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Fosdinovo, aprile 1690.

«Andiamo, su! Alzati!» Gridava alla sua cavalcatura, mentre questa tentava di liberarsi dalla presa del fango, nel fossato in cui era scivolato.

La pioggia della mattina aveva rapidamente inzuppato il terreno, il limine del canale era nascosto dall'erba alta e non fu affatto difficile finirci dentro.

Tirando con tutte le sue forze, Jacopo riuscì a far drizzare la bestia che si risistemò con un nitrito di dolore. Tentò qualche passo, zoppicando vistosamente dall'anteriore destro.

Il ragazzo si abbassò a constatare la gravità della situazione e, non notando né lacerazioni né difformità nella zampa del destriero dedusse, e sperò, che il malessere sarebbe stato passeggero. Non poteva risalire in sella, questo era certo.

Le bisacce sistemate con cura sulla groppa dell'animale erano per metà zuppe di melma. Per fortuna si trattava solamente di quelle contenenti indumenti e viveri, mentre la borsa di cuoio che conteneva i documenti che il Duca di Mantova, Ferdinando Carlo Gonzaga Nevers, gli aveva affidato da consegnare segretamente a Roma, di modo da riuscire ad avere gli aiuti necessari a contrastare l'imperio del governatore di Milano era salva. "Cose urgenti e importantissime", le aveva definite il messo ducale che lo aveva raggiunto alla taverna, "ne va della sopravvivenza del Ducato!". Inizialmente non aveva dato troppo peso a tutta quella premura, ma l'elsa dello stiletto che compariva sotto il farsetto e il ghigno in faccia a quell'uomo l'avevano convinto più della scarsella di monete che rappresentava il suo anticipo: il resto l'avrebbe avuto al suo rientro.

Da un paio di mesi, infatti, era iniziata, a Mantova, la demolizione dell'antica rocca e delle opere faticosamente costruite, a seguito della grave irritazione che aveva causato al Re Sole, Re di Francia poiché si era recato a militare in Ungheria. D'altronde, che Ferdinando si fosse dimostrato individuo capriccioso e immaturo lo si doveva al poco edificante clima familiare: figlio di un donnaiolo impenitente e di un'Asburgo che poco disdegnava la compagnia altrui. Ma queste non erano considerazioni che lo riguardavano.

Doveva arrivare alla sede pontificia. In fretta.

Ma il viaggio era ancora lungo, gli ci erano voluti quasi due giorni per attraversare l'Appennino ancora in parte coperto di neve. E aveva davanti ancora, come minimo, quasi quattro giorni di cammino.

Per recuperare tempo prezioso, aveva optato per viaggiare da solo, leggero, con pochi viveri con sé. Teneva il denaro ben nascosto e aveva optato per un vestiario poco consono al proprio rango, ma sicuramente meno adocchiabile da parte di eventuali malintenzionati.

Guardò non senza smarrimento lo stato in cui versava il suo animale. La sera scendeva in fretta e, zuppi da capo a piedi, rischiavano entrambi di non poter proseguire se avessero buscato qualche malanno.

Urgeva trovare ricovero.

Rinvenne un buon appiglio per riportare la povera bestia sul sentiero e decise di procedere camminandogli a fianco per non andare a infierire oltre sulla zampa offesa. Il bosco attorno a lui era fitto, in parte formato di castagni e alti pini marittimi, più in basso infoltito di pruni intricati, ginestre e stipe nodose. Una folata di vento freddo gli sferzò la pelle e già non fu questo, piuttosto il pensiero che la boscaglia potesse ospitare qualche pericoloso animale. I crinali si stagliavano tutto attorno a lui e si era lasciato alle spalle Fivizzano oramai da molto. Ripensò velocemente alla possibilità di tornare sui suoi passi ma sicuramente avrebbe raggiunto l'insediamento a notte inoltrata. Gli dispiacque ammetterlo, ma l'ipotesi di tornare indietro era assolutamente da scartare: poteva solo andare avanti e sperare d'incontrare qualcuno per strada.

