Capitolo 11 . Novembre 2010

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L'atmosfera durante la cena era strana. Tommaso per lo più se ne stava in silenzio, con i piedi che da sotto il tavolo puntavano inconsciamente verso la porta. La cucina era piccola, scura, l'aria occupata dal suono delle posate e dalla televisione che trasmetteva una qualche partita di calcio.

Il cibo nel piatto di Tommaso solitamente era cucinato da lui, perché se non cucinava gli toccavano i piatti già pronti da riscaldare al microonde. Quella sera era solo pasta alla matriciana, nulla di più.

Tommaso aveva gli occhi sul piatto, le dita che si stringevano attorno alle posate come se lasciarle avesse potuto causare la sua morte.

Tommaso, a quindici anni, aveva avuto più che qualche esperienza con una ragazza. Eppure, in quelle ultime settimane, erano successe delle cose. Cose piuttosto strane, con un altro ragazzo, cose che in parte lo avevano fatto sentire in colpa e che in parte lo avevano spaventato. Era uno di prima liceo, non della sua classe. Un ragazzo piccolo, minuto, con i capelli lisci e color castano chiaro. Quando aveva iniziato a parlargli non aveva pensato subito che lui potesse attrarlo. Eppure quando di nascosto, nei bagni della scuola, era successo qualcosa, aveva iniziato a realizzare.

Si sentiva abbastanza confuso, un po' sporco. E ci pensava continuamente. A Giulio lo aveva detto, ovviamente, e Giulio gli aveva detto che probabilmente era semplicemente bisessuale, con un'alzata di spalle.

Probabilmente, però, la maggior parte della gente non avrebbe reagito così. Suo padre compreso.

Il problema di Tommaso era che faceva schifo a tenersi le cose dentro. Le sue emozioni gli colavano fuori dalla bocca senza che lui lo volesse, emergendo senza alcun controllo. Se si trattava di una cosa grossa come quella, poi, non dire nulla era ancora più difficile.

Solo Giulio poteva fargli da confidente, ma quando Tommaso era da solo con suo padre gli veniva voglia di parlare e di confessare tutto, come un criminale pentito che sa benissimo di essere colpevole.

Tommaso non li sapeva tenere, certi segreti, non a suo padre. Più grandi erano, più erano difficili da nascondere. E più lui si sentiva sull'orlo di scoppiare.

Certo, era facile finché doveva omettere alcune cose decisamente poco cool ai propri compagni di scuola, ma quella cosa, l'essere bisessuale, era su tutta un'altra categoria.

Doveva dirlo. Tanto prima o poi lui sarebbe venuto a sapere tutto, tanto valeva togliere subito il cerotto.

"Senti, papà - disse, con qualcosa che gli si agitava dentro dal nervosismo - devo dirti una cosa."

Ora, Tommaso aveva preso da qualcuno nell'aspetto, e quel qualcuno era decisamente il padre. Alto, con i muscoli di chi va in palestra tutti i giorni, tatuato e con corti capelli ricci e già brizzolati nonostante i trentadue anni, l'uomo che aveva davanti non era esattamente il prototipo del padre amorevole. Teneva lo sguardo sullo schermo e non si voltò verso il figlio quando disse "Come vuoi." Rimase invece a fissare i calciatori che correvano nella piccola tv.

"Allora, uhm - Tommaso appoggiò la forchetta nel piatto, posandosi nervosamente le mani sulle ginocchia - Io... in questi giorni sono successe delle cose."

Doveva togliere il cerotto, senza girarci intorno. Non serviva prolungare quella tortura che era la sua confessione. Si sentiva le mani sudate.

Suo padre non rispose. Tommaso non era neanche sicuro che lui lo stesse ascoltando davvero, probabilmente era molto più concentrato sulla partita che su di lui.

Avrebbe potuto fare coming out e forse lui nemmeno lo avrebbe sentito, tutto preso da quello stupido sport e dalla sua birra.

"Puoi almeno guardarmi mentre parlo? È importante."

L'uomo all'altro capo del tavolo alzò gli occhi al cielo con la faccia di un ragazzino arrabbiato ripreso dalla madre, poi lo fissò negli occhi "E dimmi quello che devi, allora."

Gli occhi scuri di suo padre lo guardarono con aria annoiata, il viso scuro, la barba un po' incolta.

A Tommaso non piaceva suo padre.

"Sono bisessuale - riuscì a dire, e quando suo padre aggrottò le sopracciglia si affrettò a dire - Nel senso, mi piacciono sia i ragazzi che le ragazze. È una cosa che ho capito da poco."

Suo padre rimase fermo per un attimo, poi ridacchiò, alzando lo sguardo al soffitto "Cioè mi stai dicendo che sei una checca ma non hai nemmeno il coraggio di ammetterlo del tutto?"

"Io... - disse Tommaso, che ancora doveva riprendersi dalla propria confessione prima di ricevere una risposta del genere, arrivata come una mazzata - Non sono una checca."

"Oh certo. Immagino - suo padre prese un sorso dalla propria bottiglia - Solo questa mi mancava, il figlio effemminato. La prossima qual è, vuoi anche diventare donna?"

Tommaso teneva lo sguardo basso, cercando di replicare "Non è quello..."

"Non serve che spieghi, Tom. Ho già capito. È una gran bella delusione, ma non devi giustificarla. È così e basta."

Il ragazzo si alzò in piedi, andando in camera sua senza dire una sola parola. Suo padre rimase nell'altra stanza, non lo richiamò né venne da lui. Non aveva urlato né strepitato, Tommaso si era aspettato anche uno schiaffo o due.

Invece suo padre era rimasto tranquillo e disinteressato nel peggiore dei modi, come a dire "Certo, l'ennesima delle sue cazzate. Tanto ormai siamo alla deriva, chissene frega.", il che forse faceva persino più male.

La sua stanza era piccola, coperta di poster e con la chitarra gettata sulle lenzuola. Il suo piccolo luogo d'approdo in quella casa che odiava, che ormai gli sembrava così sola e silenziosa, da quando mamma e Salvatore erano andati via. Da quando in casa c'erano solo loro due.

Si sedette sul letto, prendendo in mano il proprio Mp3. Si infilò le cuffie e chiuse gli occhi, ascoltando una canzone dei Van Halen e stringendo le palpebre.

Dopo qualche secondo si disse che in fondo poteva anche piangere, tanto nessuno lo guardava.

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