Re (I)

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Esiste un'unica grande città nella regione di Hydrus.

Al nord i dragonieri avrebbero detto che le loro rovine erano i resti della più imponente metropoli mai costruita, ma così facendo sarebbero solo apparsi sciocchi. Cain, nella sua piccola penisola, avrebbe dichiarato volentieri che Saat fosse la più maestosa, ma alla fine si sarebbe accontentato di darle il prestigioso attributo di cosmopolita. Everett, invece, avrebbe ordinato che Feluss era l'unica degna di quel titolo e tutti l'avrebbero ascoltato.

Tuttavia, se solo avessero osato guardare verso i deserti del meridione, avrebbero scoperto che la città più grande del mondo conosciuto era avvolta da sabbie dorate e illuminata dal sole a picco; la sua grandezza, però, non stava nei palazzi costruiti da un'antica civiltà estinta, opulenti e diroccati, bensì nei bassifondi, nei quartieri sotterranei nascosti agli occhi di tutti, regno di mercenari e puttane.

Fahad non aveva capito per quale motivo il Governatore avesse scelto proprio lui, tra tutti i consiglieri, per andare là sotto; gli aveva detto che lo considerava il più sveglio tra i suoi uomini, l'unico in grado di capire chi tra la pletora di assassini avesse le perfette qualità per ciò che avevano in mente, ma l'amara verità era probabilmente differente.

"Sono il più sacrificabile" pensò ancora una volta, tastando la spada lunga datagli. L'aveva nascosta sotto il cumulo di stracci che era stato costretto a indossare per confondersi tra il volgo, ma non credeva sarebbe mai stato in grado di usarla in caso di pericolo; lui era uno studioso, un uomo di corte, non un maledetto mercenario.

"Spero vorrà almeno premiarmi."

Confortato da un simile pensiero, Fahad procedette lungo l'ennesimo vicolo sudicio e mal illuminato, dove vide sfrecciare un paio ratti grandi quanto un cane che lo fecero squittire per lo spavento. Si portò una mano al cuore e, ripresosi dalla sorpresa, continuò la marcia, sorpassando un uomo abbandonato a terra, con gli occhi socchiusi e una mano stretta attorno una pipa.

"Un uomo dei piani alti che si avventura da solo qua sotto?" chiese quello appena gli passò di fianco, la voce arrochita, prima di scoppiare a ridere. "I bordelli sono dall'altra parte."

Senza neanche voltarsi, Fahad si lanciò in una corsa a perdifiato, ignorando le nuove parole con cui l'uomo aveva preso a chiamarlo. Preso dalla foga, neppure si rese conto di essere entrato in un nuovo ambiente fino a quando non andò a sbattere contro la schiena di una donna che, in tutta risposta, gli diede una gomitata nelle costole che lo fece cadere a terra.

"Io... mi scusi..." balbettò, ma l'altra non lo degnò di uno sguardo, troppo presa a seguire qualsiasi cosa stesse accadendo davanti a lei.

Incuriosito, Fahad si fece largo tra la folla, desideroso di scoprire a cosa fossero dovute le urla animalesche che provenivano sia dagli spettatori, sia da ciò che stavano guardando. Furono necessari un paio di spintoni e diverse pestate ai piedi, ma alla fine riuscì a raggiungere una balaustra dietro la quale si apriva una fossa; dentro, un cirment aveva messo a fuoco un'arpia delle pianure, il cui volto semi-umano era piegato in un dolore incontenibile e grida che squarciavano l'aria. Ingoiando un groppo di saliva, l'uomo si allontanò dal bordo e prese a vagare tra la moltitudine eterogenea che riempiva l'ambiente, raggruppandosi presso altre fosse illuminate da torce che, però, non riuscivano a penetrare l'umida oscurità del soffitto che sovrastava l'ambiente.

