Somebody Catch my Breath

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Quando spalanca gli occhi alla ricerca della luce – e inesorabilmente non la trova – quel peso sullo stomaco si inasprisce e si appesantisce, quando avrebbe soluto voluto sentirlo sparire e non tornare mai più.

Ha le braccia intorpidite. Non riesce neppure a stringere le dita, quando è la prima cosa che gli è stata detta di fare, quando gli succede quella paralisi improvvisa, e lo annichilisce. Lo spaventa. Lo annienta.

È terrorizzato. Fissa il soffitto scuro, incapace di muovere un solo muscolo, nemmeno quelli facciali. Non riesce ad aprire la bocca, anche se vorrebbe urlare. È sveglio ma non lo è davvero. Il corpo dorme e il cervello no; si è rimesso in funzione, e quel senso di prigionia gli toglie il respiro dai polmoni. Lo fa rabbrividire. Lo fa piangere.

Mugugna a labbra strette, mentre sente il calore delle lacrime che gli scendono ai lati del viso. La testa affondata nel cuscino, le braccia sulle coperte, di cui non sente nemmeno il tessuto al tatto. C'è solo lui, la paura, l'ansia, il cuore che batte all'impazzata e la speranza che quell'inferno finisca.

Mugugna. Lo fa di nuovo, è l'unico suono che gli esce dalla bocca ancora serrata. Prega dio che Tony si svegli, che se ne accorga... che anche se non può fare niente, gli stia vicino. Ne ha bisogno. Ha bisogno di lui. Egoisticamente.

L'abat-jour si accende e l'uomo accanto a lui si muove nel letto; in un fruscio di coperte che non è mai stato così rassicurante come in quel momento. Peter chiude gli occhi, più tranquillo all'idea che si sia svegliato e si sia accorto di lui. Quando li riapre, lo trova chinato su di sé. Lo sguardo assonnato ma preoccupato. Il segno del cuscino su una guancia, i capelli spettinati. Gli occhi ridotti a due fessure, ma fissi nei suoi.

«Ehi. Non succedeva da un po', eh?»

Peter cerca di annuire, ma non ci riesce. Ha solo gli occhi come mezzo di comunicazione, e spera che Tony lo capisca, anche solo così. Sente le mani dell'altro stringersi alle sue, che sono gelide. O forse è solo una sensazione. Trema, ma è l'unico movimento involontario che il suo corpo si permette di palesare. Si sente come una roccia, un pezzo di ghiaccio; qualcosa di statico e fermo, immobile, incapace di vincere. Incapace di farlo da solo.

Si sente inutile a dover sempre, costantemente, chiedere aiuto a Tony. Non vorrebbe, e invece si ritrova di nuovo lì, a piangere, sperando che quell'inferno finisca. Odia quando succede, si sente mortificato. Si sente sempre meno all'altezza dell'amore che Tony gli dona ogni giorno, con i gesti e mai a parole.

«Rilassati. Respira piano. Non ti agitare; se lo fai è peggio.»

Chiude gli occhi. Si concentra solo sul contatto caldo delle dita di Tony tra le sue. Si concentra sul suo respiro che gli carezza una guancia. Si concentra sui suoi «Shh», deboli e impacciati, come se non si sentisse all'altezza di salvarlo, per la milionesima volta da quando lo conosce. Si concentra su una delle sue mani che sale, gli sfiora uno zigomo, poi gli carezza i capelli, lentamente. Peter respira più piano, ma il suo corpo è ancora una barca spezzata, arenata su una spiaggia gelida e deserta. Si sente solo ma non è solo. È questa sensazione di isolamento, ad essere orribile, perché inconscia e nessuno la vuole. Nessuno. Nemmeno lui.

Si odia.

«Respira così, piano. Non c'è motivo di allarmarsi. Passa sempre, passerà anche stavolta.» Peter ha ancora gli occhi chiusi, ma lo può sentire il suo sorriso addosso. Lo scalda. Sente le dita che lentamente riprendono sensibilità. Prova a muoverle e stringerle intorno alla mano di Tony. Forse ci siamo. Forse è di nuovo qui.

