Capitolo 3: Arrivederci

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Marco iniziò a preparare una piccola valigia a mano con qualche indumento di ricambio.
Si sarebbe trattenuto poco aveva detto, ma non sapevo più nemmeno io dove stava la verità. Sembrava che stesse scappando, il mio cervello lo urlava di continuo. Forse era la verità, ma io non mi arrendevo, non volevo ascoltare.

Mentre sistemava le sue poche cose, ogni tanto mi osservava per cercare di capire come mi sarei sentita nel restare sola a casa con Filippo, per più di quindici giorni. In realtà, io non ero affatto preoccupata per me. Era tanto tempo che non avevo la casa tutta mia, temevo perlopiù la reazione del bambino.

L'ultima volta che rimasi sola a casa fu quando Marco partí un paio di giorni per andare a trovare la madre che non si sentiva bene. Filippo aveva poco più di sei mesi.
In quel momento sì, che mi sentii davvero preoccupata.

Mi presi un paio di giorni di permesso dal lavoro per non lasciarlo mai solo, passammo il week end chiusi in casa a guardare cartoni animati alla televisione e gattonare per la casa. Credo sia stata la prima volta che pensai che la nostra casa iniziava ad essere davvero una trappola per noi.

Marco mi comunicò che il suo volo per Londra era stato programmato per la mattina successiva, alle cinque. Così facendo e solo dopo le varie burocrazie, sarebbe arrivato dal cliente per le dieci, avrebbero fatto un brunch insieme e parlato di affari.
Non mi spiegavo sinceramente perché Marco dovesse stare a Londra per così tanto tempo, ma la cosa non mi allarmava affatto. Ero ingenua, mi fidavo delle sue parole.

Il mattino successivo le nostre sveglie suonarono molto presto.
Alle tre del mattino seguivo Marco per casa cercando di fare mente locale se avesse o meno preso tutto il necessario per stare così tanto lontano da casa.
Lo spazzolino, i boxer, il dentifricio, cose di ordinaria necessità.

Cercò di tranquillizzarmi più volte, ripetendomi che appena arrivato a Londra mi avrebbe contattato su Skype. Mi stavo solo preoccupando per nulla.
Marco conosceva bene il mio terrore legato al volo, alle altitudini, per via del vuoto d'aria. Motivo per il quale più volte avevamo rinunciato ad intraprendere quel viaggio in Canada che fin da quando ero bambina avevo sognato, guardando alla televisione le soap opera con la mamma.

Un buon posto per vivere, pensavo.
Eppure mi mancava il coraggio per fare una scelta.

Ne avevamo parlato spesso, idealizzando il Canada come meta per il viaggio di nozze, ma dal momento che ero incinta e neanche tanto in forma, avevamo presto rinunciato all'idea di andare dall'altra parte del mondo e rischiare una vacanza da incubo.
Pensai che le mie nausee, l'aereo e la mia fobia per il volo tutte insieme, erano troppe sfide da affrontare in un colpo solo.

Marco mi salutò con un bacio e un abbraccio forte, prese l'auto e uscì di corsa dal vialetto. In quel momento, Filippo entrò in cucina. Erano appena passate le tre del mattino ed io non mi spiegavo cosa facesse già in piedi. Non capitava da così tanto tempo.
Filippo mi fissò per un istante e con la sua vocina rotta mi chiese dove stesse andando il papà.

《Ti ricordi, la mamma te l'aveva spiegato. Papà deve prendere un aereo e volare lontano per conoscere un amico di lavoro. Ma mi ha promesso che quando arriva ci chiama con Skype, così potrai salutarlo e fargli un bel imbocca al lupo... E mi ha detto di farti un abbraccio forte forte quando ti svegliavi. 》

Filippo corse verso di me e lo sollevai da terra. Assomigliava così tanto al padre. Con quei bellissimi occhi scuri, i capelli castani e quel nasino un po' alla francese. Un bimbo sempre felice e spensierato.
Ma non in quel momento.
Accoccolato sulla mia spalla, singhiozzava.

Sente davvero di provare un gran bene verso Marco, forse l'affetto che prova per il padre è anche più forte di quello che prova per me.
Con il padre ha sempre giocato e si è sempre divertito tantissimo.

Marco facendo il traduttore, aveva molto più tempo per restare a casa con Filippo, più di quanto non ne avessi io.
Così, tra i due, era nato un profondo amore e rispetto, Filippo non faceva mai i capricci con Marco.
Anzi, che ricordi, Marco non ha mai avuto bisogno di sgridarlo.

