Aprile

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«Mamma, venerdì sera vorrei andare a ballare».

La madre l'aveva guardata in maniera interrogativa, non tanto per il fatto in sé, ma perchè sua figlia pareva l'ultima sulla faccia della terra a poter chiedere di andare in discoteca con la scuola il giorno dopo.

«Venerdì? Ma il sabato Rebecca, non vorrei romperti le uova nel paniere, tu vai a scuola».

«Si lo so, ma è per una volta!»

«Cosa conta? Non voglio che tu faccia la zombie per tutta la mattina, per poi arrivare a casa e dormire tutto il pomeriggio».

«Mamma non ho mai fatto la zombie. Le volte che sono andata a ballare non hai mai avuto problemi con me. Puoi starne sicura».

«Non si è mai sicuri con i figli. Lo imparerai, sei sempre in pensiero a prescindere da quanta fiducia hai dei tuoi figli».

«Ok, mamma, ma fidati, è per una volta».

Lo aveva progettato Luna, che dopo centomila inviti ricevuti aveva finalmente trovato un modo sicuro per fare serata anche venerdì, cosa che era tassativamente vietata a tutte le altre dato l'andamento scolastico un po' discutibile. Tutte tranne a Rebecca, che dentro quella classe andava a spasso senza problemi, si poteva permettere di chiedere un favore in più ai suoi genitori.

Era stata Luna a trovare i posti sul pulmino navetta per Marina di Ravenna, chiedendo ad amici che erano stati ben contenti di fare spazio a due ragazze. E poi erano partite, alle undici e mezza, con questa euforia addosso mista al senso di novità, loro due, nell'ignoto del venerdì sera a Marina di Ravenna, con una fotocopia della carta d'identità sistemata da un amico, alla bell'e meglio, in cui risultava che erano maggiorenni.

Storia con gli altri del pulmino che le attorniano e Luna che racconta un orrendo «Quando piange un pero? Quando è dis-perato!»

E poi erano entrate, con ragazzi grandi, anche molto più grandi. Ma l'effetto non era stato quello di sentirsi «piccole», inadatte, anzi, in un ambiente totalmente diverso, totalmente nuovo e pieno di gente mai vista, che a sua volta non le conosceva, erano gasate. Luna a differenza di altre volte non aveva mollato Rebecca, se l'era portata a spasso e diverse volte l'aveva messa in mezzo, facendo battute, piazzandola a un gruppetto che lei conosceva. E poi le aveva detto che tornava subito, mentre Rebecca parlava con uno che a dir poco aveva vent'anni e un fisico da centroboa a pallanuoto.

Avevano parlato e parlato, lei guardandolo con lo sguardo più profondo che poteva, perchè il tipo era carino e lei era lì intenzionata a riempirsi il tempo. Lui era sembrato interessato, si erano scambiati i profili instagram e da quei profili avevano ricavato un altro argomento di discussione come l'estate, e la nostalgia dell'estate, e il piacere dell'essere nostalgici dell'estate.

Rebecca si era rilassata, primo perchè le stava passando bene, secondo perchè si era convinta che quella serata sarebbe filata via liscia con tutti i guai di Luna, e lei non si sarebbe ritrovata a vedere l'amica chiudersi in un bagno...

«Reby vieni, ti prego vieni dobbiamo andare in bagno».

«No Lu, ma che è successo ancora?».

«No Reby te devi venire, cazzo dobbiamo andare subito ti prego Reby!».

E di nuovo quelle unghie.

«Lu vuoi usare le lamette?».

«Reby andiamo in bagno, dobbiamo, dobbiamo!».

«Lu le vuoi usare si o no?!».

«Reby andiamo in bagno cazzo dobbiamo andare in bagno, dobbiamo».

