Capitolo 2 . Aprile 2007

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Se Giulio all'età di vent'anni era secco e smilzo come uno stecchino, lo stesso non si poteva dire di lui otto anni prima.

Era infatti un ragazzino piccolo e piuttosto paffuto, con un bel paio di occhi castani. Un ragazzino che aveva compiuto l'insano gesto di baciare una persona del suo stesso sesso qualche tempo prima e che adesso camminava per i corridoi della scuola sentendosi sussurrare dietro non solo a causa del proprio aspetto, ma anche di quella sua fatale azione che gli aveva lasciato addosso la nomea di frocio.

Un ragazzino che leggeva tanto, usciva poco di casa e aveva un solo amico, lo stesso che imprecava e insultava chiunque osasse anche solo guardarlo male e che sembrava odiare così tanto il modo in cui lui veniva trattato.

Un ragazzino che quel giorno era uscito di casa e si era aggirato per le strade di Siracusa alla ricerca della pasticceria più vicina, con la sola intenzione di fare merenda. Avrebbe potuto camminare lungo la strada che anni prima i suoi genitori gli avevano insegnato, quella più larga, affollata e quindi a modo suo sicura, perché se gli fosse successa una qualsiasi cosa, sarebbe almeno stata sotto gli occhi di tutti.

Invece aveva deciso di prendere una scorciatoia di cui era venuto a conoscenza appena qualche settimana prima, che passava in mezzo a strade decisamente poco frequentate ma che gli faceva risparmiare almeno cinque minuti. Disgraziatamente, sulla stradina stretta, ombrosa e solitamente vuota, stavano camminando altri due ragazzi, esattamente dietro di lui.

Giulio li conosceva e li aveva notati dal rumore dei loro passi. Voltandosi, li aveva visti, e loro avevano visto lui.

"Ehi ehi! Guarda, lì c'è il frocetto!"

Giulio decise di camminare più velocemente, stringendo con forza in una mano il libro che avrebbe voluto leggere mentre, seduto su un tavolino nella pasticceria, mangiava il proprio gelato. Non corse, perché non voleva mostrarsi troppo preso dal panico.

Sentì uno dei due arrivargli alle spalle e sfilargli con l'abilità di un ladro il libro dalle mani "Che cosa leggi, frocetto? I porno gay li hai tutti qui?"

Giulio si voltò più velocemente che poteva e cercò di afferrare ciò che gli era stato rubato, senza alcun successo.

"Ridammelo! Non è-"

"La sua camicia di cotone azzurro spicca allegramente sulla parete color cioccolato. Anche questo dà la Nausea. O piuttosto, è la Nausea. La Nausea non è in me: io la sento laggiù sul muro, sulle bretelle... ma che razza di roba leggi? Io speravo in qualcosa di più succoso..." il ragazzo, scostandosi i capelli lisci e lunghi dal viso, aveva letto qualche riga, per poi voltarsi con aria abbastanza confusa.

"Magari ha qualcosa di più interessante nascosto addosso, sai, con tutta quella trippa - suggerì l'altro, che fino ad allora se n'era stato tranquillo - te le nascondi addosso, le tue cose sporche?"

Il secondo ragazzo si avventò su di lui, ridendo e cercando di frugare nei suoi pantaloni, o sotto la sua felpa. La prima reazione di Giulio fu di ritrarsi, ma ne ottenne solo un pugno su uno zigomo che lo fece arretrare di un paio di passi. Il bruciore gli infiammò il viso e il ragazzino si rese conto di star perdendo sangue. Il pugno che lo aveva colpito era armato di anello e gli aveva lasciato un grosso taglio.

Fu in quel momento che si rese conto che la cosa sarebbe potuta evolvere in modo ben peggiore degli scherzi e delle battute che subiva abitualmente e decise che forse era il caso di lasciar perdere il libro. Cercò di voltarsi e correre via, ma si sentì afferrare per il cappuccio e tirare all'indietro, emettendo un verso soffocato.

"Dai Di Stefano, ci divertiamo! Non fare sempre l'asociale e resta un po' con noi!"

Sentì arrivare il secondo pugno e non ebbe il tempo di alzare le mani per proteggersi, ma questo sbagliò la mira di qualche fondamentale centimetro. Giulio non fu colpito né alla guancia né sulla mascella, ma nell'occhio destro, con lo stesso anello che lo aveva appena tagliato. Il dolore bruciante lo fece gemere di dolore e lo costrinse a chiudere l'occhio, mentre lo sentiva riempirsi di un liquido caldo.

