Terminal

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Parlare della vita di Luna è come descrivere una specie di terminal dell'aeroporto. Ma di quelli italiani, dove il casino regna sovrano.

Partiamo dall'inizio, o meglio, partiamo da chi non c'era, ovvero il padre.

Luna aveva un padre biologico, ovviamente. Ma non l'aveva riconosciuta al momento in cui la madre l'aveva messa al mondo. Il rapporto era già deteriorato tra la madre e questo fantomatico babbo, tanto che al quarto mese di gravidanza, dopo un furibondo litigio, diverse percosse e una corsa al pronto soccorso per vedere che fosse tutto in ordine, semplicemente il nonno della bambina disse che la questione padre era finita. Lo disse in una maniera così perentoria, fredda e distaccata, che nessuno ebbe il coraggio di smentirlo.

Rossana, la futura mamma, nei mesi aveva spesso pensato ad interrompere la gravidanza, ma non aveva mai preso una vera decisione. La bambina semplicemente era nata perchè la madre aveva tardato troppo a decidere se tenerla o meno. Ma in fondo era stata la scelta giusta, si era detta, nonostante il casino che fosse crescere una bambina in una casa dove l'impressione era che i tuoi genitori ti considerassero una scriteriata che aveva fatto una figlia con uno ancora più scriteriato, e che fortunatamente almeno quest'ultimo si era levato dai coglioni.

Luna aveva passato molto tempo con i nonni materni quando la madre aveva iniziato a cercare i più disparati lavori, l'obbiettivo era diventare autonoma e staccarsi dal cordone ombelicale che dava delle sicurezze ma anche tante situazioni di insofferenza.

Al classico «E' mia figlia e so io come devo crescerla» faceva puntualmente eco il «Siamo già stati genitori e sappiamo come gestirla». Inutile dire che da una parte, l'aver cresciuto una che rimane incinta a ventun anni da un chissacchì qualsiasi forse non è proprio indice di una educazione inappuntabile, dall'altra il voler sempre fare muro contro muro con chi in effetti i bambini ce li aveva avuti tra i piedi fino a una quindicina di anni prima non era la miglior soluzione per vivere sereni.

Luna, come molte bambine cresciute per tanto tempo con i nonni e poco con le madri, era coscienziosa e se vogliamo, più ingenua di diverse sue coetanee. Non che fosse una sprovveduta ma sicuramente non era di quelle che bruciano le tappe bramando i sabati pomeriggio da Zara in quarta elementare, cosa che invece alla madre non dispiaceva affatto, le poche volte in cui riusciva ad avere turni con sabato pomeriggio a casa senza essere comunque disintegrata.

Era una specie di «Una mamma per amica» in versione casereccia: Rossana passava lavori su lavori alla ricerca di qualcosa di non logorante, e che la avvicinasse al momento in cui sarebbe diventata indipendente, ma era difficile, con un diploma di segretaria d'azienda preso a calci nel sedere, che alla fine la costringeva, più che darle la possibilità di scegliere.

Rossana non aveva avuto particolari avventure in quel periodo, non usciva spesso con le amiche ma quando usciva il ritorno a casa era un po' difficoltoso, aggiungendo un elemento di critica, Luna associava quel respiro alcolico agli abbracci calorosi della mamma, a volte qualche singhiozzo ma nel complesso a momenti di grande vicinanza tra loro due. Ma alla fine per Rossana era diventata impellente la necessità di trovare un compagno, di «stabilizzarsi.».

Il compagno alla fine era spuntato nel giro del Karaoke, quei terribili momenti in cui mostri al mondo che il tuo talento canoro è solo una bugia che la mente ti racconta sotto la doccia quando duetti con Celine Dion. Antonio «Tony« era uno di quelli che un po' se la cantava e se la suonava quando raccontava di sé stesso, ma alla fin della fine poteva ritenersi innocuo.

Era stato un compagno accettabile mentre Luna aveva passato gli anni a cavallo tra la scuola elementare e la scuola media, ma in quel periodo di grandi cambiamenti qualcosa aveva finito per modificare i rapporti dentro la famiglia. non era solo questione di esigenze della ragazzina, era anche una questione economica: Antonio da sempre si era "arrangiato" facendo lavori saltuari dopo anni di lavori stagionali di vario tipo. Venendo a mancare questo tipo di richiesta dopo la crisi economica del 2008-2009, per lui erano più i periodi in cui aspettava il lavoro al bar che quelli in cui fattivamente lavorava.

