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Mi sentivo, in un certo senso, osservata, così mi girai e vidi che sulla porta stava la madre di Paulo, Alicia.

«Posso entrare?» Mi chiese. «Scusa, non volevo disturbarvi.»

Mi alzai dalla sedia e mi asciugai le lacrime, facendo finta di niente; anche se sapevo benissimo che aveva assistito a tutta la scena.

«Si, accomodati.» Dissi con un filo di voce.

Si sedette.

«Volevo dirti grazie.»

«Per cosa?» Le chiesi.

«Hai corso fino a qui sotto la pioggia, ti sei seduta proprio accanto a lui, gli hai preso la mano e gli hai fatto un discorso che se avesse potuto sentire ti avrebbe sposato, ti sei preoccupata più per lui che per te stessa...questo non lo fanno tutt'e oggi come oggi.»

Abbassai lo sguardo, triste, ma compiaciuta dalle sue parole. Nessuno mi aveva mai fatto sentire così importante.

«Faccio solo quello che mi va di fare, non perché mi sento in dovere di farlo. Io amo tuo figlio, davvero. E non lo lascerei mai per nulla al mondo.»

«Lo apprezzo molto da parte tua, cara?»

«Fabiana.»

«Bellissimo nome.»

«Grazie.» Sorrisi.

Dopo un paio di minuti di silenzio, decisi di chiedere cosa fosse successo.

«È andato a sbattere contro il muro di un supermercato, non so come abbia fatto, non so nulla...mi hanno chiamata e mi hanno detto che lo avrebbero portato qui, ma io non avendo macchine e niente non potevo venire fin qui, ho dovuto aspettare Mariano.»

«Ho capito, io...» Sospirai. «Spero solo che si sveglierà presto.»

«Anche io.»

Si alzò dalla sedia.

«Vai a casa, hai bisogno di riposare...so che Alvaro non ti ha trattata bene, vai sto io qui.»

«No, non se ne parla. Io starò qui...non mi muoverò di un centimetro. Voglio esserci quando si sveglierà.»

Mi guardò con aria materna.

«Non sei obbligata-»

«Ricordi cosa ho detto prima? Lo faccio perché voglio farlo...» Dissi poggiandole una mano sulla spalla. «Vai pure tu a casa se vuoi, io sarò qui non mi muoverò.»

Improvvisamente mi abbracciò e fu l'abbraccio più sincero di tutti.

«Grazie, davvero.» Mi disse.

«Non ringraziarmi.»

Dopo qualche ora, finalmente, arrivò in stanza il dottore per spiegarmi quale trauma aveva riportato Paulo e quando si sarebbe risvegliato.

«Ho da darle una brutta notizia e due belle.» Mi disse tenendo la cartella in mano. «Quale vuole prima?»

«Quella brutta.» Sospirai.

«Quella brutta è che Paulo non potrà giocare a calcio per un anno e mezzo.» Disse. «Quelle belle sono che dopo l'anno e mezzo potrà tornare a giocare tranquillamente e che non ha subito danni gravi al cervello, quindi dobbiamo solo aspettare che si svegli.»

«Non mi sta dicendo molto, lo sa?» Lo guardai male.

«Mi dispiace molto, ma non sappiamo dirle di più...in fondo è solo da ieri che è così, non si preoccupi. Starà bene.»

«Si, lo spero.»

«Okay, io la lascio tranquilla...sono le 2:00 di notte...non va a casa?»

«No.»

«Allora se vuole c'è un divanetto nell'altra stanza...può sdraiarsi di là se vuole.»

Non risposi, così lui sparì nel corridoio. Rimasi lì tutta la notte, con la mia mano sulla sua e ad aspettare che si svegliasse.

[...]

«A-a-amore...»

A quella parola mi sveglia di soprassalto: ero crollata durante la notte.
Per essere sicura di non essermelo sognato aprii gli occhi e cominciai a stropicciarmeli.
Guardai Paulo: era sveglio!

«AMOREEEE!!!» Gli saltai addosso, abbracciandolo e baciandolo.

«Ehi Ehi.» Tossì. «Piano...» Rise.

«Scusa!! Oddio ti sei svegliato!»

«Si, sono qui, sto bene...dolorante, ma vivo...»

«Awww sei la mia gioia.» Lo baciai. «Non sai quanto mi hai fatto preoccupare.»

«Non dovevi, sei rimasta qui tutta la notte? Hai le occhiaie...»

«Si, non ho dormito granché...aspettavo che ti svegliassi ed eccoti qui! Lo sapevo!»

«Non dovevi fare nemmeno questo...» Sorrise.

Alzai gli occhi al cielo. «Uff...sei proprio come tua madre.» Risi.

«Che vuoi dire?»

«Nulla.» Risi. «Poi ti spiegherò.»

Mi sdraiai accanto a lui e iniziai ad accarezzargli la fronte.

«Sei bollente.» Dissi.

«Si, credo sia l'effetto della medicina che mi hanno dato...lo sento nelle vene bruciare come il fuoco.»

«Amore...mi dispiace così tanto...»

«Non è colpa tua.»

Sospirai.
Non volevo dirgli ancora niente di quello che era successo con Alvaro, non in quel momento, lo avrei solo che spaventato e lo avrei fatto preoccupare per niente. Lui doveva pensare a riprendersi e a stare bene, per quelle stupidaggini non c'era più tempo. Glielo avrei detto certo, ma più avanti.

«Tu come stai?» Mi chiese.

«Bene...»

«Sicura?»

«Si.» Mentii.

«Meno male allora.»

All'improvviso entrò l'infermiere.

«Ti sei svegliato!» Urlò.

«È così, proprio qualche minuto fa.»

«Vado a chiamare il dottore...lei...signorina...deve uscire...torni pure a casa, non serve a niente qui.» E se ne andò.

«Che maleducato!» Dissi arrabbiata.

«Tranquilla, ora sto bene. Vai a riposarti un po', fallo per me.»

«No dai non posso.»

«Si che puoi, vai...dai...fallo per me.»

Sospirai. «Okay okay...promettimi che farai il bravo.» Scherzai.

«Te lo prometto.» Disse ridendo.

«Bravo.» Gli lasciai un bacio sulla fronte e tornai a casa.

[...]

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