"È l'arena" pensò, ricordando quante volte il Governatore si era lamentato dell'attività illegale che gli brulicava sotto i piedi, senza tuttavia fare alcunché per contenerla. Anche i nobili, infatti, amavano i combattimenti tra i mercenari e le bestie, e si mormorava che alcuni tra i figli del Governatore avessero preso parte a quelle pratiche barbare.

Fahad vagò per qualche minuto tra le fosse, trattenendo talvolta conati di vomito o urla di sgomento, e gli ci volle poco per comprendere che non ci fosse un combattente adatto: molti avevano un coraggio inoppugnabile, certo, ma nessuno mostrava la finezza che, invece, avrebbe dovuto avere il loro uomo; caricavano le bestie a testa bassa, storditi dal sangue e da chissà quali altre sostanze che gli scorrevano nelle vene, quasi fossero loro stessi dei mostri.

Il consigliere si era fermato a guardare scoraggiato un combattimento tra un coral e un orso quando notò, seduto su uno scranno rialzato coi gomiti piantati sulle gambe muscolose, un uomo intento a discutere con alcuni spettatori.

"Cosa posso farci se entrambi i combattenti sono morti?" chiese quello, con tono infastidito. "Tenete i vostri soldi e sloggiate."

"Altrimenti cosa farai?" urlò uno tra la folla.

"Vi uccido uno per uno."

Alcuni tra gli uomini si zittirono, ma lo stesso contestatore di prima, affiancato da un paio di amici, si avvicinò allo scranno di un paio di passi, sordo alla minaccia. "Ucciderci?" disse, incrociando le braccia al petto. "Ma se nessuno ti ha mai visto combattere."

L'uomo che Fahad aveva ormai capito essere il re delle fosse si alzò e si avvicinò a passi lenti al sovvertitore, un cipiglio a incupirgli il volto squadrato. "Non combatto contro gli ubriachi" disse, mentre altri tra gli spettatori si accostavano incuriositi. "Tuttavia, ti permetto di scegliere un campione. Se vincerai, avrai salva la vita e qualche moneta da spendere, ma, se sarò io a trionfare, pregherai di non essere mai nato."

Il contestatore lo squadrò dall'alto in basso, ostentando una sicurezza che, però, era tradita dal tremare delle mani, per poi annuire, scatenando un'ovazione da parte della folla che ormai li attorniava – tutti volevano vedere combattere il re. Fahad seguì la fiumana fino alla fossa più vicina, dentro la quale l'uomo si era calato tramite una corda; nel frattempo, l'ubriaco si era diretto vicino alle gabbie, sempre scortato dai compagni, e aveva osservato con attenzione gli occupanti, incurante degli schiocchi delle fauci e dei ringhi che si alzavano al suo passaggio.

"Questo!" disse a un gladiatore, che fece segno a un paio di schiavi di legare la gabbia.

Fahad la seguì con un brivido mentre veniva sollevata. Il consigliere non aveva mai visto un basilisco, ma poteva immaginare quanto una simile bestia potesse essere temibile: lungo almeno come quattro uomini, continuava a far scattare le fauci verso le sbarre, quasi fosse consapevole della sorte che l'attendeva, e arrotolava la coda attorno al corpo ingombrante, coperto di squame di un nero profondo e lucido.

"Proprio lui dovevi scegliere?" chiese il re, guardando la gabbia che veniva calata. "Volevo metterti a giocare con lui finita la lotta."

Gli spettatori risero e Fahad si protese in avanti, mentre il combattente estraeva una spada ricurva dal fodero e faceva qualche passo indietro, il corpo proteso in avanti per studiare l'avversario che, lento, scivolò fuori dalla gabbia aperta. Il consigliere rimase immobile, sordo alle urla degli spettatori e alle scommesse che venivano lanciate, un brivido di eccitazione a corrergli sulla schiena: era il suo uomo, non c'erano dubbi. Si muoveva cauto, studiava ed era studiato dal mostro, schivandone gli scatti accompagnati da morsi, e attendeva. Solo quando il basilisco tentò un nuovo affondo si fece avanti, accecandolo con un colpo che lo fece esplodere in un sibilare allarmato, quasi singhiozzante, per poi procedere a tagliargli la testa; furono necessari più colpi per riuscire a spezzare la spina dorsale del basilisco che si contorceva sul pavimento della fossa, e a ognuno di quelli sprizzava nuovo sangue che gli bagnava i vestiti e la pelle.