Si era spostata controvoglia, non capendo nemmeno bene se le desse più fastidio l'essere stata trascinata via o il dover avere a che fare di nuovo con una Luna fuori di melone, seguendo quella ragazza in ansia fino al bagno, ma in una maniera leggermente più scostata del solito, era Luna che aveva cercato di rimanerle più vicino, per poi lasciarla fuori e chiudersi nell'angusto cesso, togliersi dalla borsetta di nuovo il coltellino, vedere gocciolare il polso.

Nelle ultime settimane i sabati erano filati via praticamente lisci, Rebecca era stata più appresso a Luna, e anche quando lei rimaneva al centro della scena con i suoi amici, Rebecca non la abbandonava mai senza dirle esattamente dove stava per andare e per quanto ci sarebbe stata. A metà serata di solito si ritrovavano per andare in bagno, entravano, in un rito ormai cristallizzato, Luna si lasciava andare, Rebecca la guardava, le diceva che era tutto a posto e quello era il momento di concentrare l'ansia e scacciarla, si abbracciavano nello spazio angusto del bagno, corpo contro corpo, in uno strano miscuglio di stati d'animo, e non c'era più stato bisogno di lamette.

Vedere sfumare tutto in quel venerdì, finora passato in maniera così piacevole, era stato un colpo. La consapevolezza di quel gocciolare a Rebecca era apparsa immediatamente molto diversa, scoprire che la sua presenza affianco all'amica non aveva evitato di andare di nuovo oltre, era stato come veder crollare un castello di carte: lei non bastava.

«Prima o poi ti ammazzerai Luna, con sta cosa».

«No, fidati».

«No, finirà male, sono ferite che possono diventare serie!».

«No, e lo sai perchè? Quando mi taglio, non voglio morire, tutt'altro! Quando sento che tutto mi opprime in maniera insopportabile, mi faccio questo, vedo che sono viva, vedo che è dolore vero e mi sento più viva. Lo faccio per sopravvivere, non per morire!».

«Luna te sei fuori...».

L'abbraccio per Luna era stato inaspettato, come le lacrime di Rebecca. Era una amicizia incasinata, che aveva tanti lati di attrito, di incomprensione, magari non detti, e Luna non riusciva semplicemente smettere quel percorso su un piano inclinato fatto di ferimenti che ormai era l'unico che gli procurava sfogo totale alle ansie. L'unica maniera era che la persona a lei più vicina in quel momento la accettasse così, e se non poteva proprio esserle alleata in questo, che non la guardasse storta, che quell'abbraccio significasse qualcosa tipo «Non ti capisco ma giuro che se ti fa sentire viva non ti intralcerò».

«Ho bisogno di sapere se veramente puoi sopportare che io faccia questo».

«Luna, non è così semplice».

«Ma io lo devo sapere perchè questa cosa è parte di me ormai, non riesco a toglierla».

«Ma come fai a essere così sicura che non si possa superare? Tutto si può superare».

«No Re, è una storia lunghissima ma fidati ormai non si può togliere».

Un nuovo bussare alla porta del bagno.

«Re usciamo che non voglio schiaffi stanotte».

«Mi devi dire questa storia ti prego, non posso capire se non siamo veramente in grado di parlarci».

Erano uscite, ma il locale era troppo incasinato, avevano preso i cappotti, erano andate all'aria aperta. C'era il baracchino della piadina e delle bibite girato l'angolo, nella traversa che andava al mare, si erano prese un'acqua minerale a testa, attorniate da gente che chiedeva le più assurde piadine farcite, ridendo e schiamazzando. S'erano incamminate, così a caso.

E così, era venuto fuori tutto, dalla prima violenza fino alla reazione, all'intervento del nonno, l'allontanamento, le ansie, le unghie, il sangue.

Rebecca ascoltava esterrefatta, chiedendosi come poteva averla avuta di fianco e non aver colto nemmeno una piccola parte di tutto quello che le stava raccontando. Luna parlava fittissimo, ma non sembrava avere quel coinvolgimento che Rebecca si aspettava da una tale vicenda.