Cercava di pronunciare qualcosa, ma il dolore gli aveva tolto il fiato e gli consentiva solo di pronunciare qualche rantolo di dolore e paura. Stava perdendo sangue, l'occhio stava perdendo sangue.

Si sentì colpire altre volte, mentre con una mano si copriva l'occhio ferito, in viso come sullo stomaco, ma arretrando e incassando colpi si sentì cadere, le sue gambe sembravano essersi impigliate tra di loro. Tenne gli occhi chiusi e cercò di stringersi su sé stesso come avrebbe fatto un riccio, ma sentì arrivare altri colpi, che gli tolsero il fiato. Poi, dal nulla, i due ragazzi corsero via, forse spaventati da un rumore e convinti di essere sul punto di essere beccati da qualcuno.

Invece non arrivò nessuno. Giulio rimase steso sulla strada di mattoni, sentendo il sangue che ancora colava dall'occhio ferito. Non osò immaginare come esso dovesse essere ridotto. E ora? Che cosa avrebbe dovuto fare? Come avrebbe spiegato ai suoi genitori che cosa gli era successo? Forse era più semplice cercare di sistemare la situazione senza che loro se ne accorgessero.

E lui conosceva qualcuno i cui genitori, in quel periodo, non facevano altro che uscire per andare dal loro avvocato divorzista.

Il ragazzo si alzò a fatica, sentendo pulsare i punti dove era stato colpito. Il sangue gli era colato sulla felpa e probabilmente la sua faccia era un disastro.

Si calò il cappuccio sul viso e pregò di non incontrare nessuno che gli desse un'occhiata di troppo. Avrebbe voluto togliersi il sangue dal viso con un fazzoletto, mentre camminava con le gambe tremanti verso la propria destinazione, ma tutto il suo viso era dolorante e in fiamme.

Si sentiva confuso e dolorante, spaventato... ma non arrabbiato. La sua era routine e quello, in fondo, era stato solo un ennesimo esempio di quanto lui agli occhi degli altri facesse schifo.

Riuscì ad arrivare a casa di Tommaso senza collassare e senza che nessuno gli rivolgesse la parola, incontrando solo un paio di persone che lo guardarono in modo strano.

Suonò il campanello e aspettò, senza sapere che cosa aspettarsi dal proprio amico. Cosa gli avrebbe detto? Ad aprirgli, però, non fu Tommaso.

"G-Giulio? Che è successo?"

Salvatore, il fratello gemello del suo migliore amico, aveva un'aria piuttosto turbata, e a ragione, probabilmente. Il suo viso doveva essere ben più che un disastro.

"Tommaso è in casa?" si limitò a chiudere il biondo, senza sapere assolutamente cos'altro dire.

Salvatore si voltò verso destra, passandosi nervosamente una mano tra i riccioli castani "Credo che sia in camera sua, te lo chiamo?"

"No, faccio io, figurati."

Giulio camminò per la casa che conosceva da quando era nato e arrivò alla porta della camera di Tommaso, dalla quale proveniva, vagamente attutita dal fatto che la porta fosse chiusa, quella che aveva tutta l'aria di essere una canzone dei My Chemical Romance.

Giulio bussò alla porta con il braccio leggermente dolorante "Tommaso, sono io, posso entrare?"

Giulio sentiva ancora gli occhi preoccupati di Salvatore su di sé. Il ragazzo era vicino a lui ma non osava in alcun modo chiedergli cosa fosse successo, anche se, almeno così immaginava Giulio, la domanda doveva bruciargli sulla punta della lingua.

Tommaso aprì la porta, e se per un attimo il suo viso brufoloso nel vederlo espresse tutta la propria gioia, un'altra vasta gamma di emozioni si dipinse accuratamente su di lui, dall'incredulità, alla preoccupazione, alla rabbia.

"Giulio! Porca... oh porca troia che cosa hai fatto?" chiese, raddrizzandosi nervosamente gli occhiali ridicolmente enormi sul naso.

"Ho un po' di mal di testa, non urlare."

Tommaso aveva uno sguardo scuro e indurito. Spense la musica e gli disse, con una rabbia a stento nascosta, che dovevano assolutamente andare in ospedale, chiamando un'ambulanza. Una rabbia rivolta non verso di lui, lo sapeva, bensì verso chiunque lo avesse ferito.

"No, aspetta... non serve l'ospedale..."

"Giulio, ti sta sanguinando l'occhio... io... guarda che potrebbe essere grave... chi è stato?"