La luce calda del sole al tramonto si insinuava tra le fronde nodose. L'umidità della sera iniziava a penetrare le vesti aumentando il disagio che già provava. Si strinse nelle spalle, iniziando a tremare dal freddo.

Si guardò intorno: forse avrebbe potuto trovare della legna abbastanza asciutta da permettergli di accender un fuoco. Raspò nella bisaccia da sella in cerca di un po' di esca, ma constatò con non poca insofferenza che la paglia all'interno di essa si era inumidita dopo la caduta nel fossato. Probabilmente era inutilizzabile.

Conveniva innanzi tutto cercare almeno un anfratto in qualche roccia nel quale trovare riparo. In qualche maniera si sarebbe difeso. Gli abiti bagnati sarebbero comunque rimasti un problema non di poco conto.

Si lasciò andare a un sospiro sfiduciato quando sollevando di nuovo lo sguardo incrociò il profilo di una torre che si stagliava al di sopra dell'intrico di chiome.

«Un castello...» sussurrò incredulo.

Ficcò la mano nella borsa di pelle rimasta asciutta, cavandone una mappa, gentilmente fornita dal messo, unitamente a una lunga lista di raccomandazioni che aveva cercato di tenere a mente meglio che poteva. Consultò la carta, facendo i doverosi calcoli di percorso, e scoprì che proprio nelle vicinanze del punto in cui si trovava sorgeva un maniero.

Ciò che riusciva a scorgere era una torre dalla sezione cilindrica, incastonata in un'alta parete sormontata da merli pressoché intatti.

«Andiamo, cammina!» Spronò il cavallo ad aumentare il passo claudicante.

Raggiunse le prime casupole appena in tempo, prima che calasse il buio.

Il borgo, composto interamente di piccoli fabbricati in pietra o legno, coperte da lastre di ardesia sovrapposte, pareva semi deserto, non fosse stato per qualche candela che rischiarava l'interno di alcune abitazioni.

All'avvertire lo scalpiccio degli zoccoli percorrere la stradicciola di ingresso al borgo, alcuni usci si chiusero sonoramente, una ragazzina sgattaiolò in casa incalzata dalla madre mentre alcuni scuri di legno venivano posti alle finestre per impedire la vista.

«Che posticino ospitale.» Si disse Jacopo. «Quantomeno non sono solo.»

Adesso che aveva trovato un posto in cui non si sentiva così perso, il suo pensiero andò al suo baio. Scorse sulla destra del sentiero un largo spiazzo d'invito a un fienile. Dietro di esso, oscura e minacciosa, si stagliava l'imponente mole del castello.

Fece per avvicinarsi al portone del ricovero, quando una voce alle sue spalle lo fece sussultare: «Posso aiutarvi?»

Si volse verso l'unico uomo che aveva avuto il coraggio di avvicinarsi a lui e rispose con il miglior sorriso stampato sul volto: «Grazie al cielo, credevo che questo posto fosse disabitato.» Mentì.

«Non lo è. Cosa volete.»

«Riparo, per la notte. Ho viaggiato a lungo e il cavallo è ferito.»

Il popolano squadrò l'animale dalle orecchie alla punta della coda e Jacopo colse immediatamente l'infausto pensiero dell'uomo: «Non è da abbattere. Solo una slogatura, almeno credo. Cammina, comunque. Gli basterà un po' di riposo.»

«Nella stalla non c'è posto.»

Jacopo si voltò, quasi per sincerarsi della veridicità di quelle parole. Ma poi pensò che avrebbe mancato di rispetto se non avesse creduto a quanto gli stavano dicendo.

«Potete consigliarmi qualche altro posto?»

«Se vuoi un consiglio, ti conviene proseguire. C'è un paesino non lontano. Gignago. Prova laggiù.»

«Quanto dista?»

«Poco meno di un'ora di cammino se attraversate il bosco.»

Jacopo si volse tutto attorno per valutare quanta luce avesse ancora. Fu allora che si accorse delle fiaccole che ardevano nei pressi dell'arco d'entrata che conduceva al cortile del castello.

