18. Il codice morale delle azzuffate

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Lo scandalo dello studio Kolman fece il giro dello Stato in un baleno. Quando una personalità così eminente viene smascherata, l'opinione pubblica solitamente si divide in coloro che ne sostengono l'innocenza a spada tratta e coloro che rincarano la dose, aggiungendo false accuse.

Tuttavia, in quel caso ci fu ben poco da difendere e anche la sua famiglia si guardò bene dal rilasciare dichiarazioni. Papà ci spiegò che sicuramente era una mossa consigliata dai loro avvocati, timorosi che l'apertura di nuove indagini potesse far sorgere nuovi capi d'accusa.

In effetti, per i media era praticamente colpevole anche del buco dell'ozono e del riscaldamento globale. Giusto a causa della data di nascita non era stato accusato anche dell'omicidio di Francesco Ferdinando - e Gavrilo Princip muto.

Le lezioni del signor Foster mi facevano più male di quanto ero pronta ad ammettere.

Ovviamente, dopo aver consegnato alla giustizia il capo e fatto il doppiogioco per mesi, mio padre e Klaus Rogers non erano ben visti dai colleghi più fidati di Kolman, la sacra triade come si divertivano a chiamarli in ufficio. Per fortuna la maggior parte dei soci aveva ben compreso le loro intenzioni, per cui entrambi erano stati promossi con buona grazia di Austin.

Aveva sperato di poter lasciare la città una volta terminate le indagini, ma la nomina a Senior di suo padre era sinonimo di stabilità.

Io, d'altra parte, cercavo di fare di tutto per non fargli pesare la situazione, per lo più coinvolgendolo nelle uscite con Lucas, Malcolm e Garret. Anche quella sera avevo assolto al mio ruolo di prima amica in città - che Amy continuava a suggerire di modificare in amici con benefici - e lo avevo convinto a partecipare alla festa che Lucas aveva organizzato in casa nostra.

In realtà non era una vera festa perché nessuno di noi tre aveva intenzione di pulire da cima a fondo la casa per colpa di una mandria di adolescenti che non avrebbero fatto altro che pomiciare, ubriacarsi e vomitare.

Amelia ci aveva scaricato in tre secondi netti, asserendo che non aveva intenzione di passare la serata in compagnia di un branco di scimmioni con il quadricipite più allenato del cervello; piuttosto, disse, avrebbe raggiunto mamma dall'altra parte dello Stato al convegno sulla traumatologia a costo di vedere corpi martoriati e ossa rotte tutto il weekend.

Non me l'ero sentita di darle torto, d'altronde i compagni di squadra di Lucas non brillavano certo per l'ingegno e gli uomini in camice bianco hanno sempre esercitato del fascino su di me.

Quando suonò il campanello annunciando che gli ultimi ospiti erano finalmente arrivati, mi precipitai ad aprire sperando che anche Austin fosse tra loro. Tirai un sospiro di sollievo quando lo notai insieme ad altri quattro compagni.

«Rogers, ci sei anche tu. Chi è che ti ha invitato?» domandai ironica, rivolgendogli una finta occhiata sprezzante.

«La padrona di casa, non so se la conosci» studiò l'ambiente in cui lo invitai a entrare con aria guardinga, come a volersi accertare che nessuno lo stesse ascoltando. «Ho dovuto subire i suoi tormenti per giorni... è una vera rompiballe!»

Spalancai gli occhi e lo colpii alla spalla, facendolo ridere di gusto. Mi piaceva di più quando le arcate di denti bianchissimi gli illuminavano il viso e gli occhi, facendoli risplendere di una nuova luce.

«Questa rompiballe te la farà pagare» minacciai mentre lui si sporgeva su di me per lasciarmi un bacio sulla guancia. Quando le sue labbra schioccarono sulla mia pelle ripensai a ogni volta che mi aveva salutato in quel modo, scoprendo che mai, prima d'allora, avevo avvertito il cuore pulsare così forte.

