L'impresa (II)

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Eckart era rimasto in attesa.

Dopo il primo scatto di rabbia, che l'aveva portato a trascorrere più di una notte rintanato nelle viscere dell'arena, conscio del fatto che non sarebbe mai più potuto tornare in quel luogo che aveva sempre associato a casa sua, era subentrata una grossa tristezza. Aveva ripensato alla famiglia, ricordando i giochi fatti con i fratelli e gli abbracci dati alla piccola sorella, l'ultima dei Treue, dai grandi occhi azzurri e i capelli castani raccolti in trecce sempre spettinate; si era ricordato di come aveva calcato le strade di Centum Norr e i corridoi del palazzo reale, orgoglioso della sua casata e del fatto che fosse lui il maggiore, colui che le avrebbe dato la maggior gloria negli anni a venire.

Ora era tutto finito.

Se fosse tornato accettando di non partecipare all'impresa, sarebbe stato ricoperto dal disonore sia se il padre avesse deciso di rivelare le sue origini, sia se non l'avesse fatto: preferiva partire e morire davanti a un drago nel disperato tentativo di domarlo, piuttosto che vivere per gli anni a venire come un reietto, incapace di mostrarsi al mondo. Lui non era forte come Atlas e non sarebbe mai sopravvissuto a una cosa del genere.

Quando i maestri l'avevano acciuffato dal ventre dell'arena, nascosto in una delle tante sale riservate alla memoria di antichi e grandi cavalieri, gli avevano proibito di partire; gli avevano anche ordinato di tornare a casa e, davanti alle sue proteste, si erano decisi a rinchiuderlo in uno studiolo, dove avrebbe dovuto aspettare l'arrivo del padre. Eckart si era mostrato quindi mansueto e contrito il giusto, ma, nel momento in cui l'avevano lasciato solo, aveva scassinato la porta ed era tornato a nascondersi nelle viscere dell'arena. Solo dopo diversi giorni era riuscito a mettersi in contatto con Atlas, sorprendendolo mentre vagava tra i corridoi alla ricerca del fratello più piccolo.

"Atlas" aveva bisbigliato, nascosto tra le ombre create da un arco.

L'amico era sobbalzato e si era girato, raggiungendolo.

"Ma cosa... cosa è successo?" gli aveva chiesto preoccupato. "Dèi, a corte sembrano essere impazziti, tra tuo padre che non esce più di casa e il Consiglio che si rinchiude a deliberare per delle ore su questioni oscure. Perché ti stai nascondendo?"

"Non posso spiegartelo, non ora."

Atlas l'aveva guardato, mangiucchiandosi il labbro inferiore con aria nervosa.

"Ho intenzione di partire" aveva continuato, lanciando un'occhiata veloce al corridoio, sicuro di aver sentito dei passi in avvicinamento. "Vado a domare il mio drago. Se vuoi seguirmi, tra due giorni all'alba sarò sugli spalti."

Detto questo era scappato, tornando a nascondersi

Ora, seduto sui gradoni dell'arena, pregava gli dèi che Atlas avesse deciso di partire. I primi raggi del sole avevano illuminato quella che si preannunciava essere una fredda giornata primaverile, il cielo di un azzurro intenso sopra di lui, la sabbia rossa e compatta sotto. Quando l'amico comparve a testa bassa, con una sacca sulla schiena e una spada al fianco, soffocò a stento un grido di gioia, alzandosi di scatto.

"Vieni con me" gli disse Eckart, per poi infilarsi in un corridoio che si apriva vicino a dove era seduto.

Non gli servì girarsi per capire se l'amico l'avesse seguito o meno: sentiva dietro di sé lo scalpiccio dei suoi passi.

"Non potresti rallentare?" chiese Atlas, mentre intanto lui aveva imboccato l'ennesima svolta.

Continuò a camminare spedito fino a quando l'altro lo afferrò per il braccio con un grugnito, trattenendo quella che stava ormai diventando una corsa. "Perché così tanta fretta?" chiese, la fronte imperlata dal sudore.

Eckart provò a liberarsi dalla presa, ma Atlas lo trattenne.

"Non ci muoviamo da qui finché non mi spieghi cosa ti è preso."