Si tenevano le mani sedute al tavolino di un bar chiuso da ore, una ascoltava facendo poche domande, l'altra parlava come un fiume che andava seccando in estate. In alcuni momenti aveva mosso le dita come a cercare i propri palmi, ma era sempre stata questione di pochi secondi.

«Queste cose non le sa nessuno. Nemmeno la Lucy che la conosco dalle elementari, nemmeno la Tamy».

«Ma perchè le hai affrontate da sola?».

«Non lo so, a volte pensavo che ero la più avanti, e che dire che era successo quello che era successo fosse come dire 'Vedi Luna, facevi la fenomena con i ragazzi e sei finita cosi' in pratica».

«Ma scherzerai?! Ma sono due cose completamente slegate».

«Ma era troppo complicato da spiegare, troppo incasinato, troppa ansia che mi assaliva quando pensavo di dover dire tutto dall'inizio alle mie amiche che magari pensavano...».

«Ma cosa dovevano pensare?! Non farti inghiottire anche te dal pregiudizio! Siamo piene di pregiudizi e siamo continuamente bersaglio di pregiudizi che finiamo per bersagliarci da sole».

Sembrava sul punto di dire altro, ma semplicemente aveva abbracciato Luna fortissimo, con un trasporto che aveva sciolto anche lei, irrigidita da quel racconto orribile.

«Ti aiuterò a uscire da questo, te lo giuro. Smetterai di tormentarti perchè sarò la tua ombra, non dovrai più avere ansia perchè giuro che te la farò svanire».

«Sarà un casino Re, sarà un casino pazzesco. Te non sai cosa gira in questa testa, gira troppa roba assieme».

«La smonteremo un pezzo alla volta, fidati. Ti fiderai, vero che ti fiderai?»

Un lungo silenzio.

«Si, mi fiderò».

«Prima a ballare mi hai detto 'Voglio sapere se veramente puoi sopportare che io mi tagli', io voglio sapere se veramente vuoi che io ti tiri fuori da questa cosa, perchè se veramente non vuoi non succederà niente, perderemo solo tempo e, fidati, so cosa vuol dire perdere tempo».

«Si, te lo giuro».

Erano rimaste così chissà quanti minuti, corpo contro corpo, fino a che Rebecca si era staccata repentinamente.

«Che ore sono?!».

«Oh merda».

Oh merda si, ragazze. Perchè per una che ha sempre il telefono in mano, avere un blackout di due ore non è il massimo della vita. Il telefono era in vibrazione, Luna lo aveva ignorato nel raccontare, e Luna era l'unico contatto del gruppo del pulmino. Morale: il pulmino era ripartito e loro erano rimaste a Marina di Ravenna, alle quattro di mattina, con la scuola che apriva di li a quattro ore.

«Merda adesso che facciamo».

«Calma Lu, ci sarà un tram qua in giro».

Avevano girato in cerca di una fermata, capendo infine che il tram sarebbe passato solo alle 5.45 nei pressi del traghetto di Marina.

«Re torniamo alla discoteca e chiediamo se ci danno un passaggio».

«No che succede un casino, non si monta in macchina di sconosciuti».

«Magari becchiamo qualcuno che conosciamo».

«Ma chi Lu? Chi conosci veramente?! Ci scambi qualche messaggio su messenger e ci parli cinque minuti a ballare e mica li conosci!»

«Non ti incazzare, stare qui all'aperto fino alle cinque e mezza, mamma mia».

«Chiamo mio babbo».

«Re ma sei fuori e cosa gli dici?».

«Che abbiamo perso la navetta».

«E se ti chiede come cazzo hai fatto a perderla?».

«Gli dico che eravamo uscite a prendere aria perchè dentro non si respirava, ci siamo inchiacchierate e abbiamo perso il pulmino».

«E tuo babbo ci crede?».

«Perchè non dovrebbe crederci?».

Luna si era guardata le scarpe.

«Non lo so».

