Capitolo 4: Signorina antisesso

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Quella mattina del mio fatidico incontro, mi alzai prestissimo.

L'appuntamento era stato fissato per la tarda mattinata, volevo dedicarmi un ora tutta per me per un bagno caldo. Avevo proprio bisogno di rilassarmi un attimo.

Dopo aver riempito la vasca di sali profumati, Marika piombò in bagno per sapere se Filippo per la merenda preferisse la mela o lo yogurt.
Rimasi intontita a fissarla per un attimo, in mutande e reggiseno, con la bocca asciutta per il disagio.

《Mary... Te lo posso dire? Perché ti ostini a coprire il tuo corpo? Se avessi saputo che avevi una tale carrozzeria, ci sarei venuta io a fare shopping insieme a te! Ti avrei fatto acquistare la cosa più sexy di tutto il centro commerciale! Quella camicetta non ti rende affatto giustizia!》indicò il mio outfit appeso al servo muto.

Come dicevamo, dopo la nascita di Filippo ho iniziato a vedermi... Brutta.

Non che mi sia mai vista miss Italia, ma prima della gravidanza, potevo sfoggiare una taglia quaranta con grande disinvoltura.

Poi, nella mia quarantaquattro, invece preferivo coprirmi di abiti informi e maglioni anti sesso.

L'unica cosa di cui resto fiera è ciò che resta del mio seno.

Tutte le donne della mia famiglia avevano ereditato dalla nonna un generoso décolleté che, in gravidanza, era diventato un enorme décolleté.
La mia terza abbondante era come per magia diventata una sesta, faticavo persino a trovare i reggiseni adatti.
Tanta roba per nulla, che alla fine mi aveva portato alla rinuncia di allattare Filippo, poiché con il mio latte faceva delle piccole coliche. La vita, che strana.

Il seno dopo l'allattamento era rimasto sodo ed ero rientrata con gioia nella mia coppa.
Più complesso invece fu perdere i chili della gravidanza. Ero davvero ingrassata tantissimo, quasi venti chili. La mia ginecologa mi ripeteva ad ogni visita che tutto quel adipe non nutriva il bambino e che se volevo tornare presto in forma, dovevo imparare a controllarmi.
Così, terminata la gravidanza, in poco tempo persi più di dieci chili, ma qualcosa poi doveva essere andato storto, poiché gli altri dieci non se ne vollero andare. Ed erano ancora lì, demotivata, a ricordare il mio fallimento.

Mia madre, sadica come era ed è sempre stata, continuava a ripetermi che non ero affatto attraente con quelle braghe anni ottanta che mettevo per nascondere i coscioni.
Ormai vestirmi così era il mio mantra, mi piaceva pensare che solo io potessi vedere come ero diventata. Io, che al liceo avevo un gran bel corpicino, al massimo potevo essere scambiata per un frigo dell'ikea.

Anche Marco non mi valorizzava molto.
Facevamo già l'amore a luci spente, in silenzio e tutti e due sapevamo bene che il motivo non era la presenza di Filippo nella stanza a fianco.

Il motivo era che a lui andava bene anche non guardarmi.
Quando ci eravamo appena conosciuti, amava mostrarmi come un trofeo in giro per la città, mi ricopriva di complimenti e mi faceva sentire sempre stupenda. Adorava il mio corpo. Si perdeva ore a baciarmi il seno, accoccolati sul divano dei suoi genitori, quando loro erano in vacanza.

Poi sono rimasta incinta e abbiamo messo via la vita da adolescenti.

Sul divano al massimo si parlava di bollette, di antibiotici e di cambiare la lavatrice perché il filtro perdeva acqua.

Dopo che Marika finì il suo elogio al mio corpo, mi lasciò sola in bagno. Mi voltai verso lo specchio ad osservarmi. Era un bel po' che non andavo dal parrucchiere. Il mio seno era lì, bello alto. Me ne sentii subito orgogliosa.
Passai in rassegna il mio ventre, le mie gambe.
Non ero poi così male tutto sommato.

Avere trent'anni non significa finire per forza dallo sfasciacarrozze.

Mi spostai un po' i capelli dal viso e mi guardai meglio negli occhi. Sembravo tremendamente stanca.

Lo ero.

Alla fine mi stesi nella vasca da bagno, ma non prima di aver chiuso a chiave la porta. A Filippo piaceva troppo entrare mentre mi lavavo, ma quella mattina avevo davvero bisogno di stare un po' sola.
Mi rilassai, andai più di una volta con la testa sotto acqua, riemergendo senza fiato. Quasi al limite. Al liceo nuotavo per passatempo, avevo un buona resistenza e un gran fiato. Inutile dire che persi presto allenamento e certe sciocchezze le evitavo proprio.

Iniziai a lavarmi, ad insaponarmi e a riflettere sul nuovo progetto di Fausti.
Ancora non mi era chiaro perché aveva scelto me.
Non mi aveva mai fatta sentire tanto indispensabile, non lo avevo mai visto così offeso di fronte ad un mio rifiuto.
Eppure aveva scelto me, una parte della mia persona gli era grata, nonostante non me ne sentissi completamente all'altezza.
Mi ritrovai dopo pochi minuti ad accarezzarmi il seno. Era così rilassante...

Ho tempo pensai, stamattina ho tempo.

Misi una mano sotto l'acqua e iniziai a toccarmi all'altezza della coscia. Piano piano tutte le mie ansie sembrarono diventare come fumo, un incendio appena spento.
Mi sforzai di non gemere. Non potevo dimenticare che solo due porte mi dividevano da Marika e Filippo che giocavano in salotto.

