lì la Starlena mi avrebbe sicuramente aiutata a non buttarmi giù. Le lanciai un'occhiata di traverso: le avrei dovuto fare un bel bagnetto.

Rian si staccò tenendomi per le spalle. – Non è me che devi ringraziare ma –

– Per l'amor del cielo, prendetevi una stanza! Non ne posso più di tutte queste moine. –

In piedi sopra al caccia più bello che avessi mai visto, con una mano sopra la fronte con fare teatrale c'era Bastian.

– Alzato dalla parte sbagliata del letto principessa? – esclamò Rian; soffocai una risata.

– Zitto idiota! 

– Che carino! Hai paura che ti rubi la ragazza. 

– Rian, se non ti tappi quella bocca ti tiro un calcio su per il –

– Ehi, ehi! Bastian! – disse Rian con fare offeso. – Sei di fronte ad una dolce donzella, non mi pare il caso di usare certi termini! – rise tenendosi la pancia con le mani.

– Come se mi interessassi di lei. – disse Bastian storcendo il naso. Non c'è bisogno di essere così sprezzanti, pensai.

Rian mi si avvicinò. – Lui è solo parole. Dice tanto così ma è stato lui di persona a tornare sulla Terra per recuperare la tua nave. –

Bastian era tornando indietro per fare un favore a me?

– Questo non dovevi dirlo! – tuonò Bastian scendendo a terra con un balzo felino e lanciandosi contro Rian che gli immobilizzò il braccio dietro la schiena con due semplici movimenti di mani.

– Lezione centodue. – dichiarò il ragazzo dai capelli blu chiudendo gli occhi con fare solenne.

– Mai attaccare alla cieca contro un avversario più abile. – concluse Bastian seccato, il volto schiacciato contro il pavimento polveroso.

– Un giorno insegnerò anche a te queste cose zuccherino. – disse facendomi l'occhiolino e lasciando il braccio di Bastian che si rialzò barcollando. I capelli color ardesia gli erano finiti sugli occhi.

– Che dire. – iniziò Brian. – Mi è piaciuto perdere un po' di tempo con voi piccolini, ma ora è il momento che il vostro superiore torni a lavorare! – concluse allontanandosi a passo spedito. – Anche io lavoro, eh! – gridò mettendosi le mani intorno alla bocca per aumentare il suono.

Bastian si sistemò i capelli all'indietro con una mano, aveva uno zigomo sporco di grigio.

– Idiota. – sussurrò.

– È sempre così? – azzardai a dire non aspettandomi esattamente una risposta. L'ultima volta che avevo provato a fare un minimo di conversazione con Bastian non era andata molto bene.

– Rian? – disse invece. – Sì, è sempre il solito. Ma non è uno stupido, è forte è intelligente... anche se non sembra.

– Me lo aspettavo... - conclusi guardando la sua figura allontanarsi.

– Tu devi partire eh? – chiesi a Bastian proprio quando stava per rientrare nel caccia. – Sei sicuro che quello arrivi fino a Callisto? 

– Non farti fregare dall'aspetto, vola che è una meraviglia. Un giorno potrei... no non importa. – Lasciò a metà la frase facendo in modo che le sue parola si disperdessero nell' aria. – Devo andare ora. Attenta a Xandem. – disse prima di voltarmi le spalle e allontanarsi velocemente.

Sola e in silenzio tornai a lavorare sul propulsore della FG887 riflettendo su che cosa il tenente mi avrebbe mai voluto dire.

Non sapevo dopo quante ore, la medesima sirena della mattina risuonò per indicare la fine della giornata lavorativa. Insieme alle persone che si trovavano nell'hangar, uscii per ritornare alla mia stanza.

Dopo una doccia veloce mi sistemai i capelli in una treccia laterale. Indossai l'abito rosso e feci un bel respiro prima di guardarmi allo specchio. Per la prima volta notai l'incredibile somiglianza con mia madre. Da lei ereditai molte delle mie caratteristiche fisiche e il rosso era il suo colore preferito. Sentii una fitta al cuore: probabilmente non l'avrei mai vista con indosso un abito così bello.

Quando aprii la porta Rian mi aspettava appoggiato allo stipite.

Non appena mi vide si raddrizzò. – Stai benissimo. – sorrise.

– Grazie. 

Mi porse il braccio. Glielo strinsi con la mano guantata di rosso. – Bastian mi ucciderebbe se solo potesse vedermi. – rise allegro. – Ti ha salutata? – chiese.

– Più o meno... - replicai pensando a quanto fosse stato strano quel pomeriggio.

– Il solito testardo. – convenne Rian.

Per l'occasione mi fu concesso di arrivare ai piano alti con l'ausilio dell'ascensore. Una volta aperte le estremità il ragazzo non si mosse.

– È meglio che Xandem non mi veda qua con te. – disse prima di salutarmi. Annuii.

Dopo qualche secondo passato ad orientarmi bussai incerta contro una porta di vetro smerigliato.

La voce profonda e adulta del tenente mi invitò ad entrare e così feci.

Quello che avevo visto la sera prima era il suo ufficio, solo in quel momento compresi che tutto il tredicesimo piano fosse costituito dai suoi "appartamenti".

Un uomo dall'aspetto anziano, senza emettere suono alcuno, mi accompagnò fino ad un'ampia stanza. Le pareti, di un rosso acceso, sembravano illuminarsi tramite la luce cangiante emessa dal fuoco nel caminetto a ridosso di una di esse. Le fiamme erano rosse, gialle, per poi sfumare sul verde e sul blu. Non erano reali.

Al centro, un tavolo per due era riccamente apparecchiato. Già seduto ad una delle due estremità c'era l'uomo – ancora una volta – vestito interamente dalla tenuta rossa che in quella situazione non faceva altro che ricordarmi il sangue. Sangue mio, di mia madre e di mio padre.