Ecco, stavo avendo un infarto.

Sono troppo giovane per morire, non ho ancora vinto il campionato! pensai, allontanandomi da lui solo per guardarlo negli occhi e scoprirli di un blu brillante.

«Impossibile, mi vuoi troppo bene! Ormai ti ho conquistato» ammiccò divertito osservando le mie sopracciglia arcuarsi per sottolineare l'assurdità di quelle parole.

«Ti piacerebbe» replicai solamente, spostandomi nella sua direzione per colpirlo con un movimento d'anca e spingerlo a raggiungere gli altri sul divano.

Ringraziai la congiunzione astrale che aveva fatto sì che Amy uscisse con Margot, lontana chilometri da quella casa e da quella conversazione, perché se io potevo asserire di star avendo un infarto nonostante i sedici anni e la perfetta salute, lei di certo non sarebbe stata così comprensiva.

Austin si accomodò sul divano accanto a Malcolm, troppo impegnato a scommettere su quando Lucas si sarebbe accorto che Kate stravedeva per lui per accorgersi del suo arrivo o del fatto che mio fratello aveva notato quello scambio di contanti tra lui e Garret e avrebbe chiesto spiegazioni.

Io li raggiunsi poggiandomi sul bracciolo per poterli osservare al meglio e, al contempo, non perdere di vista Austin il quale, sebbene faticasse ad ammetterlo, aveva ancora qualche difficoltà a sentirsi parte integrante di quel gruppo.

«Avrei segnato se non fosse stato per quel coglione entrato a gamba tesa sulla mia caviglia!» berciò mio fratello mentre chiacchieravano della loro ultima partita, terminata in un pareggio.

Kate, accanto a lui, si accese in un lampo. «È vero!» esclamò, attirando su di sé l'attenzione di Lucas, «Dalle gradinate si è visto benissimo che si è lanciato quando tu avevi già la palla tra i piedi».

Lui annuì con forza dando adito alle sue parole e a me venne da ridere. Come diavolo faceva a non accorgersi che la mia migliore amica gli sbavava dietro in quel modo? Avrebbe detto qualsiasi cosa per compiacerlo.

Malcolm sghignazzò, rendendo così noto ai compagni di squadra il motivo della sua ilarità e beccandosi per quello uno scappellotto da parte mia, che avevo il compito di preservare la mia amica da eventuali scherni.

Fui costretta a sporgermi dal bracciolo su cui ero seduta, allungandomi dietro Austin e costringendolo a spostarsi in avanti per lasciarmi spazio, ma ne valse la pena dal momento che Boot non mi aveva visto arrivare e scattò in piedi come un fulmine.

«Vaffanculo, Sam, mi hai fatto male» si lamentò, massaggiandosi la parte lesa. Era completamente rosso in viso e aveva trattenuto il respiro un paio di istanti prima di inveire contro di me.

Tutti gli occhi erano puntati su di lui, al centro del salotto, e nessuno prestava più attenzione agli occhioni di Kate che mandavano cuori a Lucas.

Missione compiuta.

«Misà che te la sei pure fatta sotto, amico» lo schernì Martin Hurt, suscitando l'ilarità dei compagni alla vista dei suoi abiti bagnati dall'acqua che stava bevendo.

Ci provai a non ridere per una questione d'orgoglio - fosse stato per me non sarebbe nemmeno stato invitato, ma Lucas ci teneva a non creare problemi interni alla squadra - tuttavia osservare Malcolm sfilarsi la felpa solo per tirargliela in faccia e poi piombargli addosso fu troppo esilarante per trattenersi.

Ero ancora allungata sul divano, con le gambe dietro la schiena di Austin e il busto ormai protratto in avanti dove prima era seduto Boot, quando Lucas decise che era il momento opportuno per vendicare il suo migliore amico.