I due ragazzi rimasero in silenzio a guardarsi. Eckart non poteva spiegargli tutto, non ora, altrimenti non sarebbero più riusciti a scappare, ma sapeva anche che, se non gli avesse detto nulla, l'amico non l'avrebbe lasciato procedere.

"Ora non posso."

Atlas continuò a guardarlo, gli occhi seri e preoccupati.

"Ti prego, non ora."

L'amico rimase in silenzio per qualche altro secondo. Alla fine, abbandonò la presa sul braccio e tornò a camminare lungo il corridoio, precedendolo in silenzio. Non disse neppure una parola quando raggiunsero le stalle, gli scomparti in pietra e la paglia che usciva da ogni angolo, e montarono sui cavalli che Eckart aveva preparato la notte precedente, troppo agitato per provare a dormire; cavalcarono in silenzio anche attraverso le strade acciottolate di Centrum Norr, dove i primi abitanti della città che spalancavano le imposte, e in mezzo alla pianura, che sarebbe stata immersa nella quiete più profonda se non fosse stato per il battere degli zoccoli sul terreno ancora gelato, dove spuntavano solo pochi ciuffi di primule, pari a piccole stelle di un giallo pallido nella distesa d'erba secca e spenta.

I ragazzi si fermarono solo quando il sole raggiunse lo zenit. Smontarono entrambi da cavallo e afferrarono le briglie, per poi procedere a piedi e sgranchirsi le gambe.

"Ora potresti raccontarmi cos'è accaduto."

Eckart si voltò verso l'amico, che aveva alzato il viso al cielo inspirando a pieni polmoni, gli occhi chiusi e le labbra piegate in un sorriso. Il giovane rimase in silenzio, non riuscendo a trovare le parole giuste per cominciare.

"O forse no" sospirò Atlas, il sorriso spentosi per far spazio a un'espressione preoccupata.

"È... è difficile." Eckart si torse le mani, lasciando vagare lo sguardo lungo la pianura che si stendeva davanti a loro. Si trovavano in mezzo al nulla.

"Più difficile che scappare da Cetrum Norr?"

Lui tornò a guardare l'amico, che lo squadrava con un sorrisetto a metà strada tra il divertito e l'infastidito. Con un gesto distratto, lasciò scorrere le dita sul ricamo delle insegne della casata dei Treue che ornavano il mantello, un drago rampante dorato inserito in una losanga dal campo a scacchi rosso e grigio.

"No... in un certo senso non è difficile" borbottò, calciando un sassolino. "Ho solo paura che tu decida di tornare indietro."

Atlas sollevò un sopracciglio e gli fece cenno di andare avanti.

"Mi è stato proibito di partire" disse, la bocca impastata e le parole che non volevano uscire. "Non sono un Treue."

L'amico rimase in silenzio. Se non fosse stato per il tono con cui aveva pronunciato l'ultima frase, Atlas sarebbe scoppiato a ridere, certo che l'altro gli stesse giocando un brutto tiro; ma le poche parole erano scivolate fuori dalla bocca dell'altro a fatica.

"Non guardarmi così" sussurrò Eckart. "Non mi sto burlando di te. Quella che ritenevo essere la mia famiglia non è altro che una massa di persone con cui non ho alcun legame di sangue e mi ha tenuto con sé per pietà. Non sono un Treue, e non importa quanto io sia certo di avere ereditato il dono: per loro non sarò mai in grado di domare un drago."

Atlas aggrottò le sopracciglia, socchiudendo appena gli occhi. "Qual è la tua vera famiglia?" chiese, smettendo l'inutile ricerca di quali fossero le parole giuste da pronunciare. Sapeva che a Eckart non servivano vuote formule di dispiacere o comprensione.

"Un nobile morto mentre tentava di domare il suo drago. Non so il nome, né mi interessa conoscerlo."

Entrambi rimasero in silenzio, i cavalli vicino a loro che brucavano l'erba e il vento che sibilava lungo la pianura, facendo ondeggiare gli steli come un verde mare in tempesta.

"Se desideri tornare a Centrum Norr, fai pure" concluse Eckart, avvicinandosi all'animale ed estraendo dalla saccoccia il misero pranzo, composto da un pezzo di carne secca e una mela. "Non posso trattenerti dal farlo."