Solo quando il mostro e gli spettatori si furono acquietati, il re alzò lo sguardo sul dissidente. "Buttatelo nella gabbia del leone" ordinò con voce gelida. "Dovrebbe avere abbastanza fame."

Due gladiatori furono subito sull'ubriaco che, pallido e dalle gambe tremanti, neppure tentò la fuga e fu trascinato via tra gli incitamenti della folla, che ne seguì il percorso in una lugubre processione di morte. Solo Fahad rimase nei pressi della fossa dalla quale, sempre grazie a una corda, il re stava uscendo senza sforzi.

"Perdonatemi..." provò a dire, avvicinandosi.

L'altro girò il capo verso di lui con uno scatto, rivelando un volto squadrato e dai tratti duri, i piccoli scuri resi ancora più profondi dal carminio del sangue che gli macchiava il collo taurino. "Non ti è bastato lo spettacolo?" gli chiese tagliente, digrignando i denti. "Non voglio sacrificare altre bestie."

Fahad deglutì e, accompagnato dalle urla disperate dell'uomo rinchiuso della gabbia, si avvicinò al re e si mise in punta di piedi, così da potergli sussurrare all'orecchio solo poche parole. 

"Non sono convinto sia l'uomo giusto" commentò il Governatore, chinandosi sul consigliere. "Troppo rozzo."

"Fidatevi, mio signore: è il migliore."

Il re delle fosse osservò entrambi gli uomini con le sopracciglia aggrottate, cercando di capire cosa volessero da lui. Si era piegato alla richiesta più incuriosito dalla disperazione mostrata dal cortigiano che dal desiderio di Levon di vederlo; non aveva mai avuto niente da spartire con la stripe degli Arev, da cui si era tenuto lontano fin dal primo giorno in cui aveva messo piede a Lumien, e avrebbe preferito continuare sulla medesima linea d'azione. Con gli anni diventava sempre più difficile fidarsi degli umani.

"Non penso sia una buona idea" continuò intanto il Governatore, sedendosi meglio sullo scranno ricoperto di cuscini. "Everett..."

Il gladiatore diede un paio di colpi di tosse, attirando l'attenzione dei due su di sé. "Mio signore, non mi avete ancora spiegato per quale motivo avete richiesto la mia presenza" disse, incrociando le braccia al petto.

"Il nostro sovrano desidera che da ognuna delle Cinque Città siano mandati i tributi dell'anno passato" gli rispose Levon, lisciandosi il pizzetto. "Si sta preparando una guerra, ma non una combattuta in campo aperto: il monarca del Laeiros vuole rivoltare la regione e prenderla sotto la sua ala."

Il re alzò un sopracciglio e si chiese in che modo gli avvenimenti del settentrione toccassero Lumien; gli veniva in mente un'unica possibilità, ma non poteva credere che il Governatore fosse così stolto da non rendersi conto delle implicazioni possibili.

"Sapendo della mia inimicizia col sovrano, Cain mi ha chiesto di inviare un mercenario a Feluss per ucciderlo" concluse però l'altro, mostrando quanto mancasse di buon senso.

"Umani... diventano sempre più ciechi" pensò il re, guardando la coppia davanti a sé. Entrambi vestivano idiote espressioni di compiacimento e già pregustavano la futura gloria, cosa che gli faceva venire solo voglia di sputar loro in volto. "Come fanno a non capire che ci sarà sotto ben altro?"