Me lo ritrovai addosso senza poter fare nulla per difendermi da lui e dalla sua massa muscolare troppo più sviluppata della mia. Dannate differenze di genere! Gli bastava cogliermi di soprassalto, senza darmi il tempo di elaborare la mia resistenza, e riusciva a rigirarmi come un calzino.

Si chinò sulla mia pancia e mi avvolse con i suoi bicipiti da scimmione per sollevarmi, rischiando persino di farmi colpire Austin con un calcio mentre lui mi faceva roteare e infine mi adagiava senza alcuna delicatezza sulla sua spalla.

Sentii il respiro mozzarsi quando atterrai con l'addome sulle sue ossa, tuttavia riuscii a vendicarmi immediatamente scivolando all'indietro e avvolgendogli le gambe intorno al busto per mantenermi mentre gli morsicavo la pelle morbida del braccio.

In momenti come quelli riuscivo a comprendere i motivi che avevano spinto la mamma a chiamarci tribù di selvaggi.

«Sam!» sbraitò, dimenandosi per farmi mollare la presa. «Avevamo detto niente morsi.»

I suoi compagni di squadra non erano troppo interessati a noi; ci osservavano di sottecchi per controllare che nessuno ci rimettesse le penne urtando contro qualche mobile appuntito mentre ci separavamo, ma erano abituati alle nostre faide.

Austin, al contrario, pareva indeciso se intromettersi per placare gli animi o farsi gli affari suoi e risparmiarsi una colluttazione con due uragani in azione. E sembrava decisamente più propenso per la seconda.

«Aspetta, avete davvero delle regole per quando vi azzuffate?» s'intromise un altro ragazzo, distraendoci definitivamente.

«Certo» rispose Lucas ovvio, come se fosse consuetudine redigere un accordo per decidere quali colpi fossero ammessi in un duello. «Io non posso tirarle i capelli e lei non colpisce i gioielli di famiglia» spiegò, suscitando l'ilarità generale.

«I morsi sono vietati perché mamma ci becca sempre notando i segni dei denti e poi ci punisce» aggiunsi io, chiarendo la situazione e avvicinandomi al suo braccio per controllare se ci fosse il segno.

Mamma e papà non sarebbero tornati prima di domenica sera, tuttavia Amy avrebbe potuto notarlo e usarlo per ricattarci, dunque non potevamo permetterci di essere scoperti.

«Vado a metterci una bottiglia d'acqua fresca sopra» disse, dirigendosi verso la cucina dopo avermi dato una debole spinta.

Di tutta risposta gli feci la linguaccia mentre sistemavo i capelli, completamente sparati in ogni direzione dopo la capriola con cui mi aveva sollevato. Sentivo le gote purpuree e una sensazione di calore attorno alla base del collo, lì dove la felpa si restringeva, così decisi di sfilarla e rimanere in canottiera.

Le temperature esterne stavano diventando severe, tuttavia il riscaldamento in casa era alto poiché Amelia era estremamente freddolosa - al contrario di me e Lucas, che eravamo perennemente accaldati e non solo perché ci azzuffavamo di continuo.

«Miller, nessuno ti ha detto che le canottiere non fanno per te?» mi apostrofò Hurt mentre riprendevo il mio posto tra Austin e Boot. «Hai le braccia grosse, non dovresti metterle.»

Mi infervorai. Avvertii distintamente un formicolio salire dalle piante dei piedi fino al cervello, scoppiando come una bomba a orologeria.

Ero consapevole che lo facesse solo per provocarmi e ne ebbi l'ennesima prova perché mio fratello era ancora in cucina e nessuno, a eccezione di Austin, l'aveva sentito. Lui si divertiva a farmi perdere le staffe recitando la parte dell'innocente che subisce l'ira dell'isterica.

«Lo dici solo perché i miei bicipiti sono più muscolosi dei tuoi» replicai velenosa, flettendo un braccio per mostrare il muscolo e fulminandolo con gli occhi.