«Non credo di avere così tanto tempo, prima che cali la notte. Proverò nel vostro castello, vi ringrazio comunque.»

«Vi rinnovo il mio consiglio, cavaliere. Andatevene.»

«Mi scusi, non capisco.»

«Cose strane avvengono in quel castello. Non vi fermate qui, riprendete la strada.»

Il giovane Branciforte scrutò l'uomo, intimorito. Poi si ricordò delle parole del messo ducale "tieniti alla larga dai popolani, nelle fortezze troverai sempre protezione".

Si lasciò alle spalle le parole aspre e si rivolse verso la fortezza. Se le torce ai fianchi del rivellino erano accese, qualcuno all'interno avrebbe dovuto pur esserci.

Oltrepassò il ponte levatoio. Dal punto in cui si trovava, una rampa discale cordonate saliva a condurre il viaggiatore nel cortile centrale. Attraversò l'arco acuto, percorrendo l'altra breve salita che l'avrebbe condotto ad un piccolo spazio antistante un loggiato sorretto da colonne di marmo.

Si volse tutto attorno, notò enormi piante d'ortensia di vario colore ai piedi delle mura, le pietre a terra erano squadrate e regolarmente disposte. Niente faceva pensare che il luogo fosse abbandonato.

Lasciò il cavallo placidamente brucare i ciuffi d'erba che spuntavano tra una pietra e l'altra del cortile e si avvicinò al massiccio portone, bussando energicamente col pugno.

Si volse. Il cavallo era ancora al suo posto, placido e tranquillo. Se la fama dei destrieri era quella d'aver timore d'ogni pericolo, pareva proprio che in quel luogo non ve ne fosse alcuno.

"Non pensavo di essere così impressionabile, accidenti!"

Iniziava proprio a crede di non essere l'individuo giusto per certe commissioni. Preferiva di gran lunga incarichi meno complessi, luoghi più accoglienti. Tuttavia, il Duca di Mantova contava su di lui e deluderlo era l'ultima cosa che avrebbe voluto.

L'uscio si aprì e di fronte al ragazzo comparve un omuncolo ingrigito, smilzo, con lo sguardo benevolo e la schiena curva dagli anni.

«Buonasera, messere. Desiderate?»

«Cerco riparo per la notte, per me e per il mio cavallo.»

Il vegliardo lo osservò incuriosito. Non gli capitava spesso una richiesta di tale fatta. Si riprese non appena si accorse che il ragazzo era serio: «Certamente, il castello accoglie volentieri i viandanti.» Poi chiamò, rivolgendosi all'interno: «Marianna!»

La donna accorse immediatamente, strusciandosi le mani al grembiule.

«Fai accomodare il ragazzo. Io penserò al cavallo.»

La donna fece cenno al giovane d'accomodarsi e Jacopo entrò con gran piacere. L'ambiente era tiepidamente riscaldato, sebbene le spesse mura di pietra dessero l'impressione di essere catapultati indietro di almeno cinque secoli.

«Venite ragazzo mio. Fa piacere avere ospiti ogni tanto. Non riceviamo molte visite, sa?»

L'espressione gioviale di Marianna, bassa e paffutella, dagli zigomi arrossati per il calore del focolare domestico, riempì il cuore di Jacopo di un amabile tepore. «Stavo preparando una buona zuppa, venite. Oh, santo cielo!» Esclamò la donna guardando meglio. «Ma siete fradicio! Avanti, vi conduco nella stanza del padrone, troverete dei vestiti asciutti, dovrebbero andarvi bene.»

«Vi ringrazio molto. Non vorrei però che il padrone se ne avesse a male.»

«Il marchese non viene più qui da molto tempo ormai. Un paio di volte al mese invia i suoi emissari, giusto per valutare che si abbia di che mantenere il castello. Sono lontani i tempi dei ricevimenti.»

«Quindi abitate qui da soli?»

«Ne siamo i custodi.»

«Sembra enorme. Come fate, intendo dire, da soli? Ho conosciuto un uomo, di sotto, non m'è parso affatto collaborativo.»