Il suo umore ne aveva risentito, il suo essere in affanno con sé stesso e con le proprie capacità lo aveva rivelato diverso da quello che si aspettava Rossana ma lei aveva avuto paura di rimanere di nuovo da sola nel crescere la figlia in mezzo alla bufera dell'adolescenza.

Antonio si era irrigidito rivendicando sempre più spesso la sua autorità in casa, e soprattutto nei confronti di Luna, ma la differenza tra quello che dava alla famiglia e quello che esigeva dalla famiglia stava diventando evidente anche alla ragazzina, ed in questa forbice aveva iniziato a crescere un sentimento di indifferenza verso il compagno della madre: per qualsiasi cosa si sentisse dire, Luna chiedeva conferma alla madre. Antonio non riusciva a controbilanciare le emozioni e le debolezze di Rossana, che aveva avuto una vita a due con la figlia: lui era l'elemento in più, che lo volesse o no.

I nonni? Eh, i nonni si rendevano perfettamente conto che quel trio era male assortito: un padre che non lo era né biologicamente né caratterialmente, una madre disposta a troppo pur di dimostrare che era in grado di costruire una famiglia degna di questo nome nonostante i presupposti complicati, e una nipote che entrava proprio in quel momento in una fase delicata come la pubertà.

«e pè ad stè int e puler» ripeteva la nonna quando sentiva le discussioni, mentre suo marito passava sempre più tempo nell'orto, l'unico posto che lo faceva sentire sereno: se piantavi le melanzane al momento giusto e le curavi a dovere, le melanzane venivano bene e punto, non era come crescere figli o nipoti.

Antonio non alzava le mani, magari prendeva a calci le scatole della differenziata con la carta o la plastica, per sfogarsi. Si sbronzava poco e comunque le sue erano sbronze tristi per il poco lavoro e le crisi in casa, ma era innegabile che quelle crisi sempre più spesso erano causate da Luna, che ogni giorno di più gli sfuggiva di mano.

Ma quella prima volta in cui Luna e Antonio erano stati a contatto era rimasta indelebile dentro di lui, soprattutto quando lui stesso aveva raccontato per sommi capi la vicenda a Rossana e questa si era vista travolgere dal fiume in piena del rischio di crollo di tutta la famiglia, doveva litigare per questa cosa, se lo era detto in maniera veemente, ma era tutto un litigio in quel periodo, tutta una discussione, e lei era stanca, e lui appariva veramente contrito. La reazione era stata di provare a farlo vergognare per il gesto deplorevole, aveva avuto successo tanto che il litigio non era nemmeno iniziato.

La tarda mattinata seguente, Rossana aveva svegliato la figlia che sembrava ancora in stato comatoso, era stata la mamma a dire che sapeva, che Luna doveva stare tranquilla, non era successo nulla di irreparabile.

Luna aveva registrato, come solo i ragazzi sanno fare.

Non era successo nulla di irreparabile.

Non era successo nulla.

Magari fosse vero. Antonio si era visto sbattere in faccia l'evidenza che Luna era una donna, nel senso fisico del termine, e che non aveva intenzione di averlo come modello. E questo lo aveva fatto deragliare nei comportamenti, totalmente.

In base ai turni della madre, Luna cercava di limitare i comportamenti che potevano creare casi, ma era una ragazza e per quanto segnata da quell'episodio, amava immergersi in quell'estate che non era nemmeno arrivata a metà strada. La sera non voleva uscire se sapeva che rimaneva solo lui a casa, ma quella volta proprio non si poteva dire di no.

Si era scritta a pennarello, in rosso, «Kevin« sull'avambraccio, in cima a dei giochini da spiaggia gliel'aveva fatto vedere tutta orgogliosa e felice, come fosse il messaggio definitivo dopo due mesi di messaggi continui. Quel Kevin da cui si era allontanata appena successo il fattaccio perchè indirettamente glielo ricordava, con cui aveva litigato dicendosi più o meno qualsiasi cosa e poi con cui si era ritrovata lì in cima alla torre di plastica con lo scivolo, perchè proprio non riusciva a stargli lontana.

Si erano baciati come dei pazzi toccandosi dappertutto ed avvinghiandosi che a confronto un frontale tra tir sarebbe stato più facile da disincastrare. Poi si era fatto troppo tardi per non rientrare a casa.

E lì era successo di nuovo, perchè lui, non si sa bene come, aveva capito più o meno cosa era successo e di nuovo, con una frenesia malata, aveva cercato prove di rapporto nel corpo di Luna, e di nuovo non le aveva trovate, ma non era scappato in bagno, maledicendola.