Atlas si avvicinò e l'afferrò per le spalle, costringendolo a guardarlo negli occhi. "Perché dovrei tornare indietro?" disse, sorridendo appena. "Non mi interessa che tu non sia un Treue: non potrei mai abbandonarti."

Fu come se il nodo d'ansia che si era bloccato nel petto, all'altezza della bocca dello stomaco, si fosse sciolto sotto il tocco abile di un ladro, lasciandolo respirare a pieni polmoni. Per un attimo, aveva creduto che sarebbe rimasto davvero solo e abbandonato da tutti.

"Grazie" mormorò, stringendo anche lui una spalla all'amico. "Grazie."

L'altro scrollò la testa, quasi a dire che non aveva fatto nulla di particolare, e poi gli sfilò di mano la mela, dandogli un morso e tornando verso il cavallo.

"Buona" disse, montando sull'animale. "Dove lei hai rubate?"

Lui ridacchiò. "Erano state lasciate per i cavalli."

"Questi animali mangiano roba migliore di quella che mi viene servita a pranzo."

A Eckart, che nel mentre era montato di nuovo a cavallo, non sfuggì il velo di tristezza che per un attimo gli aveva coperto la voce.

"Andiamo?" chiese, e l'amico rispose con un cenno affermativo.

Spronarono i cavalli e ripartirono.

I primi giorni di viaggio Eckart aveva temuto che il Consiglio avrebbe mandato loro incontro un cavaliere, ma nessun drago aveva oscurato il sole durante il cammino. All'inizio si era stupito che nessuno li avesse inseguiti, ma col passare del tempo si era reso conto che era logico che ciò non fosse accaduto: perché mai qualcuno avrebbe dovuto curarsi di rincorrere un bastardo e l'erede di una casata in rovina? Nessuno credeva sarebbero mai riusciti a portare a termine l'impresa, quindi non era necessario sprecare forze per riportarli indietro.

Proprio per questo motivo non tirò alcun sospiro di sollievo quando raggiunsero il piccolo villaggio di pescatori all'estremo settentrione, dove avrebbero dovuto trovare qualcuno disposto a traghettarli fino a una delle isole vicine. Chiamarlo villaggio, in realtà, era più un complimento che altro: sette case, un'osteria e altrettante barche costituivano la misera visione che si parò davanti ai loro occhi quando lo raggiunsero, trottando sulla strada fangosa che spaccava in due l'agglomerato.

Eckart rimase fermo per qualche minuto a osservare prima il mare, che si apriva davanti a lui come un blocco nero di schiuma ribollente, il vento che gli schiaffeggiava il viso, e poi l'insegna dell'osteria, la quale dondolava su un braccio metallico arrugginito e reso bianco dalla salsedine.

Al drago affamato.

"Entriamo?" gli chiese Atlas, nonostante non avessero alcuna alternativa.

Il giovane annuì e spalancò la porta, il legno umido e marcio che premette sulle dita, ed entrò nel locale, in cui erano presenti solo un paio di uomini, seduti al bancone e intenti a giocare a carte con l'oste. Non si girarono nemmeno per vedere chi fosse, ed Eckart rimase immobile davanti alla porta, Atlas ritto in piedi dietro di lui.

"Se siete in cerca di un passaggio, non lo troverete" borbottò l'oste, alzando lo sguardo acquoso sui nuovi arrivati, per poi gettare le carte davanti a lui. Tre assi e una regina di draghi. "Se siete qui per far altro... Non saprei. Qui non viene mai nessuno per far altro."

Eckart si avvicinò al bancone, le suole degli stivali che ticchettavano sul legno del pavimento. "Perché?" chiese, sedendosi vicino agli altri avventori. Atlas lo seguì dopo un attimo di esitazione, chiudendo la porta.

"Il mare è cattivo, i draghi rabbiosi" rispose l'uomo sbrigativo, abbandonando il gioco per trafficare con qualcosa sotto il bancone.

Eckart fece una smorfia di disappunto. "Ma noi dobbiamo raggiungere le isole."