Rebecca aveva composto il numero, l'attesa era sembrata infinita, poi la voce impastata di suo padre.

«Rebecca tutto a posto che succede?».

«Niente babbo, abbiamo perso la navetta».

«Oh santo cielo. Arrivo. Dove siete?».

«Qui siamo in viale delle nazioni».

Dopo aver chiarito gli ultimi dettagli con il padre, si era girata verso Luna.

«Ecco, Lu di scemenze ne ho fatte e non le ho dette, ma questa mi sembra veramente una cosa minima. La fiducia passa anche da 'ste cose, non aver paura... di cosa dirà l'altra».

Si erano di nuovo prese per mano, avrebbero dormito poco ma almeno erano salve. Con una storia divertente da raccontare alle compagne all'intervallo. Si erano messe su una altalena appena scostata dalla strada, a ridere sulla vicenda da raccontare alle amiche il giorno dopo, anzi, qualche ora dopo.

«'A lesbiche!».

Quella frase le aveva colte di sorpresa, non erano lontane dal locale, si sentiva ancora la musica, ma quella voce era risuonata fortissima, come una esplosione. Luna non si era nemmeno girata dalla tensione. Rebecca le aveva detto «E' il solito coglione». In realtà non era uno, parevano divertiti.

«Ehi lesbiche, ciao, chi fa l'uomo di voi?».

Silenzio.

«Ce lo mettiamo noi il cazzo se siete indecise».

Silenzio.

«Ci siete rimaste male perchè vi hanno scoperto? Guarda che a noi non fanno schifo le lesbiche, potete limonare lesbo».

Ancora silenzio, un ostinato silenzio mentre le dita di Luna iniziavano a muoversi nella mano di Rebecca.

«Dai limonate fateci contenti. Limonate».

A Rebecca era tornata in mente la notte di Halloween, a quanto disagio aveva provato, al pianto che le era uscito. Ma sarebbe servito? C'era già Luna che si stava agitando, lo sentiva nel palmo della mano, sempre più forte.

«Ho detto che dovete limonare. Adesso».

«Io non limono a comando» aveva buttato fuori, secca, Rebecca.

«Si che limoni. Ora».

«Se non ve ne andate urlo».

«Se fai mezzo urlo ti tappo la bocca. Limonate, lesbiche».

«Io non limono a comando».

«Non fare l'arrogante, lesbica, non sei all'artistico, sei in pineta a Marina».

Si, era vero, erano retrocesse rispetto alla strada, erano praticamente in pineta, un brivido aveva percorso la schiena di Rebecca, doveva prendere tempo, doveva riuscire a trattenerli fino al passaggio di qualcuno che potesse tirarle fuori da quel casino.

E le dita di Luna che si muovevano sempre più agitate nel suo palmo, ma proprio a causa del suo palmo non riuscivano a piantarsi nel suo stesso polso.

Un sussurro.

«Re, non voglio che... ricapiti».

«Nemmeno io, ma non è giusto, e non sai se...».

Ma Luna non l'aveva fatta finire e si era appiccicata a lei, tra gli schiamazzi del gruppo. Erano rimaste cosi ferme per poco, labbra contro labbra, in un bacio finto ma che aveva dato calma a tutte e due, e aveva fatto ripartire il cervello a Rebecca, che si era alzata, aveva iniziato a spostarsi tenendola stretta, con loro in cerchio, attorno, molto lentamente, cercando al contempo di trascinarsi dietro Luna nella maniera più naturale possibile nonostante quest'ultima fosse tesa come una corda di violino.

Possiamo risparmiarci i commenti del gruppo che le aveva costrette li, il bacio li aveva eccitati ed in un certo senso anestetizzati, le fissavano soddisfatti di quello che avevano provocato, la maggior parte convinti che quello fosse un preludio a ben altro, riempiendo quel «ben altro» ognuno a suo modo.