"La scelta è ricaduta sulla tua persona" specificò intanto il Governatore, come se lui non avesse capito a cosa volessero mandarlo incontro.

Si inchinò, digrignando i denti, e si costrinse a mantenere un tono di voce il più pacato possibile. "Mio signore, non posso accettare. Non posso abbandonare le fosse, e non ci sono certezze di un mio ritorno a Lumien."

"Non ti fidi della parola degli Arev?" Il Governatore strinse i piccoli occhi neri e si spose in avanti. "Ci sono infiltrati di Cain alla corte di Feluss, uomini che ti proteggeranno e ti ricondurranno nel deserto."

"Ricondurranno la mia testa" pensò il re, prima di replicare: "Non posso accettare l'incarico. Le fosse sono zeppe di altri mercenari che potrebbero far al caso vostro."

"Ma Cain vuole voi" disse il consigliere, facendo un passo avanti dall'angolo in cui si era nascosto. "Siete l'unico con le qualità per portare a termine una simile impresa."

Il re rimase in silenzio, concedendosi di riflettere sulla proposta: era suicida, ne era consapevole, ma sapeva anche che il tempo di Lumien stava finendo. Quando sarebbe potuto rimanere ancora in città? Forse meno di una decina d'anni. E poi cosa avrebbe fatto? Meglio approfittare della volontà del Governatore e lasciare il suo regno in mano a qualcuno di cui si fidava, piuttosto che fuggire di nascosto lasciandosi dietro terra bruciata.

"Cosa ne ricaverei?" chiese, passandosi una mano tra i corti capelli neri.

"Gloria, cos'altro?" Levon rise, digrignando la bocca in un sorriso di denti marci. "Più oro, un titolo nobiliare e altro di minor importanza."

Il mercenario tacque di nuovo, ancora combattuto su come agire, ma la voce arrochita e grondante di ironia del Governatore lo riscosse dalle riflessioni in cui era immerso.

"Cosa devo fare per convincerti a lasciare il tuo piccolo regno? Devo darti le teste dei tuoi combattenti infilzati su delle picche? Oppure preferisci che i combattimenti siano banditi a vita? Altrimenti, posso sempre bruciare le fosse..."

Il re strinse la mascella, mentre un moto d'ira montava in lui e cancellava tutte le reticenze mostrate fino ad allora. "Io ho conquistato le fosse" disse, raggiungendo l'uomo in pochi passi. "E sono sempre io che faccio fluire soldi nelle vostre casse. Sapete quanto oro mi scivola tra le dita ogni giorno?" Sogghignò nel notare come il Governatore fosse sbiancato, perdendo la sicurezza mostrata fino ad allora. "Oltretutto, più della metà dei bordelli dei bassifondi sono miei, alcuni dei quali sono frequentati regolarmente dai vostri figli..."

Il re si godette il silenzio a cui aveva ridotto l'altro, allontanandosi di nuovo. Avrebbe potuto approfittare della spedizione per raggiungere il settentrione e scappare alla prima occasione utile, senza farsi trascinare a Feluss, per quanto una piccola parte della sua coscienza fosse desiderosa di chiudere un antico rancore... Ma ci avrebbe pensato poi.

"Accetto l'incarico, ma ho delle condizioni."

Il Governatore strinse i denti, ma gli fece comunque segno di continuare a parlare.

"Partirò col prossimo carico mercantile diretto a nord e porterò con me un mio uomo."

"Mi sembra accettabile" commentò Levon, mentre il consigliere annuiva con convinzione. "Ma anch'io ho una condizione: Fahad farà parte del gruppo."

Se solo non fosse stato consapevole della gravità della situazione, il mercenario si sarebbe messo a ridere per l'espressione assunta dal cortigiano, che era passata dal compiacimento, alla sorpresa e infine al terrore più profondo, tanto da apparire a un passo dallo svenire.