L'uomo alzò le spalle, per poi servire dei boccali di birra agli avventori che, nel frattempo, seguivano la discussione incuriositi, bisbigliando talvolta qualcosa l'uno nell'orecchio dell'altro.

"Buon per voi." L'oste si grattò le basette bianche che incorniciavano il viso rugoso. "Noi non dobbiamo raggiungerle."

Eckart stava per ribattere ancora una volta, pronto a spiegare quanto fosse importante per loro sbarcare il prima possibile su un'isola, una qualsiasi, ma Atlas lo interruppe, afferrandogli la manica della casacca e avvicinandolo a sé.

"Se non vogliono accompagnarci, la tua parlantina servirà a poco" gli sussurrò nell'orecchio.

Eckart tornò a guardare l'oste, che li scrutava con curiosità.

"Vorremmo mangiare qualcosa, allora. O ci è impedito anche questo?" chiese tagliente, cercando di non pensare a quanto la situazione fosse assurda. Sperduti nel mezzo del nulla e con nessuno disposto ad aiutarli, nemmeno coloro che dovevano farlo.

L'uomo accennò un sorriso e sparì attraverso una porta alle sue spalle, lasciandoli soli con i due altri uomini.

"Venite da Centrum Norr?" chiese quello seduto vicino al giovane, aprendosi in un sorriso sdentato che avrebbe dovuto solo sembrare rassicurante, ma che, unito alle cicatrici che solcavano il viso giallastro, risultava grottesco.

Eckart annuì, strofinandosi il naso con la mano.

"Solo chi viene dalla capitale è così pazzo da voler raggiungere le isole" aggiunse l'uomo, continuando a sorridere. "Nessuno ci ha avvertito del vostro arrivo."

Al giovane sembrò che il terreno gli sprofondasse sotto i piedi. Non si erano premurati di seguirli non perché non erano interessati alla loro sorte, ma perché sapevano che nessuno avrebbe mai voluto accompagnarli; solo una direttiva del Consiglio avrebbe spinto gli uomini a prendere il mare per raggiungere le isole. I ragionamenti di Eckart, però, furono interrotti dalla voce di Atlas, sicura e senza alcuna sfumatura di timore.

"In che senso non vi hanno avvertito?"

L'uomo davanti a lui alzò un sopracciglio, mentre Eckart, timoroso di tradirsi, osservò con aria annoiata l'ambiente.

"Non siamo stati avvertiti" ripeté l'avventore, aggrottando la fronte come per cercare di ricordarsi qualcosa.

Atlas ridacchiò, tornando alla carica. "Ma non è possibile."

"Sarebbe difficile dimenticarsi un ordine del Consiglio" replicò l'uomo, per poi voltarsi verso l'oste, che era comparso dalla porta tenendo in mano due piatti fumanti. "Nessun cavaliere è arrivato negli scorsi giorni, vero?"

Il vecchio annuì, posizionando davanti ai giovani delle scodelle in cui galleggiavano dei pezzi di pesce e pane raffermo, nonché delle erbe dall'odore sconosciuto.

"E io vi ripeto che ciò non è possibile" replicò Atlas con fare fermo ma affabile. "Non avete ancora riconosciuto chi avete davanti?"

I tre uomini si guardarono l'un l'altro, scuotendo la testa.

"Costui è il primogenito della casata dei Treue, figlio dell'attuale consigliere del re. Le insegne che porta sul mantello parlano chiaro" continuò solenne il ragazzo, indicando il drago dorato ben evidente sul petto dell'amico. "Dovrebbe esservi ovvio il motivo della nostra perplessità davanti alle vostre affermazioni."

L'oste spalancò gli occhi e aprì la bocca per ribattere, ma non riuscì a trovare alcuna parola, rimanendo quindi fermo a boccheggiare come un pesce appena tirato fuor d'acqua. I due avventori, invece, si scambiarono uno sguardo preoccupato, sbiancando.

Atlas, intanto, intinse il cucchiaio nel piatto e prese a mangiare con tranquillità; Eckart lo imitò subito, conscio che, se si fosse soffermato ancora per qualche attimo sui volti degli altri, sarebbe scoppiato a ridere loro in faccia.

"Ottima la zuppa, vero?" chiese all'amico quando finì di mangiare, gli uomini che ancora si squadravano l'un l'altro, senza sapere cosa fare.