Martin Hurt si rabbuiò notando che il mio tono di voce, decisamente più alto del suo, aveva suscitato l'attenzione e l'ilarità dei presenti, che non avevano mai compreso del tutto i nostri battibecchi ma si divertivano sempre un sacco a nostre spese.

Alla fine fui costretta ad alzarmi dato che avvertivo la rabbia sfrigolare sotto pelle e accendermi tutta, facendomi desiderare ardentemente di rompergli quel naso perfetto con un pugno.

Marciai verso la cucina da cui era appena uscito Lucas, che mi aveva dato un buffetto sulla spalla senza accorgersi di quanto fossi incazzata, e scolai due bicchieri d'acqua ghiacciati nel tentativo di calmarmi.

Sapevo di rischiare una congestione, ma non mi interessava finché fossi riuscita a spegnere quel fuoco rabbioso che mi ardeva sotto la pelle. Odiavo arrabbiarmi in quel modo, la furia cieca era un sentimento da cui cercavo di tenermi alla larga perché avevo l'impressione di perdere il controllo sulle mie azioni e compiere una pazzia.

Di solito era Amelia a calmarmi, il suo temperamento statuario e la quiete che riusciva a trasmettermi avevano la capacità di rasserenarmi come se un'onda gelida si fosse abbattuta sulla mia rabbia infuocata, spegnendola.

«Tutto bene?»

Quella sera, tuttavia, solo sentire la sua voce ebbe il potere di scuotermi, facendo passare in secondo piano qualsiasi idiozia di Martin Hurt.

«Sì, non ti preoccupare, ci sono abituata» lo rassicurai, voltandomi per guardarlo in viso.

Austin non sembrava convinto, aveva un'espressione corrucciata e sembrava sul punto di dire qualcosa. Sospirò rumorosamente, poi esalò piano: «Mi dispiace non essere intervenuto, mi ha spiazzato e non sapevo cosa dire».

Sorrisi per quella premura, facendo qualche passo nella sua direzione per accarezzargli il braccio nel tentativo di rassicurarlo.

«Non c'è bisogno di scusarti, so difendermi da Hurt» lo rimbeccai, sottolineando che il ruolo della damigella in pericolo, come aveva potuto appurare in diverse occasioni, non mi si addiceva. «E non ti chiederei mai di intrometterti, non lo chiedo nemmeno a Lucas perché non voglio che i nostri screzi turbino l'equilibrio della squadra.»

Ormai lasciavo correre per quieto vivere - e per non concedere a quel pallone gonfiato di sapere che mi aveva ferito - e stavo effettivamente migliorando nel lasciarmi scivolare addosso le sue cattiverie.

Tuttavia non era ancora abbastanza dato che di tanto in tanto - principalmente quando mi coglieva di sorpresa, come alla prima partita di campionato o quella sera stessa - i suoi fendenti andavano a segno in profondità, come lame di coltelli che penetrano facilmente nella pelle morbida del fianco.

«Ho notato che te la cavi abbastanza bene» sorrise in risposta, probabilmente rispolverando un paio di conversazioni a cui aveva assistito, poi mi avvolse un braccio intorno alle spalle e insieme ci incamminammo di nuovo verso il salotto.

«Allora, si parlava del codice morale delle azzuffate. Ci sono altre regole che dovrei conoscere?»

Nel caso ve lo stiate chiedendo, sì, il codice morale delle azzuffate esiste veramente 😂

Si ispira alle lotte tra me e mio fratello in cui vigeva il tacito accordo di poterci colpire ovunque tranne che nelle zone più delicate. Ci abbiamo rimesso anni di lividi su gambe e braccia, ma ne è valsa la pena ahahahahah

Come al solito sono in ritardo nel rispondere ai commenti, ma nei prossimi giorni mi porterò avanti 🤓

Intanto spero che il capito vi piaccia 🎀

A martedì ⚽

Luna Freya Nives

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