Marzo

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Una sera di queste la Reby era stata letteralmente trascinata di nuovo verso il bagno. Luna, iperagitata le diceva cose non lineari, imputandole di non esserci mai quando aveva bisogno.

«Luna stai calma, cosa è successo?».

«Ma perchè stai a ballare per i cazzi tuoi quando succedono ste cose».

«Cosa Luna? Cosa?!».

«Cosa cosa?! Serata di merda ecco cosa. Madonna devo andare in bagno. Madonna. Madonna. Madonna».

«Stai tranquilla tutto a posto, stai serena, adesso andiamo in bagno, ti tocchi i polsi, ti tranquillizzi e vedrai che non c'è problema».

E di nuovo quelle unghie che iniziano ad indugiare sui polsi, ma con più frenesia. Poi era finalmente entrata nel bagno, con la Reby a fare il cane da guardia ma con una gran preoccupazione.

«Non mi fa nulla, Reby. Non mi fa effetto! Tieni questa ti prego tienimela! Tienimela!».

Ansia, agitazione, trasmetteva questo. Aveva frugato, aveva estratto una lama da taglierino poi aveva aperto ed aveva dato la borsetta alla Reby che in un lampo aveva visto quell'oggetto nell'altra mano, ed era stata sul punto di fermarla perchè era chiaro ormai cosa voleva fare. Glielo aveva già visto fare, non lo aveva capito allora e continuava a non capirlo, ma lo stesso Luna glielo stava di nuovo facendo lì a pochi centimetri, separata da lei da una porta mal chiusa.

Qualche goccia era colata dentro il water, poi un fazzoletto, un cerottino minuscolo color pelle sotto i braccialetti, mentre mormorava «sto bene, sto bene.» che era stato il segnale per Rebecca che era entrata e l'aveva abbracciata con trasporto.

«Lo sapevo che... avresti capito anche questo».

Rebecca era rimasta turbata da quel sangue uscito da un taglio da lama, non unghie, non un vetro recuperato alla bell'e meglio, ma un lama consapevolmente messa in borsa. Chissà quando aveva pensato a farlo, e perchè. Ma non l'aveva fermata pur capendo la gravità e la pericolosità del gesto, aveva osservato cadere quelle gocce senza sapere il motivo di quel gesto così estremo, convinta che dopo sarebbe tornata la calma, sarebbero tornati gli abbracci.

Luna si era staccata, calma ma fiacca. Dopo un lungo silenzio Rebecca aveva provato a entrare nel perchè.

«Luna ma cosa è successo per arrivare a questo?».

«Scusa, ho detto che era colpa tua perchè non ci sei, ma tu ci sei. Scusa non ragionavo».

«Si ma cos'è che non ti ha fatto ragionare?».

«Ho sentito... ho sentito che mi stava sfuggendo di mano».

«Ma cosa?!».

«Andiamo a ballare ti prego».

«No».

Era stata perentoria, fissandola dritta negli occhi, mentre lei non sembrava più cosi decisa ad andarsene da quel bagno. Rebecca le si era avvicinata testa contro testa.

«Cosa mi hai detto l'altra volta? Te lo ricordi?».

«Non lo so non me lo...».

«Hai detto "Cazzo Reby" me lo ricordo perfettamente, "Cazzo Reby non fidanzarti che sennò siamo tutte nella merda totale". Sai cosa vuol dire? Lo sai?».

«...».

«Che qui, finchè ci sarò io, te non dovrai più arrivare a questo, perchè ci sarò io, e ti aiuterò io, e non dovrai avere paura di nulla. Capito?».

«Re, non è così facile. Mica posso far scomparire questa cosa così, puf! sparita. E non so esattamente quando mi viene, so che succede con le cose che non vanno come pensavo dovevano andare, o quando mi sento che le devo affrontare senza un aiuto, non so».

«Allora perchè ti sei messa delle lamette in borsa Lu? Non ce le ho messe io. Ce le hai messe tu».

«Non lo so».

«E' come se non ti bastasse che ti puoi tranquillizzare quanto vuoi quando siamo insieme. E se non ti bastano amiche così vicine io mi preoccupo».

Un bussare un po' timido alla porta. Rebecca si era girata sputando un «Oh non rompere che è una cosa seria cazzo!» per poi tornare a concentrarsi sull'amica.

«Io... parto che non sono ansiosa, anzi mi va un casino fare 'ste serate, mi piace perchè mi scarica, mi diverte, non penso ai problemi e so che sono qui con voi e giro l'angolo e vi trovo. Ma poi vedo uno, vedo un altro, ci parlo e deraglio, i polsi iniziano a pulsare, sento una specie di male fisico... non mi sento sicura perchè loro vogliono troppo da me».