"Concordo" confermò Atlas, per poi tornare a rivolgersi all'oste. "Quindi? Siete davvero così certi che nessuno vi abbia informato del nostro arrivo?"

L'uomo afferrò entrambi i piatti. "Potrebbero esserci stati dei problemi, in effetti..."

"È vero" affermò l'avventore che fino a quel momento era rimasto in silenzio, facendo udire la sua voce profonda. "L'ultimo cavaliere venuto fin qui portava dei messaggi, ma potrebbe averne persi alcuni dopo essere caduto in acqua."

I due ragazzi guardarono il gruppo con aria perplessa.

"Aveva alzato un po' il gomito" si affrettò a specificare l'oste. "Per fortuna Ahti si trovava con lui, altrimenti non credo sarebbe riuscito a tornare a Centrum Norr."

"Ahti?" chiese Eckart, aggrottando le sopracciglia.

L'avventore più silenzioso si alzò, avvicinandosi a loro e inchinandosi. "È il mio nome, mio signore."

"Sareste disposto ad accompagnarci su un'isola?"

L'uomo alzò lo sguardo, incrociando i suoi occhi chiari con quelli grigi del ragazzo. La pelle abbronzata del volto si arricciò in seguito a un sorriso composto da pochi denti.

"Certo, mio signore. Per un Treue questo e altro."

L'isola, da lontano, era parsa ad Eckart come tutte le altre. Brulla, con pochi alberi spogli che svettavano verso il cielo, stagliandosi sopra un mare scuro che sballottolava la barca su cui si trovavano quasi fosse un piccolo guscio di noce; si era chiesto come fosse possibile che dei draghi, creature definite dalla tradizione come sagge, avessero eletto a loro dimora un luogo simile, dove sembrava esente ogni altra forma di vita.

"Dovrete fare in fretta: vi aspetterò solo fino al calare del sole" urlò Ahti, sovrastando l'ululare del vento e avvicinando il più possibile la piccola barca alla costa, un ammasso di sabbia nera che scivolava nel gruppo di alberi spogli che Eckart aveva visto da lontano. Pini dal tronco scuro e i rami secchi, gli aghi di un verde cupo.

Il marinaio aveva nel frattempo ordinato ad Altas di buttare l'ancora, per poi avvicinarsi alla vela triangolare e ammainarla. Quando la barca si stabilizzò, Ahti si avvicinò alla piccola scialuppa legata al fianco destro.

"Dobbiamo raggiungere l'isola con quella?" chiese Eckart allibito, osservando con gli occhi spalancati le condizioni del piccolo scafo sollevato appena sopra il pelo dell'acqua, al cui fondo erano attaccate alghe e piccoli molluschi.

"Ovvio." L'uomo afferrò i due remi per guardarli con attenzione. Soddisfatto delle loro condizioni, li allungò ad Atlas, che a sua volta li afferrò titubante, cercando di capire come mai li stesse affidando proprio a lui.

"Mai verrete con noi?" chiese Eckart, lanciando un'occhiata preoccupata al mare. Le onde s'infrangevano sulla costa con violenza, battendola con scrosci ripetuti.

"No" rispose l'uomo, le labbra secche strette in una linea dura. "Devo rimanere a badare alla barca. Cercate solo di non sfasciare la scialuppa nel tentativo di approdare."

Senza dar loro tempo di ribattere, fece segno di calarsi nello scafo. Eckart saltò dentro per primo, maledicendo il cattivo tempo che faceva oscillare la scialuppa, seguito da Atlas, che si lasciò cadere all'interno con poca grazia.

"Se non riuscissimo a farcela prima del tramonto?" chiese Eckart al marinaio, che intanto si stava preparando a calare la barchetta.

Ahti non diede loro alcuna riposta, abbandonandoli alla furia delle onde.

Atlas iniziò subito a remare, cercando di contrastare la corrente che tentava di spingerli verso il largo, mentre Eckart muoveva il timone, nel tentativo di farli procedere dritti. Gli schizzi di spuma sollevati dal movimento della barca colpivano loro la faccia e gli abiti, infradiciandoli.

