Un incontro inaspettato

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La stazione Santa Lucia di Venezia è illuminata dal bagliore degli ultimi raggi del sole, che tinteggiano di arancione i contorni delle nuvole. Sono passate da poco le 18 e questa limpida giornata di fine marzo sta volgendo al termine. Le prof finiscono di contarci e io posso finalmente sgattaiolare via tra i ticchettii nervosi degli orologi di chi aspetta impaziente sui binari della ferrovia.

Salgo sul treno da un'altra entrata e mi allontano dai miei compagni. Mi guardo in giro controllando di non essere seguita e mi siedo sul primo sedile libero. Mi attacco al finestrino: è solo la seconda volta che vengo a Venezia e voglio catturare con lo sguardo ogni possibile ricordo da portare a casa in occasione della mia ultima gita scolastica. La fine dell'anno è ormai alle porte e la maturità avanza minacciosamente.

Cerco di dimenticarmi subito dell'esame di fine liceo che mi aspetta dietro l'angolo, per osservare i vari pendolari che usano questo treno per tornare a casa. Il vagone è pieno e in molti si avvinghiano alle maniglie dei sedili per reggersi in piedi durante il tragitto. Anche se odio stare in mezzo a tante persone, mi piace osservare la gente e fantasticare sulle loro vite. C'è una donna con gli occhiali chiari che legge assorta un plico ordinato di fogli di carta, scribacchiando qualcosa di tanto in tanto con una penna rossa: è di sicuro una professoressa. Di fronte a lei, un uomo elegante guarda nervosamente l'orologio da polso e si sistema spesso il nodo della cravatta. La ventiquattrore scura ai suoi piedi mi suggerisce che possa essere un uomo d'affari, magari in ritardo per un colloquio di lavoro. Infine noto una giovane coppia che ascolta musica dalle cuffiette, mano nella mano; probabilmente sono venuti a visitare una delle città più romantiche del mondo. Mi occuperei anche della signora accanto a me, se non mi stesse fissando sgarbatamente da quando è salita.

Sento gli schiamazzi dei bambini provenire dal fondo del vagone. Chissà come fanno a conservare tutta questa energia fino a sera, mi chiedo accasciandomi sul mio sedile, che in questo momento sembra la poltrona più comoda del mondo.

Non molto tempo dopo arriviamo alla stazione di Mestre. Un vortice di suoni, voci e colori si rincorrono e si mescolano man mano che i passeggeri scendono insieme alla vecchietta impicciona che mi sedeva accanto. Dopo qualche secondo di quiete si ripete tutto di nuovo, mentre altre persone rimpiazzano chi è appena sceso. Accanto a me si siede un giovane, sulla ventina, i capelli ricci castani e due grandi occhi scuri.

"Posso sedermi?" mi chiede con voce grave, ma gentile, stuzzicando la mia attenzione.

In un secondo sono già cotta di lui, ma forse è solo uno dei miei tanti sentimenti passeggeri. O forse no. Chissà se mi ha posto questa domanda con noncuranza, come tutti gli altri giorni in cui gli capita di prendere il treno, o se percepisce che dalla mia risposta potrebbe nascere qualcosa?

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