La Duchessa

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Eh sì, — rispose la Duchessa, — e questa è la morale: "È l'amore, è l'amore che fa girare il mondo." — Ma qualcheduno ha detto invece, — bisbigliò Alice, — se ognuno badasse a sé, il mondo andrebbe meglio. — Bene! È lo stesso, — disse la Duchessa, conficcando il suo mento aguzzo nelle spalle d'Alice: — E la morale è questa: "Guardate al senso; le sillabe si guarderanno da sé." ("Come si diletta a trovare la morale in tutto!" pensò Alice.)

Quella sera, Alice non dormì. 

Era la prima volta che una visita di Luca, invece di dissipare i suoi dubbi, li aumentava.

Ma del resto, cosa si aspettava? Anche lui era umano e non poteva risolvere ogni problema, anche se fino a quel momento le era sembrato di sì.

Era come una bambina che scopriva che anche i genitori avevano dei difetti, dopo anni in cui li aveva creduti invincibili.

Alice non aveva detto nulla al suo fidanzato della realtà di quel sogno, perché lui la credeva già pazza così e la ragazza non poteva davvero rischiare che se ne andasse. Che la lasciasse sola.

Però una volta ha detto che non lo perderò, quindi resterà con me lo stesso, matta o no, si disse. Ma in realtà non ci credeva.

Alice si alzò dal letto in punta di piedi e andò verso la finestra.

Non ci aveva mai fatto molto caso, ma si poteva vedere anche uno scorcio della città, fuori dal giardino. 

Osservò le luci dei lampioni e, per qualche motivo, le misero addosso una strana tristezza. Le veniva voglia di trasformarsi in una lucciola, volare fuori di lì, muoversi tra lampade e stelle e non vederne la differenza, sentendosele tutte simili. Voleva giocare nell'aria, ma anche far ridere un bambino, ed essere una luce nella notte per qualcun altro.

Ma Alice era una ragazza, una ragazza debole che le lucciole non le poteva nemmeno vedere, tanto più che era inverno, figuriamoci esserne una.

Sentì le lacrime scendere sulle guance, ma non ne sapeva il motivo.

Magari perché non era una lucciola? Perché non vedeva lucciole? Perché non poteva uscire? Perché non riusciva a distinguere realtà e illusione? Perché non voleva essere obbligata a farlo? Perché non capiva perché dovesse farlo? Oppure, semplicemente, era diventata triste di colpo senza un motivo, come d'altronde le capitava spesso?

Si appoggiò alla finestra per guardare meglio, ma il freddo del vetro la punse all'improvviso come una miriade di aghi di ghiaccio. Si ritrasse, quasi spaventata, e tornò nel suo letto, con le lacrime che continuavano a scorrerle copiose sulle guance, ma senza emettere neanche un singhiozzo. Quasi come se neanche lei tentasse più di consolarsi, come se avesse perso la speranza.

Non mi importa se è vero o no, decise. Voglio uscire di qui.

Chiuse gli occhi e immaginò di essere una lucciola. Pensò a come doveva essere uscire all'esterno, non sentendo il freddo ma solo la strana euforia della notte. Come sarebbe stato poter volare in alto finché la gente a terra non l'avesse confusa con una stella.

Non si accorse nemmeno di essersi addormentata. Forse in realtà non lo fece. Forse non era mai stata sveglia. 

Qualunque cosa fosse, ne valse la pena: Alice sorrise nel suo letto, perché in realtà non era più lì. Era lontana, era pura luce. E per un solo, minuscolo, preziosissimo istante, fu libera.

***

La mattina dopo, Alice fece colazione e poi rimase ferma sul letto, seduta a gambe incrociate. Doveva riflettere. Sembrava cercare una risposta sulla parete davanti a sé, ma quella continuava ostinatamente a rimanere bianca e vuota come una conchiglia. Solo che, in questo caso, non c'era il ricordo del mare a farla sembrare meno vuota.

"Tu lo sapevi, vero Alice? Quello che ha sognato quel ragazzo."

Alice sospirò. Un'altra voce. Questa l'aveva già sentita un paio di volte; era femminile e monocorde, terribilmente noiosa. La voce di una vecchia zia incline solo alle critiche.

La ragazza annuì con un cenno della testa.

"Quindi ci sei andata davvero. Come mai?"

Alice si morse il labbro.

"Ero gelosa, credo" confessò. In realtà non lo credeva solo, ne era assolutamente sicura.

"Dovresti farti gli affari tuoi, ogni tanto" commentò la voce tranquillamente, come se le stesse dando un consiglio come un altro. 

"Veramente sei tu che mi stai chiedendo di raccontarti gli affari miei..." cominciò Alice.

"Però tu sembri raccontarli volentieri" notò la vecchia.

"...che sono, appunto, affari miei, si tratta del mio ragazzo!" esclamò.

"Tuo? Perché lui dovrebbe essere tuo?"

Alice rimase interdetta. "Perché..."

 Ci pensò un attimo. "Perché lui mi ha scelta e io ho scelto lui" concluse, poco convinta.

"E se ha scelto te, che motivo c'è di essere gelosa?"

Alice si stava innervosendo. "Beh, perché le persone possono cambiare idea."

"Ma un'idea non è una scelta! La morale è: un'idea vale per poco, ma una volta che hai fatto una scelta non c'è più nulla da fare, rimarrà quella" sentenziò la voce, come se fosse soddisfatta di averle dato un'importante lezione di vita.

Alice si spazientì. Che diritto aveva quella sconosciuta di insegnarle cosa doveva pensare del suo fidanzato?

"Ne parli come se fosse un giuramento solenne. Non tutti, quando scelgono una persona con cui stare, vogliono starci per il resto della vita."

"E allora perché ci stanno?" commentò acida la voce.

Alice avrebbe tanto voluto tirarle qualcosa, ma quella donna pareva non avere un corpo.

"Perché è bello stare insieme, anche solo per un po'. Perché quando poi finisce, a volte ti capita di essere felice perché c'è stato" spiegò. 

"Ma più spesso la gente è triste perché non c'è più" aggiunse tristemente, abbandonando lo scatto di rabbia di poco prima.

"Allora la domanda è la stessa, perché ci stanno?" insistette la voce.

"Oh, suvvia, lascia la bambina. Non ha ancora finito di leggere" sussurrò qualcuno, come se si trattasse di una giustificazione per l'ignoranza di Alice.

Le voci tacquero, finalmente.

Alice sentì l'ansia che cominciava a opprimerla, davanti a tanta confusione, così prese il libro. Per quel giorno, di riflettere ne aveva abbastanza.

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