"Che qualcuno ci aiuti" pensò Eckart, mentre i cavalloni li trascinavano in avanti, portandoli verso la spiaggia nera.

L'impatto fu inevitabile, ma non distruttivo come avevano temuto: la scialuppa coprì la poca distanza che li separava dall'isola trasportata dalle onde che si abbattevano sul bagnasciuga, senza però schiantarsi; al contrario, quando il fondale risultò essere troppo basso, si incagliò e li costrinse a calarsi in acqua per spingerla fino a riva.

Fermata la scialuppa, i due ragazzi si buttarono a terra, esausti.

"Almeno torneremo a Centrum Norr a cavallo di un drago" borbottò Altas, tirandosi su e passando una mano tra i capelli biondi umidi, così da togliere la sabbia che si era attaccata.

Eckart annuì, per poi alzarsi e provare a scuotere via tutti i fastidiosi granelli; visto che gli abiti risultavano umidi, se non addirittura fradici come nel caso dei calzoni, i suoi tentativi erano del tutto inutili.

"Oh, maledizione" sibilò tra i denti, avviandosi verso il bosco. "Andiamo."

Atlas gli corse dietro, sguainando la spada. La pineta si apriva davanti a loro, talmente silenziosa da sembrare morta: alcuni alberi, dai tronchi neri e i rami spezzati, svettavano verso il cielo affiancati da compagni che parevano essere ancora vivi solo per miracolo, visto quanti pochi aghi puntellavano la corteccia. Anche il terriccio su cui camminavano era scuro, molle, senza che un filo d'erba vi crescesse sopra; solo qualche rovo spezzava la monotonia del paesaggio.

"Come possono dei draghi vivere in un luogo come questo?" bisbigliò Atlas, che procedeva tra i pini con passi leggeri, cercando di fare il minimo rumore.

"Non lo so."

"È tutto così... così morto" continuò l'altro, la voce che gli tremava appena a causa della paura e la spada sempre sguainata, pronta a calare contro qualsiasi possibile minaccia.

"Hai ragione" bisbigliò, per poi fermarsi all'improvviso e voltarsi verso l'amico, i muscoli tesi. Questo fece per aprire bocca, ma Eckart si portò un dito alle labbra: sentiva, poco lontano, un rumore sommesso, come di un russare. In un primo momento l'aveva associato alla risacca delle onde, che ancora riusciva a sentire in lontananza, ma uno sbuffo più forte degli altri l'aveva messo sugli attenti.

Fece cenno con la mano ad Atlas di seguirlo, avvicinandosi a un folto cespuglio di sterpi che si intrecciava tra i tronchi di due pini, ostruendo la visuale. Eckart si aprì un passaggio nel mezzo, ignorando i graffi che gli procuravano le spine, e si fermò solo quando giunse dall'altra parte, il respiro mozzato. Davanti a lui, accoccolato nel mezzo di una piccola radura dall'erba secca e gialla, stava un drago: il muso allungato, in cui due grosse nari si dilatavano ritmicamente, era coperto da tante squame di un azzurro cupo, tendente al grigio nella zona vicino alle due corna che sormontavano il capo, di un nero lucido e ricurve nella porzione terminale, dove si andava a disegnare una sorta di grosso uncino. Il dorso, su cui le squame creavano una delicata membrana azzurrina, si abbassava e alzava, scandendo il tempo; la lunga coda, infine, era arrotolata lungo il corpo, nascondendo le ali chiuse.

"Oh, dèi..." pensò Eckart, incapace di muovere un muscolo. Sentiva, proprio dietro di lui, il respiro pesante dell'amico, anch'esso congelato dal terrore.

Eckart fece scivolare la gamba destra all'indietro, cercando di guadagnare la magra protezione offertagli dal cespuglio, ma si bloccò di nuovo nel sentire provenire, alla sua sinistra, un nuovo fruscio. Qualcosa si stava avvicinando alla radura.

Udì Atlas borbottare un "Miei dèi, non un altro drago", il tono che aveva assunto una sfumatura disperata. Immaginava alla perfezione l'espressione dell'amico, le pupille dilatate dal terrore e il corpo tremante.

Eckart spalancò gli occhi, guardando fare il suo ingresso nella radura un'altra creatura.

