I fiori parlanti

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— Oh Giglio, — disse Alice, rivolgendosi a uno stelo che oscillava graziosamente al vento, vorrei che tu potessi parlare. — Noi possiamo parlare, — disse il Giglio, — se c'è qualcuno con cui metta conto di parlare.

Alice era davanti alla finestra. Rimpiangeva già quell'attimo di libertà che aveva interrotto lei stessa, quell'occasione che aveva sprecato. C'era un pensiero che si agitava ai margini della sua mente, e spingeva sui confini per poter entrare, ma lei lo teneva fuori, perché ne aveva paura. Aveva paura che, lasciandolo avvicinare alla sua coscienza, o peggio ancora esprimendolo ad alta voce, si sarebbe avverato.

Cercò di distrarsi con il paesaggio di fuori.

Un merlo zampettava tranquillo ai piedi di un albero, beccando il terreno. Poi, di scatto, alzò la testa, come se avesse sentito un rumore. E così, apparentemente senza motivo, si alzò in volo. Piroettò in cerchio, inseguendo i vortici di vento. E Alice avrebbe voluto essere con lui. Avrebbe voluto essere lui, come succedeva prima, di notte, quando lasciava il suo corpo debole per un paio d'ali. 

Guardò bene il merlo. Era bello, con il piumaggio nero e lucido e il becco di un giallo brillante. Forse anche lui in realtà è una persona che cerca un po' di libertà, pensò Alice. In fondo, quando ero un gabbiano, la gente mi vedeva. Ricordando il suo ultimo volo, un dolore che sapeva di sale le attraversò il cuore: la nostalgia.

Per farsi forza, concentrò lo sguardo sul merlo che volteggiava ancora sopra di lei. Forse tutti gli animali sono persone che sognano. E forse anche le piante e i funghi e le nuvole e persino i granelli di sabbia. Forse il mondo è fatto di sogni, ma la gente non se ne accorge.

E in qualche modo l'idea la rincuorò.

D'un tratto avvertì un cambiamento nella stanza. Qualcosa di sottile, come se un refolo d'aria si fosse intrufolato dall'esterno.

Si girò per controllare, ma di colpo non vide più nulla.

"Dio mio, quanto mi sei mancata." 

Luca la stringeva forte al petto e le accarezzava i capelli. Era arrivato di corsa, come Giorgia, e l'aveva abbracciata, impedendole la visuale. Ma non era lui la nuova presenza che Alice aveva sentito.

"Anche tu" sussurrò la ragazza, sorpresa, stringendolo a sua volta.

Sentendo le lacrime che le pizzicavano gli occhi, capì che era vero. Era come se improvvisamente si fosse liberata di un peso che le aveva oppresso il cuore per tutto quel tempo, ma senza che se ne rendesse conto.

Ma alcune persone, alcune cose, alcuni luoghi, sono così. Le diamo per scontate, per ovvie, abituati come siamo a vederle regolarmente. Quando poi l'appuntamento salta, per un motivo o per l'altro, la mancanza inizia a pesarci, senza che ne capiamo bene il motivo. 

Ma l'appuntamento alla fine arriva. Magari non è come volevamo, magari ci coglie di sorpresa, magari ci trova con i capelli in disordine e gli occhi assonnati, ma prima o poi arriva. Ed è bellissimo, questo ritrovarsi.

Finalmente capiamo chi o che cosa ci mancava, capiamo che ci abbiamo lasciato una parte di noi. E capiamo che sì, fa male, ma forma il legame più forte e profondo che si possa immaginare, come un filo d'oro che collega due persone. Due persone che da quel momento vivono una nell'altra.

Il legame tra Alice e Luca era così, capace di resistere alla lontananza, al tempo, al troppo bene e al troppo male, alla realtà e alle illusioni, alla vita e alla morte.

Luca le prese il viso tra le mani, accarezzandole le guance con i pollici.

"Ho avuto paura di perderti" disse lui piano.

"Stavo pensando la stessa cosa."

"Tu non puoi perdermi. Mai."

"Sì, scusa, lo so."

Luca appoggiò la fronte su quella di lei, sussurrando "Oh, no, non lo sai."

Rimasero qualche minuto insieme, insieme al silenzio, ma senza alcun vuoto. Erano di nuovo loro.

Poi, un po' per volta, cominciarono a parlare di ciò che era successo in quei giorni. Luca le raccontò della "vacanza" con i parenti insopportabili, raccontando ogni cosa nel modo più comico possibile.

Lei rideva debolmente, senza però parlare molto.

"Allora" disse lui per incoraggiarla, "Stai ancora leggendo il libro di Carroll?"

"L'ho finito" mentì Alice.

In realtà l'aveva chiuso e abbandonato appena era comparsa la Regina di Cuori. Sapeva che c'era un ricordo, nascosto da qualche parte della sua mente, che riguardava quella donna, ma non era ancora pronta a riviverlo.  Sospettava che fosse quello di quel maledetto incidente, e questo le provocava sentimenti contrastanti: da un lato voleva sapere cosa era successo, cosa le aveva lasciato la sua vita solo per prendersi la sua sanità mentale, dall'altro aveva ancora troppa paura per scoprirlo davvero.

Però voleva comunque un Paese delle Meraviglie, che non avesse alcuna Regina di Cuori. Quale sostituto migliore, allora, del Paese dello Specchio?

"Ho convinto Lucia a portarmi l'altro, sempre di Carroll."

"Convinto?"

Alice si portò una ciocca bionda dietro l'orecchio. "Sì, ti avrà detto che l'altro giorno non sono stata molto bene..."

"Sì" si affrettò a rispondere lui. "Per questo ti ho portato quelli invece delle solite" spiegò, indicando un bouquet rimasto sul davanzale, come un giocattolo dimenticato da un bambino.

"Oh" fece Alice, e si affrettò a prenderlo, dispiaciuta di non averlo notato prima. Era formato da teneri anemoni blu, che si scurivano al centro. Guardandoli, Alice ricordò che le "solite", una volta, erano le rose bianche. Lei e Luca avevano l'abitudine, quando festeggiavano qualcosa insieme, di regalarsi una rosa candida a vicenda.

Aveva cambiato fiori per non farla innervosire. Normalmente sarebbe rimasta delusa da questa scelta, ma in mezzo al bianco dell'ospedale era un vero conforto stringere tra le mani quei petali blu, con la loro sfumatura violetta che li avvolgeva di un'aura quasi magica.

"Grazie" disse sinceramente, mettendo temporaneamente i fiori in un bicchiere d'acqua sul comodino.

"Non sono niente di che. Volevo prenderti la lavanda, che è la tua preferita, ma ovviamente in inverno non la si trova."

Certo. Avrebbe potuto prenderla lo stesso, finta, ma sapeva che Alice non sopportava i fiori finti.

"Tu sì che mi conosci. Sono bellissimi." 

"Ovvio che lo siamo" borbottò un coro di voci in risposta, dal bouquet. "Ci hai messo fin troppo tempo a notarlo!"

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