È davvero un buon padre, trova sempre il modo più adatto per accontentarlo senza viziarlo.

Ora che Marco è partito, l'unica cosa che mi spaventa è riuscire ad essere la sua copia nell'educazione di nostro figlio, ma so che non c'è paragone.

Il mio appuntamento con la squadra in affiancamento al nuovo progetto del signor Fausti era fissato per il giorno successivo.
Marco, come promesso, ci chiamò su Skype appena atterrato.
Mi disse che ci saremmo sentiti in serata per il suo speciale augurio in vista del mio nuovo progetto.
Filippo rise forte quando il padre gli mostrò un regalo che gli aveva comprato in aeroporto, un pupazzetto che faceva le puzzette.
Appena fosse tornato, Marco avrebbe fatto fare un sacco di puzzette al peluche insieme a Filippo.
Risi forte anche io, guardando i miei uomini così contenti per una sciocchezza. Erano così naturali nel loro modo di scherzare.

Sul tardi chiamai Marika, le chiesi se avesse un paio d'ore disponibili per badare a Filippo mentre andavo al centro commerciale per acquistare qualcosa per il mio appuntamento. Mi disse che finito alle diciassette dal F&F sarebbe arrivata subito con Luca a tenere compagnia a Filippo.
Poi tutta eccitata, mi comunicò che avevano deciso di andare a convivere. Si frequentavano da qualche mese, ma erano davvero affiatati.
Non mi sentii la persona adatta per dirle che forse stavano correndo un po' troppo, proprio io, che avevo già bruciato tutte le mie tappe.

Ero un po' invidiosa del suo spirito. Quando io e Marco andammo a vivere insieme, non eravamo così entusiasti. Comprammo i mobili in fretta e senza seguire i nostri gusti, arredi a buon mercato e da pagare a rate in qualche anno. Acquistammo con gioia solo la cameretta di Filippo, immaginandolo giocare sul grande tappeto, che posizionammo ai piedi del suo lettino blu.
Inutile dire che dopo il primo anno di vita, quel tappeto fu gettato nell'immondizia perché Filippo ci ribaltò sopra un intero biberon di latte. La macchia non se ne andò mai, era un tessuto davvero bastardo.
Era solo merce a poco prezzo.

Alle diciotto del giorno precedente il mio appuntamento, vagavo senza meta per il centro commerciale.
Le vetrine mi intontivano, luccicanti e sgargianti. Neanche fosse natale. A dire il vero, natale non era nemmeno così distante, potevo e dovevo iniziare a preoccuparmi dei regali. Magari quell'anno non mi sarei ridotta alla vigilia per uscire a comprare i doni.

Tanto era sempre la stessa storia: una bottiglia di vino a papà, un set di piatti buoni per la mamma, un maglione per Marco, o un profumo a buon mercato, e qualche giocattolo per Filippo.
A Marika avrei regalato qualcosa per inaugurare la casa. O magari un sex toy, così per rendere più piccanti le sue notti con Luca.

Forse sarebbe stato meglio optare su qualcosa per la casa.

Dopo aver spulciato abiti, abitini, completi e casacche che neanche mia nonna avrebbe indossato sotto tortura, il mio occhio si posizionò su un pantalone nero e una camicetta sottile bianca.
Dopo la nascita di Filippo il mio armadio non aveva più visto niente di sexy o attillato.
E neanche trasparente!

Ma quella camicetta con quel jeans nero, erano davvero quello che più mi sembrava perfetto per un appuntamento di lavoro.

Acquistai anche una giacca coordinata e un paio di sandali neri, molto signorili.
Quello shopping mi costò una fortuna.

Non posso presentarmi in cantiere vestita come resto a casa, pensai.

E così, carta di credito alla mano, decisi di acquistare anche un rossetto, un fondotinta e qualcosa per truccare gli occhi.

Era tutto pronto.
In compagnia di Filippo sarebbe stata Marika per tutta la mattinata. Nel pomeriggio sarebbe poi andata mia madre.
Avevo il vestito, il trucco giusto, le scarpe.
Avevo persino lavato la mia vecchia auto per l'occasione.
Marco mi scrisse un SMS di in bocca al lupo alle ventitré.
Filippo restò molto deluso quando il padre non si fece vivo su Skype, poi dopo cena, crollò sul divano con Toby, il nostro beagle. Girai la foto del nostro bambino che dormiva a Marco, che mi chiese di baciarlo per lui.

Era tutto davvero pronto.

Ma io, ero davvero pronta?

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