"E sia" mormorò, pensando che un uomo simile non gli sarebbe mai stato di impiccio, ma che, anzi, sarebbe stato più semplice da ingannare.

"Avrei un'ultima domanda, e poi sarai libero di andartene" aggiunse il Governatore, di nuovo con un piccolo sorriso soddisfatto sulle labbra. "Qual è il tuo nome?"

Lui sospirò, senza curarsi di apparire scortese, e pensò ancora una volta a quanto gli umani fossero stolti. "Potete chiamarmi Re dei bassifondi. Non siete degno di sapere il mio nome."

Detto questo se ne andò.

Non si ricordava la prima volta che aveva ucciso, ma sapeva che, dopo, non aveva più smesso.

Difesa personale, si era detto all'inizio.

Piacere, qualche centinaio di anni dopo.

Necessità, spiegava ora.

Certo era che avrebbe preferito non doversi più sporcare le mani. Iniziava a sentirsi stanco, troppo vecchio per il mondo di cui ancora calcava la terra.

"L'idiozia degli umani non aiuta..." mormorò, scavalcando un cadavere abbandonato nel bel mezzo di un vicolo.

"Fortuna che io non lo sia."

Il Re rise per il sussurro femminile appena udito e allontanò con delicatezza la bianca mano che gli aveva puntato un coltello alla gola. "Stai migliorando: non ti ho quasi sentita" commentò, voltandosi verso la ragazza. "L'hai ucciso tu?" aggiunse, dando un colpetto al morto.

La ragazza sputò sul cadavere. "Non mi voleva pagare e, quando gli ho ricordato che doveva farlo, ha provato a strangolarmi."

Il Re annuì, non provando alcuna pietà per il volto giovane irrigidito in una smorfia di terrore a un soffio dai calzari. "Nascondilo e raggiungimi alle fosse: ho una proposta per te e Colosso" disse, dando un nuovo calcio al morto che gli spaccò i denti. Se solo fosse stato in vita, sarebbe stato suo profondo piacere rinchiuderlo in una gabbia e godersi le sue urla agonizzanti.

"Come vuole il mio re" rispose lei con un sorriso sbarazzino, per poi chinarsi sul cadavere e afferrarlo per le braccia.

Il Re le voltò le spalle e riprese il cammino, diretto alle fosse. "Siano ringraziati gli ibridi..." pensò, mettendo piede nel suo regno, silenzioso nella quiete del pomeriggio. L'avrebbe lasciato in mano a Colosso, un incrocio tra un umano e un cirment, grande quanto un orso adulto e svelto di mente; nonostante l'aspetto inquietante, aumentato dalle cicatrici che gli sfregiavano il viso e il resto del corpo, aveva piena fiducia in lui e sapeva che le avrebbe gestite nel migliore dei modi.

Superate le gabbie dei mostri, controllate da alcuni gladiatori a lui fedeli, si addentrò in un piccolo corridoio secondario, fino a raggiungere una scala a pioli dalla quale era possibile raggiungere i suoi alloggi. Non erano più di tanto confortevoli, soprattutto a causa dell'umidità che aleggiava nel sottosuolo di Lumien, ma non aveva bisogno di altro che non fosse un giaciglio, un tavolo e qualche sedia; aveva vissuto in luoghi peggiori, in fondo. Con un sospiro, si sedette e attese l'arrivo di Colosso ed Eelja. Gli sarebbero mancate le fosse: gli anni trascorsi a guidarle erano stati i migliori della sua vita.

"Mio signore" si annunciò una voce maschile, risvegliandolo dai ricordi. Erano stati veloci.

Eelja comparve sinuosa, seguita dall'altro ibrido. "Cosa volevate dirci?" gli chiese, raggiungendolo. Gli si inginocchiò davanti e gli prese una mano tra le sue, piccole ma con una forza invidiabile. "Il Governatore vi ha...?"

