3.

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La luce dell'alba lo investì in pieno volto.

Aprì gli occhi a fatica, mentre la testa, ancora dolorante, vorticava dandogli il voltastomaco.

Cercò di sollevarsi ma, sulle prime, i muscoli indolenziti non vollero collaborare. Puntò le mani e spinse con le poche forze che aveva ancora contro il pavimento di mezzane. Sentì la pelle della guancia lasciare la superficie fredda e il movimento della testa, costretta per ore in quella posizione, gli provocò un dolore pungente.

Rimase qualche secondo in ginocchio, giusto il tempo per permettere agli occhi di assuefarsi alla luce e alla testa di trovare la pace.

Ancora incerto sulle gambe, si appoggiò allo scrittoio, indagando nella memoria, alla ricerca di qualunque cosa potesse aiutarlo a capire cosa fosse accaduto.

Tutto ciò che ricordava erano quell'avvertimento e lo strano tono con il quale Aloisia gli aveva parlato. Niente più di questo.

Per terra, ai piedi del letto, il moccolo aveva riverso la sua cera sul pavimento. Per fortuna, senza conseguenze.

La borsa portadocumenti sembrava intatta.

Solo quando si osservò con più attenzione, si accorse di essere già completamente vestito.

"Eppure, sono sicuro di essermi tolto le vesti, prima di coricarmi."

Dunque, era accaduto qualcosa dopo l'incontro con Aloisia. Forse era persino uscito dalla stanza, forse aveva percorso i corridoi del castello, era di nuovo salito fino in cima alla torre.

Forse avrebbe potuto anche cadere vittima di qualche incidente.

Si avvicinò alla finestra e gettò uno sguardo oltre le mura. Un salto di oltre venti metri.

Rabbrividì, pensando a cosa sarebbe potuto accadere, giacché non c'era modo di ricordare cosa fosse successo.

Si bagnò il viso con l'acqua fredda di una bacinella disposta sul ripiano. Apprezzò profondamente la frescura che ne ebbe e servì per schiarirsi un po' le idee.

Accogliere o no, il suggerimento di Aloisia?

L'espressione di quello sguardo glaciale non gli era parsa ostile. Ma troppe erano le stranezze che sembravano a gran voce intimargli di lasciare quel posto.

Cavò dalla borsa una mappa, la srotolò e iniziò a consultarla, appoggiandola sul ripiano dello scrittoio. Seguì l'itinerario che aveva percorso per arrivare da Mantova a Fosdinovo, calcolando il tempo che aveva impiegato. Verificò ancora la distanza tra il castello in cui si trovava e la sede pontificia. Aveva davanti ancora quattro giorni di cammino. Il buonsenso gli suggeriva di compiere il cammino costiero, ma vaste aree sul litorale erano paludose, malsane, rischiava di contrarre qualche malanno oltre al fatto che non vi erano molti stalli, salvo diverse badie e pievi dislocate lungo la via Francigena. Altra storia, invece se avesse preferito viaggiare nell'entroterra: roccaforti ve ne erano, grandi tenute di importanti famiglie, ma il tragitto tra loro avveniva attraverso i boschi e, oltre a lupi e fiere notturne, vi era la reale possibilità di venir aggredito da qualche malvivente.

Qualsiasi itinerario avesse eletto, la prima cosa da fare era comunque reperire i viveri che gli avrebbero permesso di affrontare il viaggio.

Affondò la mano nella borsa, ne tirò fuori il contenuto, scoprendo una piccola tasca cucita sul fondo. slacciò la corda e ne trasse una scarsella. La aprì con cautela, verificandone il contenuto. Tra soldi e sesini, ne aveva abbastanza per riuscire a ripartire. Se si fosse spostato con cautela e avesse speso le finanze oculatamente, sarebbe arrivato in Vaticano senza troppe difficoltà.

Mise in tasca un po' di denaro e ripose il restante là, dove lo aveva tenuto nascosto.

***

Marianna stava governando le galline che razzolavano placidamente nel giardino delle ortensie.

Jacopo sollevò lo sguardo, a incontrare il profilo del castello e le sue merlature. Dall'altro lato, lo spuntone gettava la sua ombra sul pendio che digradava verso il borgo.

Giunse le mani dietro la schiena e rimase a fissare l'affaccendarsi della custode, che non si era affatto accorta della sua presenza.

«Buongiorno, Marianna.»

«Buongiorno, messer Branciforte. Posso aiutarla?»

«Gran bella giornata, non crede?»

«Decisamente.» Rispose la donna, guardandosi intorno con un sorriso. «Vedrà, quando i fiori sbocceranno: qui attorno diverrà tutto un incanto!»

«Mi chiedevo...» tentennò Jacopo, indeciso su come proseguire senza sembrare del tutto fuori di senno «se, per caso, questa notte aveste sentito anche voi qualcosa di strano.»

Marianna fissò lo sguardo nei suoi occhi, finché non fu completamente certa che lui fosse smarrito esattamente come voleva sembrare. Avrebbe avuto non pochi problemi, se avesse dovuto giustificare il modo in cui era stato riportato nella propria stanza e ancora di più ne avrebbe avuti se avesse anche dovuto indicare il luogo e il modo in cui l'avevano rinvenuto.