«In che senso troppo?».

«Voglio solo sorridere, voglio ridere, ma alla fine, si smette di ridere. Cioè il loro ridere è diverso, come se lo facessero per assecondarmi e per dirmi dai su, andiamo avanti. E io non voglio».

«E digli di no».

«Ho sempre paura che non basti».

«Ma quelle lame per che cosa sono? Per tenere lontana la gente o perchè vuoi farti più male? Ti giuro non capisco, e questo mi scoccia non sai quanto. Sia per un verso che per l'altro non ha senso: sei in un posto che conosci, sei con gente che conosci».

Luna aveva iniziato a piangere sommessamente a metà discorso, per continuare, tra le braccia di Rebecca, che continuava a non capire la situazione. Altro bussare alla porta, altra rispostaccia della Reby.

«Oh ma dovete per forza rompere le palle qui, è una cosa seria cazzo!».

«Ma che cazzo fate li dentro da mezzora, andate a lesbicare sui divani!».

«Ci sta scopando il tuo moroso cogliona!».

Luna era partita a ridere tra i singhiozzi «Re, ma cazzo dici?!».

«Stronza esci a dirlo qui fuori se hai il coraggio».

«Esco appena l'ho fatto venire. Cornuta».

Ed aveva aperto la porta convinta di trovarsi davanti una più o meno della sua taglia, ma era il doppio, e naturalmente le aveva mollato un ceffone in faccia memorabile che l'aveva fatta vacillare, poi Luna s'era messa a urlarle contro di tutto mentre le dava calci negli stinchi da dietro Rebecca tramortita, e il finale ve lo potete immaginare da soli.


«Certo che siete proprio due deficenti a farvi buttare fuori così perchè discutete al cesso».

Luna stava facendo un boomerang per una storia. Rideva come una cretina in una nottata fredda ma non freddissima, erano su un muretto. Rebecca ancora non poteva crederci di aver preso due pizze in faccia ed essere finita sbattuta fuori da una discoteca.

«Questa quando la racconterò a casa non ci crederanno. Non ho mai preso degli schiaffi in faccia nemmeno quando ero piccola».

«Ma va là fregatene, sei stata troppo cazzuta, hai avuto sfiga con gli accoppiamenti del tabellone, hai beccato una testa di serie».

«Si, una testa di minchia. Mi fa ancora male qua la mandibola, il tutto per colpa tua, cosa credi?».

«Ma smettila di lamentarti, sorridi! Cic. Hashtag #CiHaMenateUnCamion. Porca troia Re ma quanto l'hai beccata grossa la tipa?».

«E mica lo sapevo che era così, altrimenti le aprivo subito».

«Però dopo ci dovevi stare».

«De che?».

«Se l'è presa perchè voleva lesbicare pure lei con noi due».

La Tamy si stava già sbellicando.

«Ma noi non... ma vaffanculo Lu, sono ritardata, le capisco dopo mezzora».

«Poi te lo dico se devo lesbicare vado con la Tamy che ha le tette più grosse».

La Tamy aveva smesso di ridere ed aveva iniziato a spostarsi tutto il top sotto il cappotto, infastiditissima.

«Non me lo dire Lu che il reggiseno mi da un fastidio maledetto te lo giuro».

«Povera stella, hashtag #escile #setidannofastidio».


«Ma è vero che ti sei menata con una sabato sera?».

Marco dal Capello Non Più Unto era sembrato divertitissimo da quella storia.

«Veramente le abbiamo solo prese».

«Le femmine sono proprio aggressive» .

«Cioè, parliamone: voi avete inventato le guerre, avete inventato le armi chimiche, la Shoah. E poi sei il solito esagerato, semplicemente non ci siamo capite».

«E vi siete menate».

L'aveva fissato intensamente. Lui aveva iniziato a sentirsi lievemente a disagio, forse non avrebbe dovuto fare battute sull'aggressività femminile.

«E menerò anche te, e non potrai darmele indietro perchè sono una ragazza. Lo sai che le ragazze non si toccano nemmeno con un fiore, nemmeno se ti menano, Marchino».

«Ehi frena».

«Non freno, ti pianterò questa penna nel ginocchio, he he he. E berrò il tuo sangue».

«Rebecca tu non stai bene».

«Ho fame, del tuo sangue!».

Aveva finto di piantargli la penna nel ginocchio, lui l'aveva ritratto terrorizzato.

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