Altra rabbia nella voce. Tommaso mostrava così il proprio affetto, con un furore protettivo, lo stesso che spinge certi animali a difendere i più deboli del branco.

"Non è questo il problema... Salvatore! Chiama un'ambulanza! Tu... tu siediti, ecco, magari provo a pulirti dal sangue..."

A dodici anni, per quanto Tommaso tentasse di sembrare un duro, era ancora un ragazzino che si piastrava i ricci in un ridicolo ciuffo da emo tinto di azzurro che non aveva idea di come gestire un amico pestato a sangue. Tremava leggermente, forse di rabbia o spavento, si disse Giulio, che cercava di concentrarsi sulle emozioni del migliore amico per non focalizzarsi troppo sulle proprie.

Giulio non voleva l'ambulanza o l'ospedale. Non voleva neanche che i suoi genitori sapessero cosa era successo, ma sapeva che andare all'ospedale era necessario. Un occhio che sanguinava non sembrava proprio una cosa da niente. Però Giulio non voleva spiegare di essere "il frocetto". Si vergognava.

Eppure l'ambulanza arrivò e in seguito, in ospedale, arrivarono i suoi genitori, agitati e terrorizzati. Giulio venne messo sotto anestetici, quindi si ritrovò a essere piuttosto confuso e a non capire bene cosa gli accadeva attorno, nell'affollato pronto soccorso dove dottori lo controllavano, gli facevano domande, cercavano di capire quali fossero i danni. Giulio ammise ai genitori di essere stato picchiato, ma si morse la lingua quando loro gli chiesero il perché e chi fosse il responsabile. Se fosse stato zitto i suoi genitori avrebbero rinunciato a pressare e stressare un ragazzo che era già stanco e dolorante e avrebbero concluso che lui era stato preso di mira per via del suo peso. Il che non era del tutto errato.

Alla fine si trovò in un letto d'ospedale, con tante garze attorno alle ferite visibili, pomate sui lividi e una benda sull'occhio non molto piratesca. Riguardo l'occhio, dicevano i dottori, sarebbe dovuto rimanere a riposo per un po' e solo in seguito si sarebbero potuti identificare con precisione i danni. Nel frattempo Giulio fu fatto rimanere in ospedale un paio di giorni, per essere tenuto d'occhio.

Durante il primo degli orari di visita, il ragazzo sotto antidolorifici si vide piombare nella stanza Tommaso e Salvatore.

"Che succede? Giulio, come stai?" chiese Tommaso, che aveva tutta l'aria di aver corso parecchio e aveva il fiatone. Il ragazzo andò verso di lui e gli appoggiò le mani sulle spalle, guardandolo fisso.

"Eh? Tutto bene... sai, devo solo essere tenuto d'occhio per un po'..."

"Giulio, me lo dici chi è stato?"

"Tom, no."

Il mondo di Giulio era leggermente sfocato per colpa degli antidolorifici, oltre che essere privo di profondità. Si sentiva stanco, come se stesse per addormentarsi.

"Io sono stufo di tutti quelli che ti trattano di merda, uno non può farti di questo e non pagarla! Dai Giulio, chi è stato?"

Giulio sospirò. Non lo avrebbe detto. Non voleva vendetta e non voleva che Tommaso facesse qualcosa di estremamente stupido. Questi erano i suoi pensieri messi faticosamente in fila mentre l'antidolorifico scorreva e lo stordiva come un qualche tipo di droga.

"Non te lo dico."

"Giulio, dimmelo."

Gli girava la testa e non sapeva come parlare. Aveva la bocca pastosa e tanta voglia di chiudere l'occhio sano.

"No."

"Se non me lo dici non ti salvo più il culo e ti ignoro per il resto della mia vita."

Il Giulio sano e non sotto effetto di medicinali avrebbe saputo benissimo che Tommaso non sarebbe stato in grado di abbandonarlo neanche volendo. Ma il Giulio stordito non ne aveva idea.

"No, aspetta, non dire così..."

"Rispondimi."

Giulio sbuffò "Sono stati Samuele e Nicolò, ora basta, dai... non fare cose stupide."

Neanche il tempo di dirlo e Tommaso si era gettato fuori dalla stanza. Pronto a compiere una carneficina.

Giulio non seppe nulla da Tommaso fino a quando non fu mandato a casa con la raccomandazione di togliere la benda dopo un certo quantitavo di giorni.