Mi abbandonai nel mio piacere, non so bene per quanto tempo rimasi lì, in estasi di me stessa.
Era davvero passata una vita, forse nemmeno ero sposata l'ultima volta che mi ero procurata piacere da sola. Avevo smesso perché ero mamma, moglie, donna di casa. Non c'era mai tempo.

E poi... Mi vergognavo del mio corpo.

Quel giorno invece, forse grazie un po' a Marika e ad una nuova Mary consapevole, mi ero vista meno brutta e più femmina.
La cosa mi aveva eccitata e avevo sentito il bisogno di sentirmi viva.
I sali e la vasca avevano fatto il resto.

Diciamo pure che per qualche minuto avevo smesso di pensarmi come la "signorina antisesso".

Uscita dalla vasca, mi osservai di nuovo allo specchio. Gli occhi erano meno stanchi, avevano assunto un colorito rossastro per colpa del sapone, ma erano certamente più vivi. Mi spazzolai i capelli e decisi di legarli in una crocchia. Indossai il mio completo scuro e la camicetta. Il mio seno era un po' in vista, non lo avevo considerato. Decisi di coprirmi meglio con il soprabito che mia madre mi aveva regalato per il compleanno.

Non che mi piacesse troppo, ma almeno mi faceva sentire meno nuda. Dopo essermi truccata ( o meglio, dopo aver steso sul mio visto un po' di calcestruzzo alla meno peggio), infilai le scarpe e mi diressi da Marika che guardava una soap opera con Filippo in salotto.

《Ti ho detto che non mi piace. In questo film si baciano sempre! Io voglio vedere quel cartone animato con i porcellini!》

Filippo si dimenava sul divano come un pazzo, mentre Marika cercava di convincerlo del fatto che tutti i grandi quando si vogliono bene, si baciano.
Ridicolo, io e Marco ci scambiavamo così poche effusioni davanti a lui che alla fine temevo ci vedesse più come due amici, piuttosto che come i suoi genitori innamorati.

《Filippo, te lo dico un ultima volta. Questo film finisce tra dieci minuti. Fammi finire di vedere i miei porcellini, poi guardiamo i tuoi!》

Scoppiai a ridere.
Non mi venne per nulla alla mente che la mia più cara amica fosse stata volgare. Mi bastò guardare l'espressione di Filippo per capire che lui non aveva afferrato l'allusione di Marika.

Tutti e due si voltarono a guardarmi. Filippo rimase per un po' con aria interrogativa, come se si stesse chiedendo che fine avesse fatto la sua mamma.
Marika si lasciò andare in un forte applauso.

《Wow, mammina! Ora si che ti riconosco! Alla fine lo devo ammettere. Hai avuto gusto. E come ti stanno bene i capelli, il trucco... Sì ma,apri quel soprabito e mostra le tette sorella, quel lavoro deve essere nostro, o no?》

Mi affrettai a tappare le orecchie a Filippo che, nel caos della situazione, rideva come un pazzo.

Questa l'aveva afferrata bene.
Dopo aver ringraziato Marika per come aveva esposto i suoi apprezzamenti, mi diressi verso la mia auto nel viale.
Era quasi bella, tutta pulita. Un ultimo sguardo allo specchietto retrovisore, un bel sorriso, ingranai la marcia e uscii dalla mia proprietà.

Ascoltando la radio, mi ritrovai a canticchiare un pezzo del momento e a sorridere. Impostai il navigatore alla mia meta, circa cinquanta chilometri.

Beh pensai, non è nemmeno così lontano.

Durante il viaggio mi passarono alla mente tutte le preoccupazioni.

Se non fossi andata bene?
Se avessi fatto la figura dell'incompetente?

Quasi giunta a destinazione, mi si palesò davanti un imponente cancello in ferro battuto, leggermente socchiuso.

Qui non c'è nessuno, pensai.

Entrai con la mia auto nella proprietà e rimasi sconvolta: di fronte a me uno stabile enorme e fatiscente, di un color mattone invecchiato, immerso in un giardino immenso e trasandato. Alle finestre, solo qualche anta aperta, qualcuna rotta e usurata dal tempo.
Il portone di entrata era ancora più vecchio, di un legno scuro.

Non ci avrei scommesso troppo, ma quasi fui sicura che non si trattasse di un cancello elettrico.

La recinzione non era per nulla sicura. Il ferro si era arrugginito negli anni, alcuni pezzi erano pericolosamente sporgenti.

Quanti soldi ci avrebbe speso Fausti per sistemare quel rottame di posto?

E ancora non avevo visto gli interni.

Scesi dall'auto, stando attenta a non inciampare su qualche ramo a terra da chissà quanto, e mi diressi verso un gruppo di persone intento a chiacchierare vicino ad un furgone.
Più mi avvicinavo e più potevo sentire il mio cuore nel petto farsi più pesante.

Come un martello che si accanisce sul ferro caldo.

E mentre camminavo sui miei stupidi tacchi, ovviamente una pessima scelta per entrare in un cantiere, mi resi conto che ero l'unica donna.

Un gruppetto di cinque o sei uomini mi stavano a fissare dalla testa ai piedi, sorpresi di non vedere il Fausti.
Ottimo, pensai. Non glielo aveva comunicato, il fatto che avrebbe mandato una donna al suo posto per parlare di cartongesso, compensato, tegole, cavi elettrici e impianto idraulico.

Poi, mentre pensavo che sarebbe stata una giornata tremenda e denigrante, lo vidi, in mezzo agli altri operai.

Non so cosa fosse, forse il lampo che sbucò nel cielo all'improvviso a presagire un violento acquazzone, ma avrei giurato di aver sentito una vera scossa pervadere il mio corpo, la più potente, dopo tanto tempo.

Vita, dopo tantissimo tempo.

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