«No, mi dispiace.» Mentì. «A cosa vi riferite, precisamente?»

«Niente in particolare.» Sviò Jacopo, arrossendo. «Credo di aver lasciato la stanza, questa notte, ma non ne rammento il motivo, né ricordo dove sono andato.»

Adesso, gli occhi indagatori erano i suoi. Scrutò Marianna per coglierne qualsiasi esitazione, invano.

«A volte, la stanchezza può giocare davvero tiri mancini. Ma dalle stanze della servitù è praticamente impossibile accorgersi di ciò che avviene nei corridoi del castello.»

Benché deluso da questa risposta, Jacopo sorrise amabilmente e propose alla donna il suo progetto.

«Il cavallo dovrebbe essere a un buon punto di guarigione. Mi recherò nel borgo, in giornata, per recuperare le provviste utili al mio viaggio e partirò non appena sarà possibile.»

«Dove siete diretto, se posso chiedere?»

«Roma. Città del Vaticano, per l'esattezza. Ho importanti documenti da consegnare al camerlengo.»

«Per così tanti giorni di cammino vi servirà del pane. A quello potrei pensarci io. Se vorrete, ve ne preparerò il giorno prima della vostra partenza per farvelo avere fresco.»

Jacopo rimase piacevolmente sorpreso dalla proposta della custode. Salutò garbatamente e prese commiato, dirigendosi verso l'arco dal quale aveva avuto accesso al castello. Discese la scalinata e si inoltrò tra le casupole della corte di Fosdinovo.

Per prima cosa, aveva bisogno di un maniscalco che valutasse lo stato della ferratura del suo cavallo, per non incorrere in altri spiacevoli intoppi che aveva tutta l'intenzione di evitare. Aveva bisogno poi di carne essiccata, farina di miglio e un po' di esca ben secca per accendere il fuoco. Altri generi di prima necessità gli sarebbero venuti in mente.

Pensò che rivolgersi al proprietario della stalla che aveva incontrato la sera del suo arrivo fosse una buona idea. Animali, ne aveva. Forse avrebbe anche avuto le conoscenze per poterlo aiutare.

Raggiunse la stalla. Il proprietario si trovava all'interno, intento ad accudire il bestiame: tre maiali, una famiglia di capre e l'unica mucca di tutto il borgo. L'allevatore sollevò il capo, asciugandosi le mani con una stoffa malconcia, e si diresse a incontrare Jacopo. Alto una spanna più di lui, dalla barba incolta e i vestiti logori, il paesano lo squadrò con sguardo torvo, lisciandosi i mustacchi.

«Salve.» Salutò Jacopo, cercando di mantenere una certa autorità.

«Cosa volete?»

Più Branciforte si trovava al cospetto di quell'uomo corpulento, più a lungo la sua sicurezza veniva meno. Come se quegli occhi scuri e porcini avessero tutta l'intenzione di appropriarsi dei suoi pensieri.

«Avete dimestichezza nella ferratura?»

«Vedete cavalli, nella mia stalla?»

Jacopo gettò una rapida occhiata, sebbene conoscesse già la risposta.

Senza attendere alcuna risposta, l'uomo continuò: «E anche se ne avessi, di certo non metterei piede in quel maledetto castello.»

Forse era proprio ciò che stava aspettando. Un appiglio, per fare chiarezza.

«Volete per cortesia illuminarmi su questo vostro diniego?»

«Parlate come mangiate, messere.» Rispose sprezzante. «Non c'è nessun duca o marchese, qui.»

«Vi sto solamente chiedendo di volermi spiegare cosa vi porta a temere così tanto quel posto.»

«Non temo il castello, ma la creatura che vi dimora e ancor di più il demonio che l'ha ridotta così raminga.»

«Creatura? Quale creatura? V'è forse qualche bestia che tengono celata?»

«Bestia è solo colui che non è più. Ora, vi prego, andatevene. Non vorrei che portaste con voi la sua ombra.»

"Nostro Signore!" Pensò allora Jacopo. "Che io sia stato oggetto delle attenzioni del demonio? Per questo mi son ritrovato, questa mattina, senza alcun ricordo?" Ma non dare peso alle parole di un paesano era tra i consigli che a Mantova gli avevano abbondantemente elargito. Peraltro, gli insegnamenti della Chiesa mostravano il demonio sotto forme animalesche, non certo con le splendide fattezze di un'ammaliante fanciulla.

Jacopo indietreggiò, mentre l'uomo lo sospingeva verso l'uscita, incalzandolo con tutta la sua mole.

Branciforte abbandonò l'idea di far valutare i ferri del proprio cavallo. Avrebbe intrapreso l'itinerario interno e si sarebbe fermato in sosta al primo maniero che gli si fosse parato davanti. Lì avrebbe fatto controllare cavallo e finimenti.

Alla carne essiccata non poteva fare a meno e nemmeno alla farina di miglio.

Domandò indicazioni alla prima persona che incontrò per strada, che gli indicò uno stradello sulla destra, utile per raggiungere un mulino, sul greto di un torrente vicino.