Era rimasto lì spingendola sul divano, trattandola come una pesca che non si fa snocciolare. Umiliandola fino a renderla inerte, mentre lei stringeva i pugni fino a entrare con le unghie nella carne. Lui aveva capito che non avrebbe trovato ostacolo, non lo avrebbe più trovato.

Da quel momento ogni occasione era buona, se la madre non c'era, ogni occasione in cui rimanevano loro due, con Luna che faceva di tutto per non rientrare a casa quando sapeva che ci sarebbe stato solo lui. Ma questo si era fatto inevitabile specialmente quando la madre glielo messaggiava, non poteva sempre far buttare il pranzo, o la cena, non poteva sempre evitare le commissioni, o i lavori di casa. Fino al pomeriggio in cui lui l'aveva afferrata per le mani e lei non era riuscita a conficcarsi le dita nei palmi per darsi la forza di subire in silenzio, si era ribellata, lo aveva spinto con tutta la forza che aveva.

Lui non se lo aspettava, era abituato a trattare una ragazzina ubbidiente in quei frangenti, si era visto crollare quel castello di carte, si era agitato, aveva perso la presa, aveva perso l'equilibrio, era franato contro un mobile facendo cadere tutto quello che ci si trovava sopra, annaspando con le gambe mentre lei urlava, urlava come mai aveva fatto prima, attirando immediatamente i nonni che erano entrati in casa trovando la scena di lui che annaspava tra i cocci e lei che in lacrime urlava di non toccarla, in una maniera così straziante che a quei due anziani era sembrato di tornare direttamente all'epoca della guerra.

Suo nonno si era abbattuto su Antonio con una sedia in mano, riempiendolo di sediate ovunque prendesse, tanto che quest'ultimo era fuggito da casa. Non era volata una mosca dopo che si era chiusa la porta, se non il pianto di Luna che il nonno aveva accompagnato di sotto per calmarla, lei tra i singhiozzi finalmente si era piantata le unghie nella carne fin quasi a scoppiare e si era calmata.

Lui non ci sarebbe più stato, parola di suo nonno.

Luna si guardava un sacco allo specchio, si fotografava e riguardava in continuazione e si faceva un sacco di domande senza dirlo con nessuno. Anche le amiche si erano accorte che si guardava continuamente allo specchio e consumava la fotocamera del cellulare, ma l'idea che si erano fatte era che fosse diventata una tipa in fissa per la sua immagine, punto.

«Luna piantala di guardarti allo specchio lo sappiamo che sei figa»

Era una ragazza con capelli mossi e castani, un viso regolare che quasi non truccava, occhi dal taglio mediterraneo, una bocca impegnata perennemente a ridere e sorridere davanti agli altri. Innegabilmente era carina, con un corpo dolce senza asperità, ricoperto da una pelle che amava il sole e se ne nutriva.

Ma lei ignorava tutto questo, pensava invece che il suo corpo l'aveva tradita, le aveva dato quel dolore generalizzato che lei era riuscita a calmare solo ferendosi, facendosi dolore a sua volta. Sembrava che la storia del suo corpo fosse fatta di dolore. Nelle continue immagini che scattava, per gran parte assieme a qualche sua amica, osservava e cercava differenze, perché il suo corpo le aveva destinato una storia simile e quello delle altre no?

Non aveva proseguito la storia con Kevin del Pennarello Rosso, perché in quelle poche occasioni in cui si erano rivisti, era tutto troppo strano per lui. Lei sembrava sempre sul chi va là, non si faceva toccare e quando succedeva dava l'idea di non essere presente e questo per lui era una cosa che lo frustrava. Capitelo, aveva quindici anni mica trenta, non sapeva nulla di quello che era successo in casa di Luna e, dettaglio non trascurabile, aveva così tanto le gonadi gonfie che qualsiasi cosa si mettesse tra lui e l'eiaculazione era visto come una tragedia.

Si era fatta un po' più silenziosa con le amiche riguardo la sua vita personale, per quanto volesse fare in qualche modo uscire il dolore dal corpo, non riusciva a vedere le amiche come le corrispondenti delle angosce e dei suoi pensieri. La calmava di più il vederle ridere, anche sguaiatamente, ad una battuta o una scemenza detta un attimo prima di un selfie.

Ma questo valeva per tutto, ormai, era diventata una ragazza che doveva generare allegria, euforia, sorrisi, risate, dal vivo o con i continui post e messaggi sui social che riempiva di quantità abnormi di emoji. Era diventato il suo impegno quotidiano.

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