"Mi ha fatto una proposta" concluse lui, mentre Colosso si accomodava su una sedia e piantava i gomiti sul tavolo, sporgendosi in avanti. "Devo lasciare le fosse" aggiunse, per poi voltarsi verso il sottoposto. "Le lascerò a te. Sono certo che non mi farai mai pentire della mia scelta."

Colosso annuì grave, senza aggiungere alcuna parola.

"Per te, Eelja, avrei un altro destino" disse, riportando l'attenzione sulla giovane. "Vorrei mi seguissi nell'impresa, al settentrione."

"Non dovevate neppure chiedermelo: vi seguirei ovunque" rispose lei, per poi posargli un delicato bacio sulle nocche che lo fece sorridere.

"Allora è deciso. Stasera le fosse saranno lasciate al tuo comando, Colosso."

"Dove dovete andare?" gli chiese l'ibrido, con la faccia sfregiata incupita e gli occhi che ne tradivano la tristezza. "Non volete godervi il vostro regno finché potrete?"

"Preferirei, ma ho da sbrigare alcune faccende." Il Re sospirò, scuotendo il capo. "Eelja mi aiuterà. Andate pure a riposare."

Entrambi annuirono e, senza aggiungere alcuna parola, scivolarono via come ombre, lasciandolo solo.

Trascorsero dieci giorni prima che la carovana partisse.

Il Re non aveva apprezzato la lentezza con cui avevano trattato col capo carovaniere, un cirment dalla pelle scura come il legno affumicato e gli occhi e i capelli scarlatti, né come il Governatore avesse provato a schiacciarlo ancora una volta con nuove imposizioni e capricci al quale, però, non aveva ceduto; la minaccia di screditare il futuro erede era stata la giusta spada con cui tenere Levon al suo posto, nonostante non fosse riuscita a evitargli la presenza del cortigiano.

"Devo ricordarvi che avete il compito di impersonare un messo?" gli aveva detto il Governatore a un certo punto, il tono pacato a contrasto con la collera che ne piegava il volto. "O volete gettarvi nelle fauci del leone senza nessuna protezione?"

"Avrei preferito non buttarmici proprio" pensò il Re, guardando il consigliere avvicinarsi a un dromedario. Aveva optato per lo stesso travestimento con cui l'aveva avvicinato alle fosse, un insieme di stracci troppo distrutti e sporchi rispetto a chi li indossava, tanto che risultava palese anche a un occhio meno esperto quanto l'uomo non facesse parte della carovana.

"Cosa ne dite?" gli chiese Eelja, in piedi al suo fianco con le braccia incrociate. "Potrebbe mai confondersi con noi?"

Lui scosse la testa. "Noi possiamo passare per due semplici carovanieri, ma lui... Pure un'ape riesce a mimetizzarsi meglio tra le mosche."

"Sapete meglio di me come sono fatti gli umani" commentò la ragazza, per poi dirigersi verso un dromedario. Il Re la seguì, aiutandola a montare in sella, mentre lei concludeva il corso dei suoi ragionamenti. "Difficile che si dimostrino intelligenti. Devono avere un qualche difetto che passa da generazione a generazione."

"Molto probabile."

Le ultime stelle iniziavano a impallidire quando i primi animali si mossero per varcare le mura della città. Il deserto si aprì davanti a loro nella sua desolazione fatta di sabbie dorate e striate di rosso, che presto sarebbero diventate roventi a causa del sole prossimo a sorgere; il caldo già saliva dal terreno, facendo presagire come sarebbero state le successive ore di marcia. Il Re ed Eelja, ignorando lo spettacolo che si parava davanti a loro, si portarono subito in testa, così da parlare col capo dei carovanieri; poco lontano, anche Fahad provò a seguirli, per quanto instabile sulla cavalcatura.