Attraversò il bosco, tenendosi sul sentiero battuto che correva incastonato tra un dirupo, sulla destra, e un costone di monte, sulla sinistra. Il torrente scorreva in basso, lasciando che le correnti impetuose, rinvigorite dalle recenti piogge, innalzassero il proprio grido fragoroso.

Dopo un buon quarto d'ora, intravide la struttura in pietra. Un ponte ad arco sospeso a mezz'aria la ancorava al versante della collina, mentre la gigantesca ruota, di lato, pescava l'acqua direttamente dal torrente e trasmetteva il movimento alla macina interna.

Una ragazza, sulla trentina, uscì a prendere uno dei sacchi vuoti che giacevano ordinatamente impilati su un sostegno di legno, appena fuori dalla porta.

Nonostante avesse visto lo sconosciuto avvicinarsi, non aveva interrotto il proprio lavoro e continuava imperterrita a raccogliere nei sacchi la polvere di miglio triturata dall'enorme macina di pietra. Solamente quando le fu abbastanza vicino, Jacopo riuscì a discernere la goffa espressione che il suo volto aveva: per metà imbronciato, per metà sereno, un angolo delle labbra pendeva inesorabilmente verso il basso, senza per niente seguire i movimenti naturali propri del suo volto. Ella teneva i capelli neri raccolti in un ciuffo morbido e lasciava che una generosa falda andasse a nascondere quella parte del volto segnata dalla paresi.

«Quanto ne vuole?» Domandò la donna senza sollevare lo sguardo.

Jacopo rimase frastornato dallo stridore che quel volto offeso creava con la delicatezza della sua voce.

«Quanta farina vuole?» Ripeté lei, sollevando due iridi verde smeraldo.

"Che gran peccato." Pensò Branciforte guardandola, prima di rispondere: «Due sacchi basteranno.»

«Glieli preparo. Serve altro? Abbiamo anche farina di castagne e nocciolo essiccato di sansa: fa una buona brace e scalda assai, di notte.»

«Un sacco anche di quello, per favore.»

La donna si arrestò all'istante, incredula: «La cortesia non è d'uso comune, da queste parti. Da dove viene?»

«Mantova.» Rispose Jacopo sorridendo.

La donna abbassò gli occhi, mormorando: «Dunque, è lei l'ospite del castello.»

Jacopo rimase sorpreso dalla notorietà che la sua persona aveva presso la mugnaia, tuttavia non si scompose: «Jacopo Branciforte, per servirla.»

«Virginia. Virginia e basta.» Rispose lei accennando un sorriso.

Gli porse i sacchi richiesti, poi azzardò: «L'avete già incontrata?»

«Prego?»

«Aloisia...l'avete già incontrata?»

"Allora, questa donna sa!"

Non appena riuscì a riprendersi dallo stupore, rispose: «Direi di sì, più o meno.»

«Si dice che sia bellissima. È vero?»

«Questo non saprei dirvelo, madama.» Mentì. «L'ho avuta dinanzi solo per pochi attimi.»

«E non vi ha detto niente?»

«Quasi nulla.» Mentì nuovamente, voglioso di proseguire l'interessante conversazione: finalmente aveva incontrato una persona che non fuggiva dinanzi al suo nome.

«Quella povera ragazza. Non oso pensare a quello che ha dovuto patire.»

«Cosa le è accaduto? Potete dirmelo?»

Virginia rimase interdetta per un momento, ad ascoltare il sussurro del vento e respirare a pieni polmoni l'aria umida smossa dall'impeto del torrente.

«Non si può non si può non si può. Virginia non si può lo sai lo sai lo sai. Sì che lo sai.» Iniziò a sussurrare, con lo sguardo rivolto a terra.

Jacopo rimase a guardarla per eterni attimi, finché quella parvenza di follia non sembrò abbandonarla. «Vi sentite bene, Virginia?»

«Oh sì, perdonatemi.»

«Riuscireste a parlarmi di Aloisia?»

La donna gli puntò gli occhi nei suoi e scosse il capo con decisione: «Non posso, messere. Mi rincresce. Non si può parlare di lei. Tenete i sacchi, non voglio niente in cambio.» E, così dicendo, lasciò a terra miglio e sansa, voltandosi subito verso il mulino e richiudendo il portone dietro le spalle.

Jacopo rientrò al castello sul far del tramonto.

La partenza era prossima. Stimava di lasciare Fosdinovo nel giro di tre giorni al massimo. Le faccende del Duca di Mantova erano serie, non poteva indugiare oltre.

Eppure, una punta in fondo alla mente lo tratteneva dal prendere una decisione definitiva.

Un sentimento inusuale, trascinante, che lo inchiodava con il fiato spezzato; un sentimento che aveva gli occhi di ghiaccio e la pelle di luna.

~ SPAZIO AUTRICE ~
Quale segreto stanno cercando di nascondere Goffredo e Marianna?
Cosa atterrisce a questo modo gli abitanti di Fosdinovo?
Aloisia, figura sfuggente e meravigliosa, cattura la mente e trascina i cuori di chiunque incontra...

Vi aspetto nei commenti ❤️

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