Rebecca aveva cercato di appoggiare Luna ad un albero in direzione della strada continuando a tenerla stretta, poi si era fatta «spingere» ad un altro albero più vicino al bordo della pineta, non perdendoli di vista. Luna forse aveva capito, forse no, ma sembrava più rilassata al tocco, il suo respiro pesante non aveva quel lieve tremolio che aveva avuto all'inizio del loro contatto. Si erano staccate una frazione di secondo, il tempo in cui Luna le aveva detto in un soffio «Re salvami ti prego»..

Riappoggiandosi l'una all'altra, Rebecca aveva annuito, così Luna l'aveva assecondata finchè non avevano guadagnato un metro di vantaggio sul gruppo, era poco ma sarebbe bastato, se aggiungevano l'effetto sorpresa. Rebecca, senza farsi troppo notare, con i piedi aveva sfilato le scarpe alte di Luna per farla correre meglio, poi aveva slittato il viso spostando le labbra di lei dalle sue alla guancia «Corri verso la discoteca» ed erano scappate con un sincronismo perfetto, Luna avanti un metro, Rebecca dietro, coprendo i cinquanta metri che le dividevano dall'ingresso della discoteca, buttandosi tra le braccia dei buttafuori, con il cuore che scoppiava ed i singhiozzi che uscivano senza controllo.

Non le avevano seguite, avevano sentito risuonare un «Lesbiche del cazzo» da lontano, poi il gruppo si era allontanato continuando a schiamazzare come se nulla fosse. Mentre cercavano di riprendere fiato, Rebecca provava a spiegare un tipo gigantesco che erano state pesantemente molestate.

«Vi hanno toccate?».

«No, ci hanno minacciate, ci hanno costrette a baciarci».

«A baciarvi. Ma non vi hanno molestate?».

«Ci hanno costrette cazzo!».

«Ma hanno detto che se urlavamo ci tappavano la bocca».

Aveva quasi sbuffato.

«Ma che molestie sono se vi hanno detto di baciarvi?!».

«Ma lo sai cosa sono le molestie santo cielo?!».

«Ma saranno ubriachi. Non vedi che fanno fatica a stare dritti?».

Luna l'aveva tirata per un braccio, si erano messe su una vasca di fiori davanti all'entrata, aspettando il padre di Rebecca.

«Sai cosa mi fa rabbia? Che sminuiscono il problema per non averlo. Ma si, non vi hanno toccato, ma si sono ubriachi, ridono. Solo perchè il locale non vuole dei casini».

«Grazie, Re».

Una volta in macchina era scesa l'adrenalina. Avevano dormito per il viaggio di ritorno, poi il padre di Rebecca le aveva dovute svegliare perchè non aveva la più pallida idea di dove Luna abitasse.

«Babbo dai falla dormire da noi».

«Ma sarà meglio che avvisiamo a casa, mica può stare in giro la notte così, senza avvisare, se tornano i suoi pigliano un colpo se non la trovano».

«Mando un messaggio a mia mamma al lavoro». aveva tranciato Luna, si erano trascinate a casa con la madre che, già pronta per la ramanzina aveva visto passare pure Luna, scalza. Non aveva fatto domande, le aveva spedite a letto con un bacio. Un sonno pesantissimo, inutile svegliarle per la scuola».


«Lu qui finiamo male tutte e due. Ogni volta che usciamo capita qualcosa. Dobbiamo dire tutto a qualcuno, non possiamo aspettare sempre che ti succeda qualcosa. Io lo vorrei dire a non so... a qualcuno insomma».

«Ma a chi lo dobbiamo dire? Reby sono cazzi miei e devo imparare a risolvermeli e non avere queste crisi e non starti sempre appiccicata che poi...«

Si era fatta silenziosa. Rebecca aveva finito la frase.

«Ci scambiano per lesbiche».

Rebecca la guardava, lei aveva abbassato lo sguardo. Erano in un parchetto di Ponente, le giornate si stavano allungando ma stentava ad arrivare la «bella stagione»..