«Non metterti fretta, okay?» Gli lascia un leggero bacio sulle labbra, poi sulla fronte. Gli accarezza ancora i capelli e poi tace. C'è solo il suo respiro tranquillo, a fare da sfondo, ora perfettamente sincronizzato col suo. Apre la bocca. Sente le labbra scollarsi tra loro e il primo suono che esce è un sospiro di sollievo.

«Ehi, bentornato tra noi», dice Tony, con uno sbuffo divertito che sa di conforto. Peter apre gli occhi e incontra i suoi. Hanno il colore delle nocciole, delle foglie secche, dell'autunno. Occhi che esprimono voglia di vivere, ma anche lo spettro di un passato di malinconia che non può essere cancellata. Il peso degli anni, il peso degli errori. Il peso di Iron Man.

«È stato... orribile.» Ha un filo di voce appeso alla gola. Non sa nemmeno se Tony lo ha sentito, quel suono. Non sa nemmeno se ha parlato davvero.

«Lo so.» È la conferma, la sua risposta, che è tornato davvero. Che non è più aggrappato alla non esistenza di un cervello che funziona troppo e un corpo rotto, spaccato, che non risponde ai suoi comandi. Si sente meglio, ma gli bruciano gli occhi. Tony gli asciuga una lacrima con il pollice. Non smette di sorridere, quando lo fa. È un sollievo. È un miracolo. «Come ti senti?»

«Vuoto», risponde, ma non è esattamente la verità. Ha, inglobato nel petto, un cuore caldo che pulsa ancora. Che batte, che scalpita e perde battiti di fronte a una premura palesata con una domanda che sembra banale, ma che non lo è.

«Riempi quel vuoto.»

«Non so come fare», risponde. Si copre il viso con le mani. Si sfrega gli occhi con i palmi e tira su col naso. «Vorrei solo che non succedesse più. Questa cosa mi spaventa ogni volta.»

«Prima o poi smetterà. Devi solo accettare ciò che è stato. Non ha forse detto così, quel dottore da cui vai?», gli chiede Tony; gli lascia un altro bacio sulle labbra. Un pezzo di cuore si riempie di nuovo. A volte basta solo un gesto. Uno solo.

«Spero abbia ragione», cerca di sorridere, poi sospira. «Scusa se ti ho svegliato.»

Tony lo guarda. Il suo sorriso sparisce, ma i suoi occhi sono ancora accesi di qualcosa di cui Peter ha immensamente bisogno. Si muove nelle coperte e si stende di nuovo accanto a lui. Lo guarda e poi alza un braccio.

«Vieni qui», lo invita e Peter si accoccola contro il suo petto. Si lascia abbracciare e preme l'orecchio sulla sua gabbia toracica; ascolta il suono del suo cuore. Tony è vivo, e lo sarò ancora per molto. Non lo ha perso come aveva temuto, ma c'è andato così vicino da averlo segnato. Tornare dopo cinque anni e perdersi ancora? Una prospettiva terribile, ingiusta, ma sono lì. Conterebbe solo quello, se solo Peter non continuasse a riempirsi la testa di se e di ma. Solo perché è troppo fragile per dimenticare ciò che ha rischiato di perdere e godersi quello che ha. Chiude gli occhi. Tony gli accarezza i capelli, ed è un gesto così vero che non può che crederci, al fatto che sono insieme di nuovo. Come se nessuno avesse mai cercato di dividerli. Per due volte.

Hanno vinto, ma è ancora troppo doloroso vivere senza l'ombra di quella sconfitta sfiorata.

Allora si stringe di più a lui, accoglie un bacio sulla fronte e spera, con tutto se stesso, che da domani le cose andranno meglio. O non troverà mai il modo tornare finalmente indietro da Titano. 

Fine


Note autore:

Salve a tutti. Era da tantissimo che volevo affrontare il tema della paralisi del sonno e, finalmente, sono riuscita a farlo. Sperando che la storia vi sia piaciuta, vi invito a farmelo sapere con un commentino sempre gradito e a domani per altri aggiornamenti succosi sulla nuova long ♥

Miry

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