Il suo migliore amico infatti venne subito a trovarlo e Giulio decise, nel momento stesso in cui aprì la porta al suo amico, che gli avrebbe chiesto delle spiegazioni.

Lo fece entrare, i due si diressero al frigo per mangiare qualcosa e Giulio lanciò la bomba "Quindi, hai più visto Samuele e Nicolò?"

Tommaso si lasciò andare a un sorrisetto nervoso, ma non provò neanche a negare "Io e Salvatore gli abbiamo fatto il culo."

"Non ti ho chiesto di farlo."

"La gente non può trattarti così e non pagare, e devono capirlo tutti."

Tommaso incrociò le braccia e lo guardò negli occhi. Sapeva che Tommaso non avrebbe mai accettato che la gente fosse cattiva con lui e che avrebbe reagito a ogni sopruso con tutta l'aggressività che aveva dentro.

Sospirò e lasciò cadere l'argomento, alzando gli occhi al cielo.

Passarono i giorni. Giulio andò a scuola con la benda sull'occhio, guadagnando occhiate stranite e nuovi sussurri bisbigliati alle sue spalle. Nessuno gli chiese apertamente che cosa gli fosse successo e Tommaso gli girava attorno come un cane da guardia, perennemente alla ricerca di qualcuno che lo trattasse male da poter mettere con la testa a posto.

Però non accadde nulla di orribile. Giulio se ne stava per i fatti suoi, Tommaso gli faceva tantissimi disegni e faceva allontanare Samuele e Nicolò ogni volta che loro lo vedevano (avevano entrambi un gran bel paio di lividi, ma probabilmente non avevano detto niente perché sennò sarebbe saltato fuori che avevano malmenato Giulio). Alla fine, il mondo continuò a girare come sempre, fino a quando Giulio non si trovò di nuovo a casa di Tommaso.

Quest'ultimo stava strimpellando la chitarra che i suoi genitori gli avevano comprato da poco ("Evidentemente sono convinti che comprandomi qualche cosa che ho sempre voluto non ci resterò male per il divorzio. Idioti.", queste erano state le parole del ragazzo in merito alla chitarra.)

"Domani ci vieni da me? Per quando devo togliere la benda... magari, non so, mi troverai con qualche assurda mutazione."

Tommaso tolse le mani dalle corde e appoggiò le nocche al proprio mento "Beh, sarebbe interessante vederti con un occhio rosso. Ma... che ne dici di farmi un favore?"

"Cioè?"

"Toglila adesso. La rimetterai subito dopo e domani farai finta di levarla davanti ai tuoi per la primissima volta. Che ne dici?"

"Il dottore mi ha detto di toglierla domani, in realtà."

"Dai - Tommaso sorrise, tentatore - Ventiquattr'ore non cambieranno molto. E poi, anche tu sarai curioso."

"Avrò un occhio normalissimo, lo sai vero?"

"Beh... scopriamolo! - Tommaso saltò su, lasciando la chitarra sul letto e dirigendosi verso di lui - Se lo farai ti farò un disegno gigante, su una tela. O ti regalerò qualcosa. Dai, dai!"

Giulio sorrise, divertito "Beh, sembra una proposta impossibile da rifiutare..."

"E allora non rifiutarla! Fammi questo regalo, su!"

Giulio chiuse anche l'occhio sano e lasciò che l'altro, con movimenti sorprendentemente delicati, gli sciogliesse il bendaggio.

"Apri gli occhi, Giulio. Voglio vedere se sei un mutante."

Il ragazzo fece come richiesto e Tommaso sussultò "Oh porca troia."

"Che?"

"Oh cazzo. Porca troia. Ti serve uno specchio."

"Dai Tom, non fare scherzi stupidi..."

Il ragazzo dai ricci corvini prese l'amico per le spalle e lo portò dritto davanti allo specchio a corpo intero che stava nella stanza. Amico che chiuse di nuovo l'occhio che era stato ferito dato che la luce lo feriva, dopo giorni e giorni di buio.

Giulio aprì appena l'occhio, aggrottando subito le sopracciglia.

"Oddio..."

L'occhio di Giulio era diventato come sarebbe stato per tutti gli anni a venire, cioè di un azzurro chiaro che prima non c'era mai stato.

...
Inizialmente Giulio era un bimbo Tumblah con gli occhi verdi, ma poi abbiamo detto "Vogliamo DRAMA" e niente...

Chissà perché ora è quasi sempre a dieta, eh?

Forse perché ha I TRAUMI.

Muahahahah è il nostro Softboy.

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