– Accomodati pure Lena. – disse rivolgendomi un sorriso affabile.

Dalla zona più in penombra dalla stanza un ragazzo dai capelli scuri e corti si avvicinò e mi prese la giacca che appese all'entrata. Gli sussurrai un grazie, ma questo continuò con i suoi movimenti fluidi come se non avessi proferito parola alcuna.

– Vino rosso? 

– No grazie.

– C'è solo questo.

Quando l'uomo schioccò le dita si avvicinò un'altra figura prima sommersa nell'ombra. Lei aveva i capelli lunghi e rossi raccolti in uno chignon elegante. Erano tutti vestiti nella stessa maniera e tutti erano caratterizzati da un'espressione vacua negli occhi.

– Sono felice che tu abbia deciso di utilizzare il vestito. Il rosso è il mio colore preferito.

Grazie, non si era capito.

– Se ti è sembrato un po' vecchio, - riprese – è perché prima aveva un'altra proprietaria. Una donna molto importante per me.

– Non vedo come questo possa concernere la nostra discussione. – azzardai infilando la forchetta in una pietanza sconosciuta che la ragazza dai capelli rossi ci aveva appena servito. Quella si era allontanata per tornare all'ombra dove non riuscivo a vederla.

– Per cortesia Lena, tutti quanti abbiamo bisogno di lasciarci andare ai ricordi qualche volta. – si pulì le labbra con il fazzoletto. – Volevo conoscerti personalmente, Lena. E se te lo stai chiedendo, no, non faccio una cena privata con ogni nuovo membro dell'alleanza. Sei un'eccezione, sei speciale e voglio che tu lo sappia.
Nelle tue vene scorre il sangue di una leggenda, di un fuoriclasse. Averti qui è come riassaporare un pezzo della mia giovinezza; riassaporare i miei anni all'Accademia.

– Mio padre era davvero così incredibile?

– Tuo padre? Oh sì, tuo padre, Jordan, era un grande; ma non era a lui che mi riferivo. Lauren, lei sì che era veramente fuori dal comune.

– Mia madre? – sussurrai strabiliata. – Credevo la conoscesse perché compagna di mio padre...

– Non ti è mai stato detto? Tua madre è la figlia del generale dell'Alleanza, ha lavorato qua per molto tempo.

Un colpo sembrò colpirmi la testa all'improvviso. Mia madre, all'alleanza? Mia madre lavorare per quei cani? Per quei bastardi assassini?

– Perché mi dite simili bugie, tenente.

– Oh piccola Lena, finiscila con quel "lei", dammi pure del tu, almeno in questi momenti così confidenziali. – schioccò le dita ed un nuovo ragazzo fuoriuscì dall'ombra e riempì i calici con lo stelo lungo di altro vino. Lo prese in mano e lo osservò fare avanti e indietro con piccoli movimenti del polso. – Tua madre, – riprese – Lauren, era una mia compagna di corso, un'amica. Jordan invece era uno dei nostri colleghi più grandi. Formavamo un trio molto carino. Avevamo le stesse ambizioni, le stesse idee e l'intelligenza per metterle in pratica. Purtroppo l'affiatamento terminò quando la cara Lauren rivelò di essere in dolce attesa. Lei e Jordan mi abbandonarono come si fa con uno straccio vecchio e si rifugiarono sulla Terra dove credevano non li avrei mai trovati.

– E perché avrebbero dovuto nascondersi da te? – chiesi incerta sentendo un'ansia montante dentro. Strinsi la forchetta con le dita sudate mentre la testa iniziava a dolermi.

– Ma perché mi avevano tradito Lena. E sai cosa si fa ai traditori? Li si annienta.

Mi alzai di scatto portandomi la mano alle labbra rovesciando i bicchieri in terra, si frantumarono come gocce d'acqua in un giorno di pioggia.

– Cosa vuole da me! – intimai a denti stretti. Respiravo affannosamente ed i bordi della stanza erano sempre più sfocati e confusi.

– Hai bevuto troppo vino mia cara. – rispose Xandem avvicinandosi e posandomi una mano sul braccio. – Lascia che ti riaccompagni in stanza. Devi stare bene, ho diversi progetti in serbo per te. 



Nuovo capitolo? Vorrai dire nuovo trauma per Lena, perché sì, sostanzialmente la povera Lena si trova ogni volta a dover far fronte a realtà che mai si sarebbe aspettata anche solo un mese prima. 

La nostra protagonista inizia la sua prima giornata di lavoro per l'Alleanza del Sole che odia profondamente. L'unico conoscente, Bastian, è lontano per una missione su Callisto. Si trova sola, impaurita e - come sempre - arrabbiata. 

Per fortuna di tutti quanti viene salvata dalle grinfie di quel pezzente di Brian da un soldato che ha il nome quasi uguale al suo (scusate la fantasia) cioè Rian. 

Non vedevo l'ora di farvelo conoscere perché personalmente adoro quel zuccherino di ragazzo. Sinceramente coccoloso e buon amico del nostro irremissibile Bastian. 

Ma mentre sembra che tutto stia andando per il verso giusto quella gran brava persona del tenente deve continuare a destabilizzare la psiche di Lena.

P.S. Quelle stelle gigantesche che vedete a fine capitolo sono il mio brutto tentativo di creare uno di quei divisori carini che hanno molte storie. Ho provato a ridimensionare il file in png ma in questa maniera, una volta pubblicata la parte, risultano tutte sgranate e non capisco perché... perciò perdonate l'obbrobrio. Proverò a tenerle per un po' ma se fan troppo schifo le toglierò :(

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