"Almeno non è un drago" pensò deglutendo, mentre quello che riconobbe essere un basilisco scivolava con misurata lentezza verso l'altro animale ancora dormiente.

Le scaglie nere e lucide, il muso allungato da cui, di tanto in tanto, spuntava fuori una lingua biforcuta, gli occhi gialli e il corpo così lungo da sembrare quasi infinito, spaventarono Eckart più di quanto avesse fatto il drago. Per fortuna, però, il basilisco sembrava essere più interessato all'animale verso cui stava scivolando.

Fu un attimo.

Eckart non udì più nulla.

Sull'isola calò un silenzio completo: non sentiva più l'ansimare terrorizzato di Atlas, né i sibili del basilisco in avvicinamento, e neppure i fischi del vento. Riusciva solo a concentrarsi sul grande occhio azzurro, glaciale, che si era spalancato e che lo osservava con attenzione, la pupilla allungata di un nero profondo.

Il drago si era svegliato.

Il resto accadde così in fretta che il giovane si chiese se il contatto intimo sentito fosse stato solo il frutto della sua immaginazione. Il drago si girò di scatto, lanciando una fiammata azzurrina verso l'altro mostro, che scartò a sinistra senza riuscire a evitarla del tutto; un intenso odore di carne bruciata raggiunse le narici di Eckart, così come lo strido disperato del basilisco s'infilò nelle orecchie, squassandole. Il drago, nel frattempo, si era alzato, mostrando tutta la sua mole, e si era avvicinato all'altra creatura che ci contorceva, continuando a stridere. Bastò solo un'altra fiammata, questa volta bianca, per concludere le sofferenze del mostro, e un morso per far sparire la testa dentro le fauci azzurre del rettile.

Eckart udì lo scricchiolio delle ossa che venivano triturate.

Quando il drago tornò a voltarsi verso di lui, il muso rosso del sangue del basilisco e gli occhi ancor più gelidi, la paura prese il sopravvento. Le gambe scattarono in automatico, ripercorrendo la strada fatta all'andata, seguite a poca distanza da quelle dell'amico. Terrorizzati, corsero nella foresta a lungo, senza mai fermarsi; sentivano solo i loro respiri affannati e il rombare del sangue pompato nelle gambe stanche. Sarebbero andati avanti così fino alla spiaggia, se solo Eckart non fosse inciampato in una radice, rovinando a terra e graffiandosi il viso.

Atlas si fermò e tornò indietro per aiutarlo ad alzarsi, quando un possente ruggito lo congelò sul posto. Entrambi spostarono lo sguardo in avanti, la spiaggia a pochi passi dove il drago era appena atterrato, chiudendo le ali dalla membrana sottile su cui s'intrecciavano in arabeschi il grigio e l'azzurro.

"Scappa" disse ad Atlas, cercando di alzarsi. Tuttavia, la caviglia gli pulsava e un'improvvisa fitta lo costrinse a rimanere a terra.

La risposta dell'amico lo colpì come un pugno. "No."

Con lentezza, vide Atlas mettersi davanti a lui e sguainare la spada contro il mostro, che li osservava con il muso inclinato di lato. Per un attimo, Eckart si convinse che il drago li avrebbe lasciati in pace.

Solo un attimo.

Poi il mostro si avvicinò, sradicando al suo passaggio un pino, e raggiunse i due ragazzi, mostrando le zanne in un sogghigno divertito; lanciò in aria Atlas con un colpo di coda, facendolo volare contro il tronco sradicato di un albero vicino.

Eckart seguì la traiettoria del corpo dell'amico con il fiato sospeso. Il rumore secco, di carne lacerata, che seguì l'impatto non lasciò alcun dubbio su ciò che era appena successo: dal ventre di Atlas, riverso sul tronco, usciva un ramo intriso di sangue e interiora.

Incurante del drago, che osservava la scena con una curiosità morbosa, Eckart si trascinò verso l'amico, puntellandosi sui gomiti. Lo raggiunse a fatica, pregando gli dèi di permettergli almeno di arrivare da lui, non pensando né alle fitte di dolore, né al fatto che il drago avrebbe potuto porre fine alla sua vita in qualsiasi istante. Erano alla sua mercé.