"Vedo che i miei passeggeri hanno qualcosa da dirmi" commentò il cirment appena furono a portata di voce. "Venite, venite pure" aggiunse, facendo loro segno di avvicinarsi, per poi presentarsi. "Il mio nome è Sajens, miei signori."

"Potete chiamarmi Re" rispose lui asciutto, prima di lanciare una rapida occhiata al cortigiano che, nella fretta di raggiungerli, si era sbilanciato e ora pesava sul collo dell'animale. "La mia compagna porta il nome di Eelja."

"Non siete gli uomini che mi sarei aspettato di ricevere dal Governatore..." disse Sajens, aprendosi in un sorriso di denti neri come la pece, per poi correggersi. "Voi due, almeno. L'altro è un discorso differente."

Il Re non commentò, né tornò a voltarsi verso il consigliere, visto che ne aveva già abbastanza di lui. "Quanto tempo impiegheremo a raggiungere Feluss?"

"Circa due cicli lunari e mezzo. Dipende dal passo che riusciremo a tenere, nonché dalla situazione nella pianura."

"E quanto tempo trascorreremo nel deserto?" aggiunse Eelja, anticipando la seconda domanda che avrebbe voluto porre. La temperatura si stava già alzando e sapeva bene che ci sarebbero stati diversi problemi se qualcuno avesse notato cosa stesse accadendo sulla sua pelle; almeno il deserto, per quanto crudele, gli permetteva comunque di nascondersi sotto strati e strati di abiti, ma non poteva trascurare il rischio.

"Fino a un intero ciclo e mezzo. Dipende sempre da molti fattori" rispose Sajens, alzando gli occhi all'orizzonte. "Se sarà possibile, durante le ore più calde ci fermeremo in delle oasi, altrimenti procederemo. Spero che il vostro corpo si abitui in fretta ai ritmi del deserto." Il carovaniere fece una smorfia e scosse la testa. "Soprattutto quello del vostro compagno... Non vorrei diventasse un peso."

Il Re ed Eelja si girarono entrambi verso il consigliere, a cui si erano affiancati due carovanieri per rimetterlo dritto sul dromedario ed evitare una rovinosa caduta.

"Non è un cavallo!" urlò divertita la ragazza. "Cercate di rimanere dritto e fermo."

Il consigliere non le badò, troppo occupato a cercare di sorreggersi, ed Eelja rise deliziata davanti ai nuovi tentativi di aiutarlo, per poi sistemare i veli che le coprivano i capelli corvini, così da nasconderle tutto il viso tranne gli occhi celesti. "Vi ha punto qualcosa?" gli chiese, notandolo grattarsi il braccio. "Questi animali sono inseguiti da una miriade di insetti."

"È solo il sudore" le rispose il Re, riportando la mano alle redini, nonostante le squame gli mordessero la pelle e lo invitassero a spogliarsi di tutto. "Va' ad aiutare quell'uomo, piuttosto."

Eelja rallentò subito l'andatura della cavalcatura, così da affiancarsi agli altri, e lui si concesse un sospiro di sollievo. Portare con sé la ragazza era stato un errore, se ne rendeva conto solo in quel momento, ma forse sarebbe riuscito a convincerla a seguire i mercanti verso città più sicure, dove avrebbe potuto iniziare una nuova vita. In fondo, lui non poteva e non doveva affezionarsi a qualcuno. Aveva già compiuto un simile errore in passato e non desiderava ripeterlo, per quanto Eelja fosse la migliore tra le compagne che aveva avuto; essere l'assurdo incrocio tra un coral e un cirment l'aveva forgiata fin da bambina, così come gli anni trascorsi a prostituirsi, ma solo quando aveva incontrato lui aveva acquisito la giusta consapevolezza di sé, diventando bellissima e letale. Una giovane da amare e da odiare.

"È una mia sottoposta" pensò il Re, guardandola parlare col consigliere, nel tentativo di aiutarlo a rimanere nella giusta posizione. "Leale fino alla morte, ma ciò non cambia niente."

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