«Pensi che lo sia, vero?»

«Non me ne importa, sei l'amica che più ha provato ad aiutarmi e non mi frega di tutto il resto».

«Ma abbiamo dei casini, una mia amica ha dei casini e da sola non li può risolvere e io, che pensavo «ehi, ho risolto i miei di casini, risolverò sicuramente anche i suoi» non ho risolto un cazzo ma anzi ho rischiato di combinartene di più grossi. Con il mio starti vicino».

«Poteva succedere con chiunque altra, Re lo sai, i maschi sono fuori».

«Ti sono stata troppo attaccata senza ottenere nulla, e non sai quanto mi dispiace Lu».

«Ma volevi ottenere qualcosa... da me?»

Rebecca aveva sospirato, iniziando a dondolarsi sull'altalena, i pensieri si accavallavano e sopraffacevano le parole.

«Non lo so. All'inizio volevo che rimanesse così: io e te, i tuoi polsi, i momenti in cui ti sfogavi con me, la vicinanza, gli abbracci, e non so cos'era. E' tutto nuovo per me, non sono mai stata né una che faceva amicizia facilmente, né una che stava cosi in giro, a ballare e tutto. Era tutto assolutamente fantastico, e tu non sai quanto. Poi è stato sempre più difficile sopportare tutto, sopportare che tu avessi dolore, volevo cambiasse qualcosa, volevo che cambiassi tu e non mi chiedere come, perchè non ne ho idea. So che come stava andando non poteva durare e forse avrei dovuto dirtelo più chiaramente, ma non sono così coraggiosa. Era come se mi fossi accorta troppo tardi che quello che mi andava bene non era la cosa giusta».

«Ma passerà. Te l'ho detto son cazzi miei, ho superato cose ben più pesanti e lo sai. Questa cosa imparerò a controllarla».

«No, fidati, questa cosa significa che l'altra non l'hai superata del tutto, altrimenti... non avrebbe senso che pum! da un momento all'altro ti vengono queste botte di ansia che non ragioni. Luna davvero dovresti dirlo».

«Re ma guarda quanto è cambiato da quando ti conosco! Non ero in grado di... affrontare nemmeno il mio ex, migliorerà ancora, migliorerà sempre di più e sparirà».

«Non sparirà, tu hai trovato solo chi ti ha tenuto d'occhio mentre ti stagliuzzavi i polsi! Guarda le cose per quello che sono!»

Era passato un lungo silenzio, Luna si era semplicemente dondolata.

«Migliorerà, lo so che migliorerà».

«Non so più che dirti. Non voglio più vederti chiuderti in bagno e farti male mentre faccio la guardia alla porta».

«Ma alla fine mi fa stare bene nei momenti peggiori, poi rivivo, e ci sei te! Re non abbandonarmi, non posso rimanere da sola in questa cosa! Possiamo... baciarci di nuovo».

«Cosa vuol dire?»

«Continueremo così, mi sistemerò e andrà tutto a posto, e noi potremo baciarci di nuovo, se vuoi, ecco».

Rebecca ci aveva messo un attimo, come a rivedere mentalmente la scena, risentire le parole per essere sicura di aver capito bene, poi le era montata una furia enorme, soprattutto per come subito dopo si era incrociata con lo sguardo di Luna, dove aveva letto una specie di accondiscendenza.

«Luna ti odio. Mi pento di tutto quello che ho fatto in 'sti mesi».

Luna aveva provato ad aprire la bocca, magari a dire che si era spiegata male ma sapeva perfettamente che tutto quello che aveva detto e il modo in cui l'aveva guardata aveva un significato molto chiaro, non c'era da spiegare e non era possibile cercare di cambiarne il senso. Rebecca le aveva mollato un «Stai zitta». così secco ed avvelenato che lei si era semplicemente raggomitolata, mani strette forte alle catene dell'altalena.

E ciao amicizia.

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