«Non c'è da biasimarlo per questo.»

Jacopo rimase interdetto e taciturno restò a rimuginare su quest'ultima frase. Marianna se ne accorse, perché subito aggiunse: «Tra spifferi e cigolii, questa dimora incute più timore di quanto dovrebbe.»

***

La cena venne servita nell'intimo locale a ridosso delle cucine. Anni addietro avrebbe dovuto trattarsi di un'ampia dispensa: il pavimento riportava ancora i segni della vecchia mobilia ormai smantellata, le pareti di pietra erano adornate da suppellettili e vecchio pentolame battuto a mano, trecce di capi d'aglio freschi penzolavano dalle travi.

«Il vostro cavallo avrà bisogno di qualche giorno per riprendersi. Gli ho ricavato un buon giaciglio, potrete fermarvi quanto vorrete.»

La notizia che il baio non avesse subito danni irreversibili rincuorò Jacopo. Poco dopo il termine del pasto, prese commiato dalla coppia di ospiti e si diresse verso la camera che gli era stata riservata.

Attraversato un grande salone, la camera gli apparve più accogliente di quanto si fosse aspettato. Il letto in legno massiccio, posto in posizione laterale, era quanto di più comodo avesse potuto desiderare. Vi si sedette, tastando la morbidezza della coperta che vi era sistemata sopra. Di fronte a lui, uno scrittoio di mogano sopra al quale torreggiava un busto in legno del poeta coronato e, a fianco, una nicchia affrescata il cui piano sormontava una stretta colonnina.

Sulla sinistra, una rientranza che conduceva alla feritoia, oltre la quale il buio aveva già inghiottito ogni cosa.

Era persino tutto troppo curato per essere una dimora in gran parte disabitata.

Si tolse gli indumenti che Marianna gli aveva donato, rimanendo in camicia, appoggiandoli su una piccola poltroncina imbottita, sistemata poco lontano dalla finestra. La luce della luna piena rischiarava tutto l'esterno dove, dall'alto della apertura, le fiaccole parevano eteree fiammelle di anime raminghe. Si soffermò un istante a osservare la natura sopita nell'abbraccio della notte.

Tornò al giaciglio, appoggiò il portacandela sul ripiano della nicchia e spense la fiamma appena se ne sentì pronto.

Solo allora notò i due occhi chiarissimi guardarlo seminascosti oltre lo stipite.

Occhi di vetro.

D'una trasparenza d'acqua.

Occhi curiosi.

Colto dal panico improvviso, discese dal letto gettando via la coperta, e si volse di nuovo verso la porta.

Nessuno.

Percorse lo spazio con ampie falcate, raggiunse l'uscio, si affacciò spingendo lo sguardo in entrambe le direzioni, dove le candele disseminate lungo il corridoio rischiaravano l'ambiente con le fiammelle placide. Se qualcuno avesse attraversato il corridoio, ne avrebbe disturbato la quiete.

Eppure, era certo di averlo visto.

Uno sguardo di cristallo incastonato nel candore della luna.

O forse era stata la stanchezza, a giocargli un tiro mancino?

Al piano di sotto, nel frattempo, marito e moglie se ne erano rimasti inorecchiti, attenti a badare ai movimenti del giovane.

Quando Jacopo aveva raggiunto il corridoio, Marianna aveva accennato ad alzarsi dal letto, avrebbe voluto raggiungerlo.

Ma il marito l'aveva fermata, trattenendola per un braccio: «Resta qui, cara. Non t'immischiare.»

Il primo capitolo della nuova storia ci porta in un'altra epoca. A metà tra il rinascimento della classicità e l'epoca dei lumi, i grandi castelli medievali ancora sortivano l'effetto di magnetica attrazione o insano terrore.
Il castello Malaspina esiste ancora, così come esistono le leggende che ruotano attorno alla famiglia Malaspina del ramo fiorito.
Fiori e spine...un accostamento che ci fa pensare alle rose, tanto belle e profumate quanto pericolose e dolorose.

Vi aspetto nei commenti ❤️

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