"Atlas..." sussurrò, afferrandogli la testa con dolcezza e guardandolo negli occhi coperti da una patina di lacrime.

"Brutta storia, eh?" balbettò l'altro, un grumo di sangue che uscì dalla bocca.

Furono le sue ultime parole.

Gli occhi verdi persero ogni luce ed Eckart rimase lì, fermo, con le lacrime che gli solcavano il volto. Un improvviso coro di voci gli rimbombò in testa, costringendolo a girarsi verso la creatura, che ancora li osservava.

"Perché piangi, umano?"

Il giovane si pulì la faccia con una manica della casacca, sostenendo lo sguardo del drago. "Perché l'hai ucciso?" chiese laconico, la bocca secca.

"Non avrebbe dovuto minacciarmi."

"Sei il degno drago di un bastardo" disse, per poi girarsi verso l'amico. Gli chiuse gli occhi con un gesto delicato e poi gli posò un bacio sulla fronte, quasi come gli stesse augurando di fare un buon sonno.

"Bastardo?" chiesero le voci, tonalità diverse che si intrecciavano tra loro in perfetta armonia.

Eckart annuì, incapace di pensare ad altro che all'amico. Per colpa sua, Atlas era morto.

Non esisteva più.

Si lasciò scivolare con la schiena sul tronco, fianco a fianco dell'amico, gli occhi chiusi e il desiderio profondo di morire che l'aveva afferrato.

"Debole, semmai" continuarono le voci nella sua testa, il drago che sbuffava irritato. "Alzati e vieni da me: ti porto via."

Il ragazzo guardò l'animale con scarso interesse. Andarsene? Avrebbe potuto viaggiare per secoli, coprendo miglia e miglia per raggiungere luoghi nascosti e mai esplorati, ma niente avrebbe cambiato la realtà: per colpa sua, Atlas era morto.

Il drago si avvicinò, facendo crollare gli alberi più deboli; strofinò il muso contro il corpo del ragazzo, costringendolo ad alzare lo sguardo.

"Ho ucciso Atlas" sussurrò il giovane, perdendosi negli occhi glaciali dell'altro. "Non c'è alcun luogo in cui possa vivere."

"Falso" disse il drago. "C'è l'Oltre."

Eckart sospirò, per poi alzare gli occhi verso il cielo cupo da cui cadevano delle deboli gocce di pioggia, che picchiettavano sul terreno attorno a loro.

"L'Oltre?" chiese, una sfumatura divertita nella voce. Quella terra spoglia e barbara sarebbe riuscita a cancellare la sua colpa?

"L'Oltre e la solitudine del cielo" conclusero le voci, il drago che faceva saettare la coda avanti e indietro, frustando i tronchi degli alberi.

Eckart guardò le nuvole, cumuli neri che si rincorrevano in mezzo al cielo.

"Meravigliosa straziante bellezza del creato divino" mormorarono le voci, solleticandogli la mente. "Te la mostrerò."

Il giovane tornò a osservare l'animale, perdendosi nelle pozze gelide che erano i suoi occhi. Poteva l'immensità del cielo salvarlo?

"E sia."

Angolo autrice:

Hola a tutt*!

Altra (mastodontica) storia, altro contest a pacchetti di Efp - The Dragon's Riders Contest, per essere specifici, e l'anno era il 2018. In questo caso mi era stato chiesto di scrivere una storia riguardante dei cavalieri dei draghi in cui, oltretutto, dovevano essere inseriti degli specifici elementi pescati a sorte:

- impresa

- basilisco

- il protagonista deve essere stato adottato

Nonostante mi renda conto che forse il finale è un po' affrettato, è una storia che mi piace. L'ambientazione al nord, il salto nel passato rispetto alla timeline ufficiale di Hydrus, il personaggio di Eckart e quello di Atlas, il collegamento a certe backstory che capisco solo io... sono tutti aspetti che me la fanno apprezzare. Mi ricordo, oltretutto, che mi ero divertita tanto a scriverla, e forse anche per questo la revisione che ho fatto non è stata poi così pesante.

In ogni caso, spero come al solito che vi sia piaciuta e sono aperta a qualsiasi tipo di commento - anche i pomodori vanno bene.

Rebecca

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